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L’arma migliore del Governo Monti? Le “mazzate intelligenti”

Pur con tutte le mazzate già inferte, altro che “paccate di  miliardi”, in conseguenza delle quali le condizioni di vita di una buona parte del Paese stanno sprofondando, frequentando i social network non si può negare di dover registrare, ad esempio, che vi sia stato e continua ad esserci un diffusa aspettativa legata alla presunta competenza e serietà di tutta la compagine di Governo.
Competenza e serietà per lo più spesa, però, per trovare gli argomenti giusti per indorare la pillola amara del giorno.
 
Sull’art. 18, ad esempio, l’equivoco sulla reale posta in gioco sembra regnare sovrano.
Si tratta solo, si sostiene dalle parti del Governo, di introdurre dei correttivi che consentano alle aziende di non fallire o di migliorare la produttività, senza, ovviamente, mettere in dubbio la salvaguardia per i licenziamenti discriminatori, per cui via libera a modifiche parziali per i licenziamenti individuali per motivi economici.
E va bene, diciamo pure che sì, siamo in tempi di crisi e che c’è la globalizzazione, per cui certi correttivi da flessibilità spinta sono pesanti ma purtroppo necessari.
Ma ammesso e non concesso che sia questa la strada giusta da perseguire, è realmente questa la posta in gioco? La ripresa delle imprese, come sostiene con forza anche il Presidente Napolitano?
No, la posta in gioco è ben altra.
Che succede se il licenziamento di tipo economico potrebbe rivelarsi infondato, se le motivazioni economiche, cioè, potrebbero essere soltanto un pretesto per liberarsi di qualche operaio eccessivamente scrupoloso nell’esigere il rispetto e la tutela dei propri diritti?
Ce lo spiega, con un’imbarazzante tesi e contro tesi, il Sen. Ichino del PD, fervente sostenitore, a dispetto anche del suo segretario di partito, dell’iniziativa proposta dal ministro Fornero sull’art. 18:
“laddove invece il giudice non ravvisi un motivo discriminatorio o di rappresaglia, ma soltanto una insufficienza del motivo economico-organizzativo addotto, dovrà essere disposto il solo indennizzo.”

In altre parole, è Ichino a confermarlo: nei casi di licenziamento individuale per ragioni economiche, l’insufficienza dei motivi addotti dà diritto al solo indennizzo.
E perché mai, di grazia, visto che l’insufficienza dei motivi addotti è di per se stessa la dimostrazione dell’arbitrarietà dell’atto?
Se non si deve dimostrare la fondatezza del motivo economico per non essere soggetti alla sanzione del reintegro, e cioè la salvaguardia del posto di lavoro a fronte di un atto palesemente pretestuoso, tutto il resto della norma, a tutela dei licenziamenti discriminatori, viene di fatto svuotata di significato.
Solo uno scemo potrebbe commettere l’errore di compiere atti facilmente individuabili come discriminatori, vista la facilità con la quale gli è consentito di non dover dimostrare le ragioni del licenziamento economico.
Si tratta di una semplice constatazione di facile comprensione, ma sulla quale, però, il Governo continua a praticare il gioco delle tre carte.
E’ stata sin troppo chiara la Fornero: la parte dell’Art. 18 è di poche righe.
Peccato, però, che siano le poche righe che contino, nascoste in un mare di pagine che, quando va bene, sono solo un’enunciazione di buoni propositi.
Ed anche il balletto sul come far arrivare in Parlamento il testo della riforma: un altro tentativo di confondere le acque.
Peggio ancora del ricorso al decreto legge, infatti, sarebbe il riuscire a far approvare una legge delega, lasciando mano libera al Governo sui tempi di realizzazione: le poche righe che contano verrebbero sicuramente rese immediatamente operative; per i buoni propositi chissà.
Per concludere, tolti gli orpelli con il quale la riforma del lavoro è stata presentata, in questi giorni non si sta discutendo del come evitare che le aziende falliscano o del come stimolare le assunzioni dei giovani e meno giovani, ma della facilità con la quale le aziende potranno licenziare i lavoratori scomodi, mascherando il tutto con la motivazione economica.

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