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Crisi, suicidi e necessità di un altro ordinamento sociale. Che rapporto c’è?

 

“Dare senso alla vita può condurre alla follia, ma una vita senza senso è la tortura

 

dell’inquietudine e del vano desiderare, è una barca che anela il mare eppure lo teme”

 

Edgar Lee Masters


Nei giorni scorsi quando abbiamo commentato  https://www.contropiano.org/it/archivio-news/archivio-news/item/8565-uccidersi-per-mancanza-di-lavoro-perch%C3%A9-non-si-intravede-un-futuro  il triste martirio logico dei suicidati “a causa della crisi” abbiamo appuntato la nostra attenzione critica sui meccanismi economici che spingono a questi drammatici esiti persone e vicende, diverse tra loro, ma tutte, sicuramente, accomunate dal comune dato derivante dal riverberarsi nella società delle conseguenze antisociali della crisi.

Un tentativo di inquadramento analitico che tiene conto dell’aggrovigliarsi dei fattori di crisi, della scomposizione sociale e dei devastanti caratteri di quello che abbiamo definito come il turbo capitalismo della nostra epoca.

Un contributo alla discussione che abbiamo concepito finalizzato, soprattutto, all’azione politica e sociale che svolgiamo nel movimento ed oltre.

Intanto, però, la cronaca quotidiana continua ad elencarci il numero dei morti, dei tentativi di suicidi che si stanno moltiplicando in ogni angolo del paese con una cadenza temporale sempre più incalzante ed angosciante.

Si pone, dunque, almeno a giudizio di chi scrive, la necessità di un supplemento analitico su alcuni versanti che afferiscono all’aggravarsi dei dispositivi di desolidarizzazione e di atomizzazione sociale che sono il vero detonatore di questo black out cognitivo ed umano che spinge individui “normali” – per quanto attanagliati da problemi economici ed esistenziali – ad una pesantissima scelta senza alcuna possibilità di ritorno.

Sempre più per larghi settori sociali le dinamiche della vita appaiono senza senso. Sempre più a partire dalle aree metropolitane e dai cosiddetti punti alti dello sviluppo capitalistico, dove i rapporti sociali sono più violenti e contraddittori, si vanno diffondendo patologie sociali le quali sono la risultante dell’intreccio tra crisi economica, decomposizione dei vecchi assetti della società ed incapacità di esprimere una convincente risposta collettiva a queste derive.

E’ oramai evidente, anche a parere di molti analisti borghesi, che l’unica dinamica interessante della “nostra” società è quella di produrre effetti di auto-negazione su sé stessa. Una parossistica spirale verso il basso la quale non riesce a trovare assetti di stabilità e che procede verso soglie sempre più inumani ed antisociali.

Non è un caso che, sotto gli effetti di questa autentica mannaia stiano evaporando tutti i meccanismi di protezione e di ammortizzamento che nel corso dei decenni passati hanno, a grandi linee, hanno garantito elementi di salvaguardia e di tutela individuali e collettivi per larghissime fasce di popolazione.

Liquidità delle metropoli, evanescenza delle identità, scomposizione ed, addirittura, competizione tra gli individui sono la vera condizione materiale in cui siamo immersi ed in cui dovremmo, obbligatoriamente, operare per tentare di ricostruire forme possibili di ripresa dai contenuti antagonistici. Una ricerca ed una intrapresa collettiva che dovrà essere sperimentata ad ampio raggio ed a scala sempre più globale.

Il capitalismo è diventato, oramai da tempo, un sistema così libero da ogni controllo da parte dell’uomo, da procedere a briglia sciolta verso quel suicidio che impone così spesso agli individui che assoggetta. Dentro questa infernale situazione un individuo che cerchi di dare un senso alla propria esistenza non può che realizzare la propria condizione di super sfruttato e di alienato in mezzo ai suoi simili e tentare di porvi un cosiddetto rimedio spesso con modalità placebo.

Quando poi, all’insorgere di difficoltà impreviste come quelle che si stanno palesando nelle cronache che quotidianamente leggiamo, percepisce di essere un granello fra altri, sembra non avere altra scelta che arrendersi dando fuori di testa contro di sé o i suoi simili.

Ritorna – quindi – al di là di qualsiasi dissertazione rituale e formale il tema, l’autentico rompicapo teorico, della necessità di un diverso ordinamento sociale e di nuovi e più avanzati rapporti tra gli individui.

Lungi da noi la banale suggestione che questa riflessione possa alimentarsi slegata dalle forme del conflitto, della lotta e delle sue variegate problematiche.

Ma, se veramente vogliamo interrogarci sulle cause profonde dei tragici suicidi a cui stiamo passivamente assistendo, dobbiamo iniziare a porre, in tutti gli ambienti sociali in cui agiamo, unitamente al piano di azione della mobilitazione immediata, la necessità potente dell’alternativa di società e la passione durevole del comunismo.

 * Rete dei Comunisti

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