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Perché ho votato contro al direttivo Cgil

Su questo, almeno da parte nostra, non ci sono dissensi e incertezze.
Il punto vero su cui si è a lungo discusso riguarda la posizione concreta che la Cgil assume sull’articolo 18 e un po’ su tutto il resto. Nel corso della discussione, e ancor più nelle conclusioni del segretario generale è emersa con chiarezza la seguente posizione. Oramai il danno è terribile, questo governo va avanti come un treno con i consensi, anche istituzionali che ha. Il governo Monti è sostanzialmente contro di noi, ma per combatterlo dobbiamo costruire alleanze e proposte tali da metterlo in difficoltà. Per questo sull’articolo 18 non si può mantenere la posizione sinora assunta dagli organismi – quell’articolo non si tocca -, ma bisogna essere disponibili a delle mediazioni che salvino la sostanza.

Per queste ragioni il direttivo ha respinto a maggioranza, 73 contro 30, un emendamento al documento finale presentato da Nicola Nicolosi e Maurizio Landini e votato anche dai segretari generali della conoscenza e della funzione pubblica che, in maniera semplice e chiara chiedeva di confermare la posizione sull’intangibilità dell’articolo 18. Il fatto che questo emendamento sia stato respinto a favore di un testo apparentemente simile, ma in realtà aperto a diverse interpretazioni, chiarisce che la segreteria della confederazione vuole un mandato per limitare i danni.

Questa posizione non poteva essere condivisa da chi ritiene che la battaglia sull’articolo 18 sia una battaglia di principio di fondo e non un elemento contrattualizzabile.
Per queste ragioni nel voto finale ai 95 sì, compresi Nicolosi e Pantaleo, si sono contrapposte 13 astensioni, tra cui quelle di Landini e Rinaldini, e con 2 voti contrari, il mio e quello di Fabrizio Burattini.
Quella del direttivo è stata dunque una discussione vera, che riguarda un’organizzazione che rischia moltissimo in questo momento, come rischiano drammaticamente e ancor di più i lavoratori. Non credo che il governo sia disponibile a mediazioni sull’articolo 18. Quello che ha deciso di fare è scritto nella lettera del 5 agosto della Banca centrale europea, ed è per questo che appaiono un po’ ridicoli scandali e improvvise sorprese. Lo scalpo dell’articolo 18 va portato sull’’altare delle banche, delle finanze, dello spread. Poco importa se questo ha o non ha un senso dal punto di vista economico. Tante cose fatte in Grecia, in Spagna o in Portogallo non lo hanno nella loro ferocia, eppure sono state fatte lo stesso, perché il governo finanziario dell’Europa non capisce e non è in grado di produrre un’altra politica economica. Per questo la politica della riduzione del danno, ancora una volta praticata dal gruppo dirigente della Cgil, rischia di essere non solo sbagliata nei contenuti – alla fine si accettano danni comunque irreparabili -, ma anche inefficace.

Il governo ha scelto una linea di rottura da destra della concertazione. Non è sperando che essa torni che si risolvono i problemi e si affrontano gli avversari, ma ricostruendo un vero conflitto con piattaforme dai contenuti in grado di incidere realmente sugli interessi in campo. Quindi la lotta deve essere per il diritto al lavoro e ai diritti del lavoro, per il reddito, contro le banche e le grandi ricchezze, per un cambiamento profondo del modello economico e sociale. La lotta deve essere su obiettivi incompatibili con le scelte dell’attuale governo, obiettivi che a questo punto appaiono sempre di più gli unici realistici, visto che gli altri, quelli pragmatici e riformisti, sono umiliati e sbeffeggiati. Questo è l’errore della maggioranza della Cgil. Aver perseguito una politica di compromesso e accordo con il governo, con le forze politiche, con Cisl e Uil, non aver ottenuto alcun risultato, eppure continuare a perseguirla come se nulla fosse avvenuto. Alla fine sull’articolo 18 si sta profilando lo stesso disastro delle pensioni.
Per questo il nostro no è tanto netto quanto siamo convinti che le lotte siano necessarie e che dovranno servire per affermare una posizione diversa. Cioè un’alternativa profonda alle politiche economiche e alle scelte antisociali di questo governo. Per questo la manifestazione del 31 marzo a Milano, prima vera manifestazione nazionale dichiaratamente contro Monti, può incidere profondamente nel percorso di tutte le lotte e dei loro obiettivi.

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