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Effetti collaterali dell’alta velocità

Un modello “competitivo” idiota, neppure adeguato a raggiungere lo scopo che dichiara. Il ragionamento di Berdini, che qui pubblichiamo, andrebbe forse articolato a fondo: se in un paese si “valorizzano”, collegandole meglio, solo aree già sviluppate e quindi “importanti”, arretreranno ancor più quelle in ritardo o secondarie. Risultato: la capacità “competitiva” complessiva diminuisce e si creano immense zone di disagio e degrado, sia urbano che sociale.

Ma sembra questo il “modello” del capitalismo prossimo venturo: non potendo “sviluppare tutto il mondo”, ci si rinchiude in aree protette hi tech e il resto vada a ramengo. Caso mai manderemo dei droni a tenerli buoni…

C’è qualcuno disposto a ragionarci sopra?

Gli effetti collaterali dell’alta velocità

Paolo Berdini

Quando negli anni ’90 si decise la realizzazione del Tav tra Firenze e Bologna i sindaci del Mugello – in prevalenza contrari alla grande opera – furono piegati sulla base dello slogan «da Roma si arriverà in tre ore a Milano. L’economia ripartirà: chi è contro si oppone al progresso». Il professor Monti nella sua conferenza stampa di venerdì scorso non ha dunque inventato nulla quando si chiede retoricamente se c’è qualche primitivo (i valsusini, ovvio) che vuole impedire di arrivare da Torino a Parigi in quattro ore. Purtroppo per lui, i vent’anni trascorsi hanno reso esplicito l’imbroglio perpetrato ai danni delle popolazioni del Mugello e del paese.
È infatti vero che oggi si impiegano tre ore per collegare le due maggiori città italiane, ma con tre gravissime conseguenze. La prima riguarda il fiume di soldi speso per raggiungere l’obiettivo: oltre 50 miliardi di euro che hanno tolto risorse preziose al resto della rete ferroviaria nazionale e allo stesso sistema del welfare. La seconda riguarda lo scempio ambientale dell’intero Mugello. 28 fiumi cancellati, 37 sorgenti disseccate, 3 acquedotti fuori uso, popolazione che si rifornisce con autobotti. Il movimento no-tav della val di Susa lo richiama in continuazione, ma a che vale la sua voce contro quella dei responsabili di quella vicenda, e cioè il consorzio Cavet in cui erano rappresentati Impregilo, Generali, Banca Popolare di Milano, Fondiaria Sai, Autostrade e l’immancabile cooperativa? Nulla: sono infatti essi a controllare la grande informazione.
Ma ancora più importante è la terza conseguenza. Chi si opponeva all’avventura Tav criticava alla radice il modello territoriale che si voleva perseguire. Era infatti chiaro che privilegiando il collegamento tra le aree urbane forti del centro-nord si lasciava indietro tutto il resto. Un’intera nazione non può competere sullo scacchiere internazionale se si limita a potenziare le aree già forti: così incrementa gli squilibri territoriali. Un mese fa una nevicata abbondante non ha inciso sulla linea tra Roma e Milano, ma la rete nazionale si è bloccata proprio in conseguenza dei tagli di spesa causati dall’emorragia di finanziamenti spesi per quella grande opera.
Nella stessa conferenza stampa, il presidente del Consiglio ha anche utilizzato l’immagine di un paese le cui possibilità di collegamento con l’Europa dipendono niente meno che dalla Torino-Lione. Qualche giorno fa, in sede di conversione del «decreto Monti», è stata reintrodotta la possibilità di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione da parte del titolare del permesso di costruire. Fino a un importo di 4 milioni e 845 mila euro i proprietari immobiliari potranno realizzare opere pubbliche derogando dall’obbligo della gara di evidenza pubblica come nell’Europa civile. L’Ance ha salutato con giubilo la norma e viene naturale una domanda. Restiamo ancorati all’Europa se sperperiamo altri 18 miliardi di euro devastando la val di Susa o se ripristiniamo le regole di trasparenza della spesa pubblica che vengono calpestate quotidianamente per soddisfare gli appetiti dei poteri forti?

da “il manifesto”

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