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Territorio. “Quando piove sul bagnato”

“Piove, Governo ladro”. Un detto che riecheggia spesso tra il banale e l’ironico, ma forse in relazione ai fatti di questi ultimi giorni suona in tutta la sua piena verità. Ladri di denaro pubblico speso per interessi privati, ladri di territori, ladri di vite. Decine di morti in pochi giorni di piogge, territori irriconoscibili, centri abitati devastati, centinaia di famiglie rimaste senza casa e senza alternative, non hanno la possibilità di mettere un trolley su un aereo e cambiare residenza spostandosi semplicemente in una delle tante a disposizione. Lo abbiamo visto ora al nord, Liguria, Toscana, Piemonte, come lo abbiamo visto non più di due anni fa al sud, soprattutto nel messinese.

Certo, sono state piogge torrenziali e violente, e anche su questo si dovrebbe riflettere, ma non può essere comunque addotta come giustificazione. La natura che si accanisce contro l’uomo e contro la quale nulla si può fare è una rassegnazione strumentale, usata solo per tentare di nascondere responsabilità. Qualcuno potrà dire che i disastri maggiori sono avvenuti in territori montani, dove è la morfologia del territorio che rende ovvio tutto questo, ma anche questa giustificazione ha tutto l’aspetto del mistificatorio o, se in buona fede, dell’infantilismo ancor più dell’infantile. Lo sanno anche i bambini, e lo abbiamo sperimentato anche tutti noi nella nostra infanzia giocando sulla spiaggia, che l’acqua ha le sue dinamiche e le sue regole fisiche, non serve essere ingegnere idraulico o architetto ambientale, fisico o naturalista.

L’acqua è un ciclo chiuso, che transita dalle sorgenti ai fiumi fino al mare, che evapora in atmosfera e ricade sulla terra. In questo ciclo naturale modella il territorio, crea montagne e valli, disegna coste marine. L’uomo agisce su questo ciclo, lo ha sempre fatto, e ci mancherebbe altro che non lo facesse vista l’importanza di questo elemento per la nostra vita. Come ogni altro essere vivente agisce sul proprio ambiente traendone vantaggio. Ma è proprio l’opportunismo del trarne vantaggio che ha sempre creato il presupposto di un rapporto armonioso. Evidentemente è cambiato il motivo dell’opportunità. Dalla cura del territorio lungimirante e per la qualità della vita, anche a fini produttivi, si è passati all’uso esclusivamente per fini speculativi, di rendita, di produzione senza limiti. Le naturali zone alluvionali, delle quali ogni fiume ha bisogno, sono diventati terreni da lottizzare, le pendici delle zone montane e submontane luoghi da disboscare brutalmente, da tagliare con strade insensate, da perforare con chilometriche gallerie, da sventrare con cave estrattive e senza nessun ripristino ambientale a fine estrazione, i greti dei fiumi come sede di fondazioni per edifici abitativi o completamente ricoperti da piazze e strade, argini cementificati e imbrigliati nel tentativo di conquistare metri da edificare, valli di bacini idrici usati per impiantare discariche o mega dighe per centrali idroelettriche di centinaia di MW di potenza, solo per fare alcuni esempi.

In Italia, in soli 10 anni, dal 1995 al 2005, l’espansione dell’urbanizzazione ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti e in assenza di pianificazione sovra-comunale: i comuni hanno rilasciato in media permessi per costruire per 3,1 miliardi di metri cubi (22,3 all’anno per abitante). E si tratta solo dell’edificazione legale. Nel 2001 le aree urbanizzate includevano il 6,4% del territorio nazionale, con un incremento del 15% rispetto al 1991. Di contro, nello stesso periodo, la popolazione italiana è rimasta sostanzialmente invariata (crescita zero). Le aziende agricole sono diminuite nel decennio 2000-2010 del 32%, quelle con meno di 1 ettaro di Superficie Agricola Utilizzata (SAU), quindi le piccole imprese agricole, diminuiscono del 50,6% e rappresentano nel 2010 il 30,9% del totale delle aziende agricole italiane, mentre erano il 42,1% nel 2000. la SAU totale in Italia è diminuita in 10 anni di quasi il 3%. E questo solo relativamente ai dati dell’agricoltura degli ultimi 10 anni, ma la perdita percentuale sarebbe decisamente più alta se si valutassero gli ultimi 30/40 anni.

Quello dell’assesto idrogeologico è in Italia un problema antico e drammatico come testimonia una recente ricerca del CNR secondo la quale, tra il 1960 e il 2010, sono stati 3.407 i morti per frane, 715 quelli per inondazione.

Proprio qualche mese fa la Regione Liguria, una delle più colpite dai recenti alluvioni, ha approvato un provvedimento (Regolamento regionale n.3/2011, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Liguria del 20 luglio 2011) che ha ridotto da 10 a 3 metri le distanze minime di edificazione vicino ai corsi d’acqua.

La gestione del territorio dal punto di vista geologico, naturalistico, paesaggistico è una scienza che non si può continuare ad ignorare.

Non piangano allora gli amministratori, nazionali e locali, perché tutti sanno parlare di sviluppo sostenibile, di “Agenda 21”, di Piani di Assetto Idrogeologico mai realizzati effettivamente. Sono solo lacrime di coccodrillo.

* Commissione Ambiente della Rete dei Comunisti

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