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A Catania il sessismo uccide ancora

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Ogni giorno che passa è un giorno in cui aggiornare il triste bollettino che vede le donne vittime della violenza di padri, mariti, fidanzati, zii e fratelli. I dati d’altronde parlano chiaro: in Italia sono 136 le donne uccise dall’inizio del 2011 e circa nell’ottanta per cento dei casi di violenza quotidiana (ma alcuni dati parlano addirittura del novantaquattro per cento) l’aggressore aveva le chiavi di casa. Non lo straniero, l’immigrato violentatore che arriva nel nostro paese per fare razzie e violenze, come i razzisti (sessisti) vogliono far passare ma il maschio italiano che vive sotto lo stesso tetto delle proprie vittime.
Una vera e propria guerra a bassa intensità fatta di silenzi, di cronaca nera e di ordinario sessismo perpetrato ai danni di donne ree soltanto di essere persone, di rifiutare quel ruolo imposto dalla società e dalla famiglia, che le relega ad essere semplici corpi di proprietà dell’uomo di turno, che si tratti del padre o del fidanzato, e di voler autodeterminarsi vivendo la propria vita decidendo per sé stesse in base a ciò che è meglio per loro.
La storia di Stefania, una ragazza della provincia di Catania, in questo senso non fa eccezione: Stefania era una studentessa di Lettere e Filosofia che qualche giorno fa è stata massacrata a coltellate dal fidanzato. Fidanzato che non ha risparmiato nemmeno i nonni, i quali, nel tentativo disperato di difenderla, sono stati massacrati insieme alla nipote.
Stefania aveva appena 24 anni era una compagna, una che aveva partecipato intensamente al movimento dell’Onda rendendosi protagonista delle lotte studentesche con l’ostinata testardaggine che contraddistingue coloro che non accettano di subire il destino di sfruttamento e precarietà imposto dai potenti.
Una che nel triste panorama della provincia di Catania, in quel minuscolo paesino di Licodia Eubea dove abitava, rappresentava l’anomalia che in qualche modo doveva essere normalizzata per essere ricondotta al triste ruolo di fidanzata perfetta domata e domabile. Nessun movente passionale o raptus di un folle, come tentano di far passare i media ufficiali in un’ottica giustificazionista, ma lucido progetto di un uomo, il fidanzato, incapace di accettare il rifiuto di chi ha deciso di vivere la propria vita per sé stessa, lasciandosi il passato alle spalle. Rifiuto, quello di Stefania, pagato a prezzo della vita stessa, sublimato in quell’omicidio carico di tutta la brutalità e la violenza indirizzata contro chi merita di essere punita per la propria insubordinazione.
Gesto di un fidanzato ancora legittimato da una società che vuole le donne investite di stereotipi che le relegano ai ruoli (solo apparentemente dicotomici) o di arriviste disposte a tutto pur di scalare la vetta o di angeli del focolare disposte a qualunque sacrificio pur di salvare la morale e la famiglia. Rappresentazioni queste del tutto fuorvianti che in comune hanno il fatto di dipingere la donna sempre come oggetto e mai come soggetto delle proprie azioni e della propria vita e che fungono da cornice al sessismo dominante e al femminicidio (perché di questo si tratta) che avviene ogni giorno nel Bel Paese.
Fermare questa guerra è possibile e necessario e Stefania in qualche modo ne aveva tracciato l’esempio: bisogna rifiutare con forza ogni logica vittimista e di delega che vuol le donne sempre in secondo piano, riappropriarci di quel protagonismo nella vita come nelle lotte, avendo presente che l’unica emancipazione possibile sta nella rivolta e nell’abbattimento dello stato di cose presente.

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