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In piazza contro Monti, Marchionne e Draghi

Il governo Monti si muove come un treno, anzi come una Tav, nella devastazione dei diritti sociali e civili del paese. Il suo è il classico programma della destra liberale europea, quello di Merkel e Sarkozy, di cui non a caso Monti si augura la rielezione. Questo è anche il programma della Bce guidata da Draghi. In una famigerata lettera inviata ancora al governo Berlusconi, la Bce e la Banca d’Italia, chiedevano quei tagli sociali e quel via libera ai licenziamenti che oggi il governo sta realizzando. E’ chiaro infatti che anche la cosiddetta trattativa sul mercato del lavoro ha uno sbocco segnato: la messa in discussione dell’articolo 18. Così come si è devastato il sistema pensionistico, con una controriforma che ha reso quello italiano, lo riconosce la stessa Unione Europea, il più feroce del continente. Nel frattempo il parlamento dei nominati cambia la Costituzione in un punto fondamentale, il pareggio di bilancio. Questa scelta, combinata con il trattato europeo denominato “fiscal compact”, che impegna l’Italia per vent’anni a fare tagli di spesa e manovre per ridurre della metà il debito pubblico, produrrà una miscela micidiale ai danni dello stato sociale e dei diritti. La stessa miscela che sta distruggendo la civiltà e la democrazia in Grecia.

Questa politica di austerità e tagli comunque non rinuncia agli sprechi. Il primo è proprio quello della Tav in Valle Susa, ed è per questo che la lotta di quel popolo e di quel movimento parla a tutta Italia. Il secondo è quello degli F35, il cui costo abnorme passa sotto silenzio mentre non si trovano neanche i soldi per assumere gli insegnanti di sostegno.

In continuità con il periodo berlusconiano resta  poi la copertura governativa alla continua aggressione ai diritti dei lavoratori e alla sfacciataggine di Marchionne. Che da un lato afferma di amare tutto di Monti, e credo che ne sia ricambiato, e dall’altro continua a rispondere con arroganza e strafottenza alla Fiom e a quelle persone perbene che gli chiedono che fine abbia fatto il suo programma di investimenti e di lavoro.

Insomma un partito minimamente di sinistra avrebbe non una, ma mille ragioni per scendere in piazza con i metalmeccanici. La segreteria del Pd non ne ha trovata neanche una e questo segna la sua crisi. La stessa del Pasok Greco, che è precipitato all’’8% mentre sostiene i governi bipartisan che massacrano quel paese.

Il 9 marzo quindi i metalmeccanici scendono in piazza contro Marchionne, contro l’attacco al contratto, ma anche contro il governo. E’ inutile usare infingimenti. Le lotte in campo oggi, tutte, possono essere diverse, ma l’avversario è comune. Quel governo autoritario delle banche e della finanza che distrugge i diritti e la democrazia e di cui nel nostro paese non sono certo una giustificazione o una copertura le continue benedizioni da parte del Presidente della Repubblica.

E’ vero, la manifestazione della Fiom ha un significato più vasto, come ce l’hanno quella dei No Tav e le altre lotte: esse sono il segnale del risveglio di un paese che, nonostante la melassa del palazzo e dell’informazione, comincia a scoprire e a contestare il disastro economico e le responsabilità del governo. Un risveglio che reagisce all’abulia dei sindacati confederali e allo stato confusionale e all’inettitudine di ciò che resta del centrosinistra. Lo sciopero dei metalmeccanici segnerà un punto di svolta, è l’avvio di un processo di lotta, di opposizione, di alternativa.

Per questo, subito dopo, diamo appuntamento il 31 marzo a Milano per scendere in corteo dalla Bocconi a piazza Affari, cioè per manifestare contro le vere sedi delle decisioni che stanno distruggendo i diritti sociali e civili del nostro paese.

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