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Elezioni e rappresentanza politica. Lo spazio aperto

Elezioni, classe e comunisti. Un contributo al dibattito

A volte la Storia ha bisogno di una spinta (V. I. Lenin)

Quanto accaduto nella recente tornata elettorale è di non poco interesse. Se prendiamo i risultati delle due principali città, Genova e Palermo, la prima cosa che salta agli occhi è l’altissimo tasso di astensionismo. A Genova su 504.110 elettori il numero dei votanti si è fermato a 263.849. Un’astensione non distante dal 50%. Ancor più esplicativo il dato di Palermo dove, a fronte dei 564.019 aventi diritto, il numero degli elettori si è attestato a 210.203 unità. In questo caso l’astensionismo non è distante dal 60%. Ancor più interessante è osservare il consenso ricevuto dalle forze filogovernative. A Genova sommando i consensi del centrosinistra, del centro e del Pdl si supera di poche decine la soglia dei 200.000 voti e, per di più, tra questi sono compresi i circa 56.000 voti di Sel, Federazione della Sinistra, Lista Civica Marco Doria e Idv che, ai propri elettori, si propongono come forze antigovernative. Ragion per cui, a Genova, gli elettori che coscientemente si sono espressi a favore dei partiti che sorreggono il governo Monti, si attestano intorno alle 150.000 unità ovvero il 30% del corpo elettorale. A Palermo la percentuale per le forze governative diventa addirittura ridicola poiché, tutte insieme, raggiungono i 93.454 voti rimanendo al di sotto della soglia del 15%.

Se c’è una cosa ovvia ed evidente che da queste elezioni esce fuori è la netta avversione della stragrande maggioranza della popolazione verso il governo e le forze politiche che lo sostengono. Una contrapposizione che si è espressa principalmente attraverso l’astensione. Mentre, tra chi si è recato alle urne, tale tensione si è riversata andando a infoltire i consensi per il Movimento 5 stelle o votando candidati, come a Palermo, che (vero o falso che sia nel contesto ha poca importanza) si sono presentati in aperta rottura con le segreterie dei partiti governativi. La stessa candidatura di Marco Doria a Genova è stata una candidatura in aperta opposizione al Pd, che mirava a candidare invece Roberta Pinotti attraverso la quale avrebbe dato vita a un’intesa, in prospettiva non solo cittadina e amministrativa, con l’Udc e i vari raggruppamenti centristi, utilizzando le amministrative come laboratorio per la messa a punto degli scenari politici futuri. Al momento, possiamo tranquillamente non porci la domanda se e quanto – Doria a Genova come Orlando a Palermo – si mostreranno pie illusioni; ciò che è rilevante porre in evidenza è la sostanziale delegittimazione di massa nei confronti del governo e delle forze politiche che lo sorreggono.

Se, come ricorda Lenin, perché un processo rivoluzionario si ponga realisticamente all’ordine del giorno occorre che si sommino due fattori (il rifiuto da parte delle masse di continuare a essere governate da una determinata classe dirigente e l’impossibilità da parte delle classi dominanti di continuare a governare), oggi sembra realistico affermare che almeno la prima delle due condizioni stia prendendo corpo. Alla prova dei numeri, l’attuale governo e le forze politiche che lo sostengono possono contare su adesioni oscillanti tra il 20 e il 30% della popolazione. Per altro verso, sarebbe stolto non riconoscerlo, l’impossibilità per le classi dominanti di continuare a governare non è certo dietro l’angolo. La delegittimazione cui sono sottoposte, al momento, non va oltre il rifiuto spontaneo e disorganizzato; notoriamente, una simile condizione consente alle classi dominanti, pur navigando a vista, di rimanere in sella senza subire eccessivi scossoni. Avere tra il 20 e il 30% dei consensi, in assenza di un’opposizione politicamente organizzata, è un dato sicuramente non rassicurante, ma pur sempre sufficiente per continuare a gestire senza troppe ambasce il potere politico.

Perché una classe dominante venga messa in mora non è neppure sufficiente una sua palese entrata in crisi ma occorre che, dentro a tale crisi, una soggettività politica sia in grado di presentarsi sulla scena storica come alternativa CONCRETA E REALE allo stato di cose presenti. Occorre che, una soggettività politica, cogliendo l’occasione sia in grado di esercitare sino in fondo la decisione. In altre parole ciò che diventa urgente è porre al centro della riflessione e della pratica delle avanguardie comuniste la questione della soggettività politica. Così come senza teoria rivoluzionaria, non esiste un movimento rivoluzionario, senza Partito non esiste sbocco rivoluzionario alla crisi. Sotto tale profilo la situazione è tutt’altro che tranquillizzante.

A Genova come a Palermo, rimanendo sulle città prese in considerazione, la presenza dei vari partiti comunisti nella contesa elettorale ha dato vita all’ennesimo risultato da prefisso telefonico. A Genova. Sinistra-Partito Comunista prende 1536 voti pari allo 0,58% e il Partito comunista dei lavoratori lo segue con 951, pari allo 0, 36%. Ancora peggio vanno le cose a Palermo dove il Partito comunista dei lavoratori, senza rivali a sinistra, raccoglie 352 voti, pari allo 0,17%. Si tratta di prestazioni che non hanno bisogno di commento. Da un lato abbiamo un rifiuto di massa del governo e dei partiti che lo sorreggono dall’altro la sostanziale incapacità da parte delle avanguardie comuniste a trasformare questo rifiuto in progetto politico il tutto senza poter avanzare un qualche alibi di sorta.

In fondo, sia la forza del qualunquismo, Beppe Grillo e via dicendo, sia quella delle formazioni guidate da Ferrero, Diliberto e Vendola, non sembrano essere in grado di incanalare più di tanto lo scontento delle masse o di esercitare nei loro confronti un’egemonia degna di questo nome. Il Movimento 5 Stelle non è la greca Alba dorata, la Lega e neppure il fascismo degli esordi; così come Sel e la Federazione della Sinistra non sono la socialdemocrazia tedesca del 1918 o del 1933 e neppure il Pci degli anni ’70. Per di più, queste ultime possono vantare una qualche legittimazione di massa solo quando, come è avvenuto in tutte le tornate elettorali, portano avanti una linea di condotta, almeno in apparenza, dichiaratamente avversa al Pd mentre, come è accaduto a Palermo, vanno incontro a sonore batoste quando a prevalere è l’allineamento alle necessità delle segreterie.

Se oggi il rifiuto palese delle masse a essere governate da questa classe dirigente non trova una corrispondente forma di rappresentanza politica in grado di rendere razionale e concreto ciò che spontaneamente è già patrimonio storico della classe è un problema e una responsabilità che ricade per intero sulle spalle delle avanguardie comuniste. Per questo, mettere al centro del dibattito e dell’iniziativa politica la questione del Partito è questione che non può essere più rimandata. Il treno della Storia, dentro la stazione, non aspetta in eterno.

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