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Il governo della Diaz

Non abbiamo (ancora) avuto una riedizione delle torture di Bolzaneto, è vero. Ma la Stazione di Porta Nuova è stata teatro di un agguato altrettanto immotivato di quello alla scuola Diaz. Come quel giorno a Genova, c’era stata una grande manifestazione priva degli “attesi” incidenti, nonostante evidenti e ripetute provocazioni durante il corteo. Nella sera, allo stesso modo, è scattata la “vendetta” verso piccoli gruppi di manifestanti presi a caso; allora tra quelli che dormivano nella scuola, sabato tra quanti stavano tornando a casa in treno. Che il capo della Polfer di Torino sia per caso quello stesso Spartaco Mottola condannato a cinque anni per i fatti della Diaz non è per nulla un caso. Ogni “logica” ha i suoi interpreti più adatti. O più affezionati.

Salvatore Palidda, su il manifesto, riconosce in queste prassi una logica “di guerra”. È giusto, naturalmente. Quindi bisogna chiedersi da dove provenga questa determinazione omicida nei confronti – oggi come allora – di un movimento assolutamente pacifico.

La crisi economica oggi è forte, dieci anni fa appena visibile. Aggrava dunque tendenze già in atto, radicalizza comportamenti già previsti – a prescindere – dalle “regole d’ingaggio” delle varie polizie. Non c’è più nella cabina di regia della questura l’ex fascista Gianfranco Fini (nel frattempo assurto nell’Olimpo dei democratici per aver rotto con il Cavaliere), ma le modalità di azione sono le stesse. Scusate: ma non avevamo “finalmente” un governo che ci ha “liberato” dalla dittatura berlusconian-fascista?

Abbiamo tutti potuto vedere Luca Abbà “inseguito” sul traliccio dove s’era arrampicato, fino a salire ben oltre il limite di sicurezza che s’era certamente dato. Dal punto di vista dell’”ordine pubblico” quell’inseguimento non ha senso. Un uomo che sale su un traliccio può solo scendere, prima o poi; non costituisce un pericolo per nessuno. Se non come icona replicabile.

L’unica logica riconoscibile – nell’inseguimento a Luca come nell’agguato a Porta Nuova – è dunque quella di uno Stato che non prevede opposizione, neppure pacifica. È un salto di qualità che non può essere banalizzato o messo tra parentesi.

Contemporaneamente, infatti, il tamtam mediatico suona un ritornello assolutamente complementare: nessuna opposizione è davvero pacifica. Non contento di aver emesso un’ordinanza monstre contro il movimento No Tav, il procuratore Caselli ha colto l’occasione di un ferito grave – per colpa delle forze dell’ordine – per occupare berlusconianamente tutti gli spazie televisivi e ripetere che “il movimento No Tav deve prendere le distanze da violenti”. Rovesciamento completo, dei fatti e del senso. È il contributo che la “sinistra legalitaria” – l’unica ammessa, nel “nuovo ordine” – porta alla costruzione della gabbia di regime.

In queste condizioni discutere di “legalità” equivale a prendersi per i fondelli da soli. Abbiamo un governo non eletto democraticamente, ovvero che non deve rispettare la “sintesi dei diversi e legittimi interessi sociali”. Una forma di governo – Casini dixit, e Berlusconi annuisce – che “deve restare anche al di là delle elezioni del 2013”. Che saranno dunque praticamente e politicamente inutili. In questa sospensione a tempo indeterminato della democrazia c’è un governo che comunque legifera, istituisce una nuova “legalità” socialmente – dunque politicamente – irresponsabile. Ma vincolante fino al manganello.

Non è questa una forma di governo che possa tollerare un’opposizione, perché sta eliminando gli strumenti della mediazione sociale. A partire dalla spesa pubblica a questo dedicata, passando per la destrutturazione dei “corpi intermedi” (sindacati e partiti).

È una costruzione potente, ma fragile. Deve mantenere le apparenze della “democrazia”, mentre ne distrugge la sostanza. Ma non può farlo per troppo tempo; rischia di “saturare” l’attenzione e mostrarsi infine nuda menzogna. La sua intolleranza per l’opposizione pacifica nasce da qui. Per questo, fin dal primo giorno del suo insediamento, evoca scenari “violenti” e semina “allarmi”. Anche a mezzo posta.

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