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E se ricominciassimo a discutere e a reclamare, di nuovo, il reddito per tutti?

Da qualche anno la tematica del diritto al reddito/salario era stata espunta di forza dall’agenda politica dei movimenti e dal dibattito generale sotto i colpi dell’offensiva padronale all’intero sistema del welfare e dei diritti politici e sindacali.

Una pesante lotta di classe, dall’alto verso il basso, che ha costretto al ripiegamento e all’inalveamento sociale anche quelle iniziative di mobilitazione e di lotta (dalla May Day alle varie reti di movimento…) che, comunque, avevano garantito, nel recente passato, la permanenza di una attenzione e di un discreto protagonismo conflittuale a partire dalla principali aree metropolitane del paese.

Una rimozione di cui è stata complice l’azione della sinistra e del sindacato collaborazionista il quale, in ossequio al suo corso storico e politico, ha sempre negato il valore sociale e ricompositivo di una battaglia che puntasse alla ricomposizione dei diversi soggetti coinvolti dalle svariate modalità con cui si articolano le forme del moderno sfruttamento capitalistico.

Ritorna, oggi, dentro quell’astuto dispositivo culturale e mediatico squadernato dal Governo Monti, la questione reddito la quale viene impulsata come una sorta di specchietto per le allodole e di vera e propria bomba ad orologeria per disintegrare, ulteriormente, ciò che residua dei fattori di unità politica e materiale del mondo del lavoro.

E’ evidente, e non potrebbe essere diversamente, che la dottoressa Fornero allude ad una forma non meglio identificata di reddito garantito in un ipotetico articolato di ammortizzatori sociali e di norme da delineare in uno scenario caratterizzato da un mercato del lavoro privato da qualsiasi elemento di protezione generale universale.

Un contesto dove emergerebbero, con brutale nettezza, tutti i tratti della desolidarizzazione tra lavoratori, di frammentazione tra le varie figure sociali e di contrapposizione tra giovani e vecchi, tra garantiti e precari, tra disoccupati e immigrati..verso una scomposta competizione al ribasso totalmente a vantaggio del profitto.

Solo, quindi, in una situazione del genere i poteri forti del capitalismo tricolore sono disposti ad alludere, seppur confusamente, al tema del reddito/sociale il quale potrà essere proposto solo a condizione di una più pesante destrutturazione/disarticolazione del mondo del lavoro in ogni sua configurazione.

Troveremo, infatti, negli annunciati incontri tra governo e cosiddette parti sociali, subito dopo la pausa festiva, tale questione accompagnata ed ammanta dall’intero corollario di mistificazione e di opacizzazione mediatica che sta contraddistinguendo la linea di condotta dell’esecutivo Monti.

Perché, dunque, anche alla luce dei concreti effetti che la crisi economica sta producendo (aumento dei licenziamenti, delle ore di cassa integrazione, dismissione di interi rami e comparti aziendali…) non lanciare una discussione in grado di rivitalizzare una parola d’ordine storica dei movimenti di lotta metropolitani (ad iniziare da quelli dei disoccupati e dei precari..) ricollocandola dentro l’attuale scenario politico?

Perché, a partire dalle tante vertenze sociali e sindacali disseminate nel paese, non puntiamo collettivamente alla riqualificazione politica e progettuale della battaglia per il reddito/salario garantito e per tutti intrecciandola alla mobilitazione No/Debito e all’insieme delle risposte che nei posti di lavoro e nei territori si alimentano contro i costi della crisi capitalistica?

Sarebbe ora, finalmente, di togliere dalle mani dei banchieri, di Monti e della Fornero questa questione riconsegnandola alle dinamiche vere del conflitto e all’organizzazione sociale con l’auspicio di riconnetterla alle mobilitazioni in atto e per affermarla concretamente nella società e nei rapporti di forza.

 * Rete dei Comunisti

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