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31 marzo. Nessuno conti sulla nostra rassegnazione

Se la manifestazione di Milano “Occupyamo Piazza Affari” riuscirà a tutti sarà chiaro che anche in Italia esiste una opposizione sociale e politica che mette in discussione le fondamenta stesse su cui si fonda il Governo Monti-Napolitano.  

Aver scelto di contestare per la prima volta a viso aperto l’egemonia della finanza sulla politica andando a sfilare nella tana del lupo è un atto di sfida radicale che non resterà senza conseguenze. Chi ha indetto la manifestazione è infatti uscito, speriamo definitivamente, da ogni politicismo elettoralista, dai calcoli tattici, dalla estenuante attesa per le dinamiche dei gruppi “dirigenti”, per prendersi la responsabilità di chiamare la sinistra politica italiana ad uscire da ogni ambiguità andando al cuore del problema. Si accettano o no le compatibilità imposte dalle dinamiche del dominio del capitalismo finanziario? E se non si accettano si ha il coraggio di proporre l’unica realistica soluzione e cioè il non pagamento di un debito che è il guinzaglio che incatena i popoli?
Chi sfilerà per le vie di Milano sabato prossimo manderà quindi un doppio segnale.
Il primo arriverà diretto al Governo PD/PDL/Terzo Polo . Monti ha chiarito che il suo scopo principale è far ingoiare agli italiani le medicine della BCE senza troppe resistenze. Finora c’è riuscito. Lo scopo della manifestazione è prima di tutto quello di mettere in moto un percorso di lotte e mobilitazioni che alzi il prezzo politico e sociale delle scelte antipopolari.  Non è facile ma è decisivo. Se si romperà la “pace sociale” Monti avrà in sostanza fallito e una opinione pubblica, fino ad ora annichilita dalla mancanza di una reale alternativa, potrà trovare la forza di identificarsi con chi ha avuto il coraggio della sfida.
Il secondo messaggio arriverà a quelle forze “democratiche” che hanno sostenuto o hanno fatto finta di contrastare l’operazione politica Monti/Napolitano magari sperando, o illudendosi ancora, nella chimera delle elezioni anticipate con il porcellum. Sia i numeri che i contenuti politici della manifestazione di sabato  dovrebbero infatti dimostrare che appunto è finita l’epoca dei funambolismi e dei tatticismi e che bisogna dire “pane al pane e vino al vino” e cioè che con chi sta al Governo con i banchieri, la Cei e Berlusconi non è possibile pensare di costruire una alternativa.
Monti rappresenta uno spartiacque della storia politica italiana come lo furono Berlusconi e Craxi prima di lui. Sono personaggi che danno corpo ad un cambio d’epoca, ad un diverso rapporto tra politica ed economia, ad una diversa idea di democrazia.  Si è passati dalla democrazia della partecipazione a quella delle partitocrazie alla telecrazia. Oggi siamo alla fine della rappresentanza in nome del denaro.
C’è chi lo ha capito per tempo denunciando, ancora ai tempi di Berlusconi, come si stesse aprendo una nuova fase dove il dominio passava nelle mani delle banche e chi fatica ancora oggi a lasciarsi alle spalle il rimpianto della felice epoca dell’antiberlusconismo dove bastava urlare più forte, e collocarsi un poco più a sinistra del manovratore, per raccogliere qualche voto e partecipare alla scena politica anche a prescindere dei contenuti e delle scelte.
L’apparente paradosso è che alla “morte della politica” rappresentata da Monti si deve rispondere con la nascita di una nuova politica.
Politica come partecipazione e costruzione dal basso e sul nulla di nuovi insediamenti sociali capaci di contrapporsi alle dinamiche di dominio dentro e fuori i luoghi di lavoro, politica come sfida al presente in nome di un futuro non utopistico ma possibile ed anzi probabile proprio perché capace di rispondere alle crisi dell’oggi, politica come luogo della crescita e della selezione di gruppi “dirigenti” che siano disposti a sporcarsi le mani costruendo sul campo una nuova credibilità della sinistra. Politica come capacità di innovare, di cambiare prima di tutto noi stessi, di uscire dalle ristrette sette che praticano le logiche dell’autoriproduzione, per aprire luoghi aperti ma chiari dove, a partire dai contenuti, ci si possa organizzare democraticamente per far valere la logica dei numeri, perché la battaglia per l’egemonia presuppone la fine di ogni dirigismo, elitarismo e minoritarismo.
Per tutte queste ragioni è importante che a Milano ci troviamo in tante e tanti; che la manifestazione riesca nei numeri e nel simbolico.
Il 1 aprile potremmo davvero fare un bello scherzo a chi ha pensato di poter contare sulla nostra rassegnazione.

* Direttore di Libera Tv, attivista del Comitato No Debito

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