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Il contenimento dell’animale da corteo e il Fatto Quotidiano

La domanda non è affatto oziosa se si tiene conto che la riduzione ad animale dei soggetti sociali si impone nelle nostre società dopo la fine del welfare e dei conseguenti processi di medicalizzazione dei comportamenti collettivi. Paternale, disciplinare, di controllo l’intervento pubblico comincia a ritirarsi dalla società tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.  Entro l’inizio di questo processo la stampa comincia a perdere una funzione paternale, socialmente medicale, ricompositiva. In qualche lustro è passata così dall’informare, investigare per scopi curativi, e per i poteri sottintesi a questo processo, a evidenziare dove si trovino i malati, i patologici, gli animali da isolare.

Oggi per i soggetti che, in qualche modo, impongono la loro presenza senza seguire le leggi di visibilità e connessione regolate dai media la stampa serve quindi da elemento regolatore di un processo di animalizzazione.  Non si tratta di un processo nuovo, la stampa inglese e quella francese dell’800 costruiscono enciclopedie di animalizzazione dei soggetti sociali della prima società industriale, ma piuttosto un fenomeno dettato dalla ritirata dell’intervento pubblico sulla società. Negli anni del welfare, grosso modo, la stampa denuciava aprendo un campo di intervento pubblico, di controllo, di sostegno ad ogni emergenza sociale individuata. Funzionava come un’ottica della spesa pubblica e della neutralizzazione dei conflitti, un dispositivo di visione anticipata dei processi. Spesso il giornalista anticipava l’investimento: la denuncia della situazione abitativa preludeva al piano casa, quella della mancanza dei presidi sanitari all’intervento pubblico nel settore etc.  I profitti del welfare seguono alle grandi inchieste giornalistiche.
Nei nostri anni la stampa, e la televisione che produce informazione non avrebbero ruolo, di connessione dei poteri che contano, se seguissero questa strada. Infatti, dopo il ritiro del welfare dalla società la stampa serve oggi come un’ottica della riduzione ad animali dei soggetti sociali che, in modi differenti, non seguono con docilità la ritirata dell’intervento pubblico dalla società. Come funziona quest’ottica l’ha descritto, suo malgrado, con efficacia proprio Tony Blair in una lettera al Guardian dopo i riot londinesi d’agosto.
Prima di tutto secondo Blair si tratta di negare pubblicamente qualsiasi rapporto tra crisi economica, ristrutturazione della società e il comportamento dei soggetti ritenuti animali. Per questo funzionano benissimo commenti, frammenti di articolo, articoli sulla retorica della responsabilità individuale,  per la quale la società è un campo neutro delle peripezie del soggetto, per la costruzione della colpa per ignoranza, trascuratezza, aggressività, disordine mentale dell’individuo. Questo processo di riduzione della questione sociale a deficit individuale, a mezzo stampa, va visto però in modo materialistico: più è efficace più legittima il mancato trasferimento di risorse dal privato al pubblico. Per cui il Guardian, via Tony Blair,  si è trovato a suggerire a Cameron non un piano sociale per le periferie ma l’intervento normativo, disciplinare e militare su alcuni soggetti mirati entro la dinamica sociale dei riot. Soggetti che vengono ridotti ad animali dalla stampa con servizi, foto, frasi ad effetto, scatenamento della strategia del panico contro l’individuo pericoloso, incontrollato e imprevedibile. Si passa così dall’ottica dell’animalizzazione della stampa al funzionamento dei dispositivi di controllo, come tra sensore che si attiva e cancello che si apre.
Con il metodo Blair si evita, con la riproduzione dell’opinione pubblica tradizionale a mezzo stampa, non solo la legittimazione del trasferimento di risorse dal privato al pubblico per mantere la coesione sociale ma anche il funzionamento di dispositivi concreti. Quale privato, infatti, potrebbe essere ricondotto al dovere di finanziare comportamenti privati altrui rappresentati sulla stampa come causati da animalità, colpa ed ignoranza individuale? Investire in responsabilità individuale, sovraccaricando sulle persone la rappresentazione dei loro deficit, significa disinvestire in quella collettiva. Così l’etica della responsabilità prodotta sui giornali fa miracoli per i profitti delle aziende e per le detassazioni.
I titoli che fanno opinione pubblica adorano un solo animale, il toro di borsa, verso il quale vanno dirette le risorse economiche e l’adrenalina del potere. Per la parte di società che è esuberante rispetto a questo processo c’è l’animalizzazione a mezzo stampa che potremo così definire una disciplina della scienza del risparmio nella spesa pubblica. E di quella della centralità sociale degli algoritmi di borsa.
In Italia l’ottica della animalizzazione dei soggetti sociali ha raggiunto, nella pressocchè assoluta indifferenza cognitiva della politica come delle scienze umane, una considerevole tradizione.  Forse la grande stagione di apertura delle retoriche, dei dispositivi di comunicazione necessari ad animalizzare i soggetti sociali è stata aperta con lo sbarco di massa degli albanesi a Bari nell’agosto del ’91. Quando 20.000 profughi furono trattati, dalla stampa e dai dispositivi governamentali, come altrettanti capi bovini, chiusi, recintati e riportati al terreno di pascolo originario. Come era prevedibile l’animalizzazione dei soggetti sociali che si rendono visibili, e che devono essere espulsi di nuovo nel vuoto da cui sono venuti, si è poi estesa rapidamente ai nativi. A tutti i nativi verso i quali spontaneamente scatta il dispositivo di animalizzazione: pensionati (ai quali si rimprovera di costare, come all’animale ormai sterile) giovani (che guidino, che vadano allo stadio, che ballino o che vadano in vacanza, figuriamoci dopo un riot. Innumerevoli sono le retoriche del dressage dell’animale giovane) soggetti maturi (verso i quali scattano le retoriche della sorveglianza nel momento in cui non appare ordinata la loro uscita dal mercato).
Ci sono testate che hanno prosperato, altre che hanno subito un declino grazie all’emergere delle retoriche di animalizzazione sulla stampa. L’Unità, ad esempio, troppo legata a schemi, linguaggi dei decenni precedenti non ha retto il passaggio epocale dal contenimento degli estremisti al quello degli animali. E oggi non ha gli strumenti retorici, la capacità di stare sulle piattaforme mediali, per assimilare con efficacia l’estremista all’animale. Repubblica è invece una testata che questo passaggio storico non solo l’ha retto benissimo ma lo ha anche governato. Per le testate di centrodestra va considerato che la loro fioritura coincide con una grande stagione di animalizzazione di qualsiasi soggetto al di fuori dei loro interessi. Su Libero e il Giornale animale è praticamente chiunque. Forse è questa mancata selezione dei soggetti da animalizzare che rende queste testate inabili per la prossima stagione politica.
In questo scenario da un paio d’anni è emerso il Fatto Quotidiano. Si tratta di un quotidiano anacronistico, nel linguaggio e nell’immaginario, che espone i propri lettori al rischio di ritardo cronico nella selezione dei processi cognitivi. Il Fatto ha decine di migliaia di lettori, e migliaia di soci, ma cosa ne ha determinato il successo? E quale il suo ruolo nel processo di animalizzazione dei soggetti sociali in politica?
Il Fatto segue spontaneamente un processo di regressione conoscitiva necessario per l’animalizzazione dei soggetti sociali ritenuti ostili. Quello della spiegazione del mondo attraverso la notizia infinita della violazione del rapporto di proprietà. Per cui sul Fatto la notizia principale è quella dell’individuazione e dell’esecrazione del ladro entro un processo di informazione emotivamente catartico per il lettore. Ma è lo schema antropologico sottostante al Fatto, quello della proprietà violata, che riduce il mondo alla casa da difendere, che incontra le dinamiche di parcellizzazione e individualizzazione della società. Come in Feuerbach la sacra famiglia è la proiezione mitologica delle virtù presupposte nella famiglia reale, nel Fatto l’individuazione del ladro è la proiezione narrativa dei timori della famiglia e dell’individuo reali del mondo liberista. In questo modo si opera la regressione di ogni complessità sociale a questione di furti e di onestà e il passo vero l’animalizzazione dei soggetti ritenuti ostili è breve. A differenza di altri quotidiani storicamente innestati nelle reti di potere, nei dispositivi di comando il Fatto assume una funzione differente nei processi di animalizzazione. Non innesta dispositivi concreti di potere ma un immaginario: quello semplice e mitologico del desiderio società liberata dal furto. L’ingenuità di questo dispositivo mitologico è compensata dal quotidiano ruolo catartico che il giornale ha nei lettori nel momento in cui la notizia si trasforma in processo di individuazione del ladro.
Il Fatto ha una rete di collaboratori eterogenea, dove si trovano anche persone veramente in gamba, legata a una serie di firme storiche che è un assemblaggio di nostalgici della destra berlingueriana, relitti del moralismo della stagione dell’unità nazionale, spiritosi cronisti, liberisti di sinistra. Con l’esplodere delle rivolte di piazza, tralasciando le demenziali ricostruzioni del caso Battisti quando semplicemente si chiedeva di restituire il grizzly all’Italia, il Fatto si è dedicato sistematicamente alla animalizzazione dei riot.  Dopo i fatti del 15 ottobre, si è semplicemente scatenato. Per cui via alle ricostruzioni su disagio, incoerenza e pericolo dei “black bloc”, a quelle sulle necessità di una “protezione” della polizia per i cortei, sull’oggettiva utilità per il nemico (Berlusconi) di questi comportamenti animali di piazza. Qualche venatura di cospirazionismo ed ecco il contributo del Fatto all’animalizzazione dei comportamenti di piazza. Con la variante, cospirazionista, del “fanno il gioco delle destre”, “sono infiltrati” l’animale black bloc è servito per decine di migliaia di lettori per qualche scarica di adrenalina in treno, in metro, in autobus prima di andare al lavoro. Animale e estremista qui si fondono in una rappresentazione emotiva che chiede solo l’intervento paternale e rassicurante delle forze dell’ordine.
Il Fatto contribuisce così alla animalizzazione dei soggetti sociali, funzione tipica e non solo editoriale della stampa di oggi, alla loro messa a fuoco nei dispositivi di controllo del liberismo contemporaneo. Ha funzioni decisamente meno sistemiche di altre testate ma alimenta un immaginario comune sul bestiario da contenere nelle società contemporanee.
Il Fatto costruisce dinamiche di contenimento degli animali di piazza come per qualsiasi minaccia alla proprietà. Tiene assieme due dinamiche di regressione del discorso pubblico: quella della riduzione della complessità sociale a questione di violazione della proprietà e quella della animalizzazione dei soggetti sociali. Le dinamiche sociali al Fatto non interessano: è l’animale black bloc che va rappresentato con tutto il panico morale possibile. Quello verso la violazione della proprietà, della legalità sottintesa (perché legalità e proprietà sono la stessa moneta), nell’invocazione di una calda e rassicurante pratica di polizia.
Berlusconi ha detto ai giornalisti del Fatto: “cosa scrivereste senza di me”. Si sbagliava: l’animalizzazione dei soggetti sociali ha grande futuro sulle pagine del quotidiano diretto da Padellaro. E si mette in concorrenza con quella operata dalle grandi testate nazionali come Repubblica e il Corriere. Che è meno coinvolgente, calorosa di quella operata dal Fatto. Dove si rappresentano assieme prostitute del potere, ladri, hooligans, black bloc in quei minuti dell’esecrazione, celebrati durante la lettura del giornale, che rappresenta l’unico calore umano che si può oggi permettere la regressione cognitiva di molti lettori di centrosinistra e di sinistra.

per Senza Soste, nique la police

19 ottobre 2011

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1 Commento


  • renato

    già ma se ci fosse una forza politica pur modesta ma seria come in Grecia ed un Sindacato pur modesto e altrettanto serio ,con i piedi ben piantato nel piatto tutta questa stampa animalista sarebbe costretta a fare altri conti. Da una stampa allevata nel brodo golpista bipartizan non puoi esigere una diversa deriva,finche non si costruiscono le ragioni ed il programma che mette a ferro e fuoco le sciagurate scelte liberiste e con esso si metta pure il paese

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