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Le novitá del 10 settembre

Gli interventi, tantissimi (64 per l’esattezza), hanno raccontato di conflitti e vertenze sparsi per la penisola, e sono serviti piú a disegnare una geografia delle insorgenze sociali che a delineare le possibili strategie per contrastare la manovra economica e politica in corso. In molti sono venuti per raccontarsi e per annusare l’aria, contenti di non essere in pochi e visibilmente soddisfatti di ritrovarsi d’accordo su alcune questioni non secondarie: l’indipendenza del percorso, la centralitá del conflitto, la consapevolezza del carattere sistemico e globale della crisi.

É mancata, peró, e non poteva che essere cosí, la discussione sul cosa fare insieme, cioé sulle vere ragioni che avevano spinto a promuovere quell’incontro. Una sorta di pudore, dovuto alla naturale diffidenza acquisita da chi ne ha viste tante ed é stanco di innamorarsi di nuove illusioni, era lo stato d’animo diffuso. Un pudore che ha avuto l’effetto positivo di favorire la sobrietá degli interventi ma quello negativo di evitare che cominciasse la discussione vera. Tanto che la proposta rilanciata da Cremaschi di creare un “nuovo spazio politico” é sembrato uno squarcio di luce in un cielo piuttosto nuvoloso, fatto di denunce di ingiustizie e racconti di rabbie e resistenze ma a corto di proposte e di progetti.

Raccontata cosí sembrerebbe la cronaca di un’occasione mancata, una convocazione riuscita, che suscita grandi aspettative ma poi non si traduce in proposta praticabile. Eppure non é cosí perché in quella assemblea si é prodotto un fatto, forse poco rilevato e neanche tanto costruito, che ha trovato in modo “naturale” tutti d’accordo. E il fatto é stato che nessuno dei gruppi, delle organizzazioni e finanche partiti presenti all’incontro se l’é sentita di tirar fuori le proprie bandiere che sono rimaste ordinatamente piegate nei bagagliai delle macchine. Quello spazio, miracolosamente creato da Roma Bene Comune, é stato considerato di tutti e pertanto sotto la reciproca responsabilitá collettiva, quindi non violabile con la manifestazione esplicita delle proprie identitá pregresse. Quello spazio é diventato, almeno per una giornata, un vero e proprio bene comune, da preservare e tutelare da qualsiasi intromissione di parte. Cosí l’assemblea, che non aveva regole se non quella che a tutti veniva consentito di parlare lo stesso numero di minuti, salvo la relazione introduttiva di chi l’aveva convocata, si é prolungata fino al pomeriggio inoltrato, permettendo a tutti di parlare e di esser ascoltati.

É questa l’importante novitá del 10 settembre: dentro l’epoca della crisi globale siamo in tanti a sapere che c’é bisogno dell’esplosione di un nuovo grande movimento di massa per reggere l’urto delle sfide che abbiamo di fronte. Ma nessun movimento nasce dentro un recinto giá marcato, dentro uno spazio delimitato da bandiere e vecchie appartenenze. Se vogliamo predisporci all’esplosione di una grande ondata rigeneratrice dobbiamo saper rinunciare ai tanti piccoli noi ed imparare a nuotare in un mare molto piú ampio (lo spazio politico di cui parla Cremaschi é dentro questa logica di movimento ?). Nella definizione in progress del percorso aperto dal 10 settembre la definizione delle regole comuni che permettano di salvaguardare lo spazio politico di movimento che si é riusciti a creare é un punto irrinunciabile, forse il primo passo che permetterebbe di passare dall’incontro alla condivisione.

Per evitare che questa novitá venga rapidamente soffocata dai riflessi condizionati della concorrenza tra gruppi e dalla mai sopita corsa all’egemonia vale la pena rilanciare questa nuova attitudine a concepire il movimento come un bene comune proponendo che la manifestazione del 15 ottobre si faccia senza bandiere. La corsa ad indire una manifestazione giá indetta sarebbe costretta a fare i conti sul serio con il vento indignato che sta percorrendo l’Europa, un vento speriamo destinato a spazzare via un’intera classe politica prostrata al governo delle banche.

 


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