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Fascisti finché non li beccano

Quando tre anni fa Nicola Tommasoli fu ammazzato, in una via di Verona, da quattro ragazzi che indossavano bomber neri, che andavano ai cortei di Forza Nuova, che alla domenica erano spesso in curva, accadde un fenomeno piuttosto curioso. Si scoprì che non erano di destra. Il sindaco Tosi affermò che la politica non c’entrava niente, il presidente della Camera Fini ammise che forse la politica poteva entrarci un po’, ma che a Torino quello stesso giorno a un corteo di sinistra avevano bruciato una bandierina d’Israele e questo era ugualmente grave, uno a uno palla al centro. Il coordinatore di Forza Nuova negò. Il Fronte Veneto Skinheads si dissociò, insomma quei quattro ragazzi che si vestivano come ragazzi di destra, che frequentavano ritrovi di destra, che menavano i capelloni come da decenni usano fare i ragazzi veronesi di destra… improvvisamente nessuno li conosceva più. Smisero di essere di destra nell’attimo esatto in cui furono beccati.

Ieri, nel momento esatto in cui Gianluca Casseri – che frequentava gruppi di destra, che scriveva cose di destra – l’ha fatta finita, a Casa Pound improvvisamente si sono dimenticati di lui. Non lo avevano mai conosciuto. Nel giro di pochi minuti sul sito della Casa non c’erano più i suoi lunghi articoli, deliri molto dettagliati, che ricordano per certi versi il testamento di Breivik. C’è da dire che Breivik nella scelta del luogo e del momento ha rivelato una lucidità ben più spaventosa di Casseri, che si è limitato a sparare nel mucchio. Però non era un matto: sapeva scrivere ed era molto apprezzato a Casa Pound. Dove c’è gente svelta, se non ad agire perlomeno a cancellare.

E insomma circolare, non c’è niente da vedere: si tratta solo di aspettare la prossima bandierina bruciacchiata, la prossima vetrina scheggiata, la prossima orda di editoriali accigliati sull’emergenza terrorismo, sulle nuove BR che senz’altro stanno nascendo nei pericolosi centri sociali di estrema sinistra. (Fonte: Leonardo Tondelli)

 
A proposito dei ‘contributi’ che il ‘folle’ Casseri amava pubblicare sui siti di Casa Pound e repentinamente rimossi ieri pomeriggio dai webmaster dell’organizzazione di Iannone, ecco una chicca recuperata grazie alla prontezza dei compagni di ‘Militant’. Era fuori di testa Casseri? probabilmente si, come tanti di quei violenti attratti dalle ideologie xenofobe e militariste professate dal vasto arcipelago delle organizzazioni di estrema destra. Ma la ‘follia’ di Casseri non ha impedito ai dirigenti di Casa Pound di tollerare che il personaggio frequentasse le loro sedi, partecipasse nel ruolo di relatore ai loro seminari, scrivesse articoli sui loro siti, contribuendo a ‘formare’ (mai una parola è stata più inadatta!) le giovani leve del neofascismo del 3° millennio. 

Adriano Romualdi alle radici dell’Europa (Gianluca Casseri)

Settanta anni or sono nasceva Adriano Romualdi. Quando morì nel 1973 per un incidente stradale, nonostante la giovane età lasciò una cospicua mole di scritti che spaziano da Platone a Nietzsche, da Evola alla Destra tedesca, dagli Indoeuropei alla seconda guerra mondiale. Dotato di notevole preparazione e lucidità, fino ad oggi nessuno è stato in grado di sostituirlo come studioso e teorico all’interno del neofascismo italiano. Comunque, il fatto che non sia più qui, non è una scusa per ignorare la via che indicò quattro decenni or sono, giacché quella stessa via possiamo sempre percorrerla noi. Così Adriano Romualdi, pur risultando morto all’anagrafe, continuerà a vivere.

Ad agevolarci il compito c’è il fatto indiscutibile che le sue idee siano valide ancora oggi, come mi propongo di dimostrare con questo scritto. Qualche anno fa, potemmo gustarci l’acceso dibattito sulle “radici dell’Europa” che opponeva quelli che le cercavano nel cristianesimo a chi invece le identificava nel razionalismo illuminista, riconoscendo questi ultimi qualche debito nei confronti dei filosofi greci. Tra tutti, nessuno ammetteva la possibilità che un’ulteriore punto di vista potesse entrare nel dibattito, avanzando la scandalosa proposta che le radici dell’Europa affondano in un terreno diverso tanto dal cristianesimo quanto dalla filosofia razionalista. Non c’è quindi da meravigliarsi se un testo che effettivamente illustrava una terza posizione sia rimasto pressoché ignorato. Mi riferisco al saggio di Adriano Romualdi Sul problema d’una Tradizione Europea, pubblicato nel 1973.

Come chiarisce il titolo, l’obiettivo dell’autore era di individuare un complesso di valori tradizionali che appartenessero ai popoli del nostro continente. In effetti, allorché Romualdi denuncia “la confusa accettazione di tutti i contenuti storici che, nel corso dei secoli, han riempito lo spazio europeo”, sembra prevedere i termini della controversia a cui accennavo, e, come avvertisse che non sarebbe stato presente, ribatte in anticipo alle posizioni che vi si sarebbero delineate, respingendole una ad una. Così lo studioso nota che il pensiero razionalista dei philosophes “occupa appena due o tre secoli della millenaria storia europea”, e non rappresenta che “un aspetto particolare della aspirazione alla chiarezza insita nella vocazione apollinea” dei popoli europei.

A chi poi sostiene “l’equazione cristianesimo-civiltà europea”, rammenta che “il cristianesimo è alcunché d’importato e, sebbene copra gli ultimi mille anni d’una tradizione europea, ne lascia fuori uno dei momenti più tipici […] il mondo classico.” Ma anche “una troppo stretta equazione Europa-classicità” ci porterebbe fuori strada, se intendessimo  la classicità “in un senso del tutto esteriore, umanistico e razionalistico.” Ridimensionate quelle che allora come oggi erano e sono considerate le radici dell’Europa, Romualdi inizia a scavare nella nostra cultura per portare alla luce ciò che per lui costituisce “il senso d’una «tradizione europea»”. È chiaro che la concezione della storia seguita dallo studioso non è quella che scopre un continuo progresso materiale dell’uomo, un avanzare della civiltà destinata all’immancabile trionfo sulla barbarie. Per lui la storia è invece costituita dall’incontro e dallo scontro tra diverse visioni del mondo, di cui sono portatori gruppi etnici diversi. Quindi il carattere di un popolo non dipende tanto dal fatto che irrighi i campi o che si limiti a condurre il bestiame al pascolo, che costruisca città o che vaghi nella steppa, giacché non sono le condizioni materiali di vita a influire sullo spirito degli uomini, bensì i miti e i simboli in cui si riconoscono.

Così, allorché i popoli di razza nordica calano sulle sponde del mediterraneo travolgendo le civiltà matriarcali “è significativo che questa irruzione s’accompagni alla comparsa di simboli solari. Nasce la svastica […] nascono la croce raggiata, il cerchio riquadrato, il disco puntato e quello radiante”. Il Romualdi storico ha occhio per “il principio paterno che urta contro la «civiltà della Madre»; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità; l’ethos delle «società degli uomini» contro la promiscuità entusiastica dell’antico matriarcato.” Il rifiuto di una concezione della storia vista come continuo progresso materiale non è il solo punto su cui lo studioso avversa la vulgata corrente. Egli denuncia anche “la caducità di certe contrapposizioni Oriente-Occidente” là dove l’Occidente dovrebbe essere rappresentato dal Cristianesimo e l’Oriente dalle religioni dell’India.

Nella spiritualità primordiale dell’India vedica, Romualdi riscontra “il concetto centrale della religiosità indoeuropea e della razza bianca: quello dell’Ordine […] inteso come lògos universale e collaborazione di tutte le forze umane con tutte le forze divine”. Tale Ordine, “essenza dell’universo indoeuropeo, è nel mondo e fuori del mondo. È la scaturigine da cui sgorgano il kòsmos visibile e quello invisibile”; per il suo mantenimento “collaborano sia lo spirito dell’uomo, sia più alte potenze. L’intelligenza umana non è contraddetta, ma completata, dalla presenza di una intelligenza della natura e dell’universo. Di qui l’imperativo che spinge questa razionalità umana a farsi azione, unificando nella sua lotta i motivi dell’ordine umano e di quello divino. L’Ordine  –  la misura delle cose  –  va strappato ogni giorno alle forze elementari del caos e della notte.” Una spiritualità  affine a quella degli Aryas conquistatori dell’India, Romualdi la riscontra nei Dori reggitori della polis spartana, nonché nella Roma fondatrice di un Imperium universale, massima manifestazione storica dello spirito solare e virile dei popoli europei. “Ma la tradizione europea si eclissa con l’affermarsi del cristianesimo. La teoria d’una diretta continuità della romanità nel cristianesimo è un abbaglio”.

Sarà con i Germani, organizzatori di “una nuova ecumene europea”, che si avrà “il riaffacciarsi d’una antica visione dell’interiorità della stirpe nordico-europea”, sfociante nel medioevo ghibellino di Federico di Svevia e nella mistica germanica di Meister Eckhart. Di fronte a queste ultime manifestazioni, lo studioso riconosce che “l’innesto della religiosità cristiana nella sostanza spirituale europea è un fatto innegabile”, ma, negando che la Cristianità sia fondamento della “civiltà europea”, la vede “come un momento – sia pure importante – d’una storia assai più lunga”, e quindi il suo ruolo appartiene al passato. Voltando pagina “il mondo della tecnica conquista il suo spazio.” Nella scienza moderna Romualdi scorge “una ignoranza d’ogni altra prospettiva, ma anche uno spirito di razionalità e di padronanza che s’inquadra nel contesto d’una tradizione europea.” Così scienza e tecnica presentano “una aderenza allo stile interiore dell’uomo bianco che non si può disconoscere”, e l’operosità del tecnico è “l’ultima, tardiva incarnazione della spiritualità europea”.

Lo studioso è  convinto che l’uomo europeo “non può cessar di ascoltare il suo interiore comando che è quello di creare e di sostenere l’ordine. Midgard – il paese di mezzo, il paese dell’uomo – va comunque difeso contro Utgard, contro le forze del caos  urgenti dal «paese esterno».” Riflettendo sul miserevole stato in cui versa l’Europa nel momento in cui scrive – e oggi non è certo migliorato – Romualdi, pur senza farsi illusioni, afferma che “il risanamento della nostra civiltà è un nostro compito interno.” Se la battaglia è disperata non per questo dobbiamo abbandonare il campo: le forze del caos non cantino vittoria, “perché il centro vada completamente perduto, e la luce spenta, occorre che l’immagine dell’homo europaeus sia prima estinta”. Ma per esser certi che le radici dalle quale assorbire la forza per combattere siano le nostre, dobbiamo trovare una forma spirituale “che non rappresenti un qualunque sincretistico pasticcio ma che riscopra il fondo della spiritualità propria dell’uomo bianco”.

Lo studioso non teme di prospettare una via, per quanto aspra: “Una moderna spiritualità europea non potrà non configurarsi come essenzialmente attiva in un mondo in cui il tema centrale è quello del padroneggiamento delle forze elementari. L’invasione dell’elementare – tecniche, distanze, eccitazioni – sembra essere la caratteristica della nostra epoca. Esso richiede una capacità di disciplina e di semplificazione aliena da ogni sbavatura spiritualistica.” Questo stile, “presagio d’un nuovo classicismo”, Romualdi lo riscontra nei Fascismi europei, che “tentaron di fondere la chiarità delle origini con la nuova chiarità irradiantesi dalla tensione atletica e dal dominio della materia.” E lo studioso, chiedendosi se “questa esperienza è tutta dietro le nostre spalle”, conviene che “difficilmente potremmo articolare la tematica d’una nuova spiritualità europea prescindendo da quei tentativi di fondere chiarità antica e audacia moderna.” Il viaggio di Romualdi è terminato. Partito da un pensiero rilucente, come il sole primordiale che lo vide nascere nella patria hyperborea, è giunto ad auspicare la riscoperta di quello stesso pensiero, per riallacciarsi a una Tradizione veramente europea che veda lo spirito dominare la materia utilizzandone le forze. Se la modernità vorrebbe oscurare la verità che sta alle origini per impedire un ritorno ad essa, la proposta di Romualdi si propone come l’ultima speranza per un’Europa che privata delle sue autentiche radici ha perduto la propria strada. In questo non c’è niente di strano: chi non sa da dove viene, neppure può sapere dove va. 

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