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Processo al movimento fiorentino. Parlano i compagni

L’operazione repressiva iniziata con gli arresti del 4 maggio e 13 giugno 2011 e che vede ora l’apertura di un processo a carico di 86 compagni di diverse realtà di movimento fiorentino, intende colpire le mobilitazioni e le lotte degli ultimi anni di studenti, lavoratori, centri sociali e tanti altri soggetti: per il diritto allo studio e contro la riforma Gelmini, contro il fascismo e l’apertura di Casapound; contro il razzismo e l’apertura dei CIE, fino ad arrivare alle lotte contro l’attacco ai diritti ed alle condizioni di vita dei lavoratori.

Come imputati nel processo contro il movimento fiorentino che si è aperto il 14 giugno scorso vogliamo prima di tutto rivendicare tutte queste lotte, condivise con altre migliaia di compagni, che hanno caratterizzato questo periodo non solo a Firenze, che non saranno fermate, né cancellate, da alcun tentativo di criminalizzazione e intimidatorio.

Siamo convinti del fatto che la Solidarietà sarà tanto più forte e allargata quanto più forti, partecipate e determinate saranno le lotte che si stanno sviluppando e si svilupperanno sul nostro territorio e nelle quali continueremo a dare il nostro contributo.

La Solidarietà è un elemento che deve vivere all’interno di questo contesto e che da questo contesto deve esser valorizzato: la lotta senza la solidarietà è destinata a naufragare, scompaginarsi e dividersi, specialmente nel momento in cui la repressione dovesse colpire, mentre la Solidarietà al di fuori delle lotte sarebbe svuotata del proprio significato.

Pensiamo che il processo che ci vede imputati riguardi, non solo noi e le nostre realtà di appartenenza, ma tutti coloro che in questa città sono coinvolti nelle vertenze, nelle battaglie e nelle lotte aperte sul territorio.

La montatura da cui ha preso il via l’inchiesta, l’utilizzo del reato associativo, l’ossessiva criminalizzazione di ogni minimo avvenimento, la cooptazione di soggetti diversi dalle forze di polizia e quindi la possibilità di inasprire ulteriormente le condanne attraverso i risarcimenti alle cosiddette “parti civili” presumibilmente “lese” (istituiti di credito, enti pubblici, partiti e fascisti vari), evidenzia con chiarezza le modalità con cui la strategia repressiva si concretizza, mirando a colpire tutti coloro che decidono di determinare autonomamente il proprio agire posizionandosi al di fuori delle compatibilità imposte dallo Stato le cui maglie si stanno facendo sempre più strette. L’autonomia e l’indipendenza rappresentano la forza di quei movimenti che oggi in Italia e non solo si stanno rendendo protagonisti, e rappresentano sicuramente un punto di riferimento importante per chi non vuole abbassare la testa di fronte alle disuguaglianze e allo sfruttamento di questo sistema.

È quindi essenziale riuscire a proporre un’analisi autonoma dal punto di vista politico e culturale, che sappia valutare la vicenda nel suo complesso e non prenda a prestito “definizioni” e “categorie” che la controparte vorrebbe imporci, che possa tenere insieme e uniti gli imputati evitando di cadere nell’errore di esser noi stessi a “spezzettare” il processo stratificando le diverse posizioni o cambiando la propria lettura politica a seconda di ciò che ci restituirà l’aula di tribunale.

Dovendo esprimersi ancora il GUP, esiste, almeno in termini teorici, la possibilità che il processo venga diviso, che le posizioni di alcuni imputati vengano stralciate e che alcuni finiscano davanti al giudice monocratico. Esiste poi la possibilità che a cadere sia l’accusa di associazione a delinquere. Se ciò dovesse accadere, come del resto tutti auspichiamo, non potremmo però dire che la formulazione di quell’accusa non abbia già svolto, almeno in parte, il proprio compito e non continui a influenzare il processo: ha anzitutto dato la possibilità di applicare misure cautelari importanti; ha alimentato la campagna mediatica di criminalizzazione contro i compagni e le realtà cittadine; è il collante che ha permesso di tenere insieme tutta l’inchiesta per come è stata costruita sin dall’inizio, prolungando le indagini e creando i presupposti affinché fossero messi in fila presunti reati commessi nell’arco di più di due anni, nelle situazioni più diverse, allargando l’inchiesta fino alla solidarietà che si è manifestata dopo il 4 maggio, giorno delle prime perquisizioni e dei primi arresti.

Quello della “differenziazione” è un circuito alimentato dallo Stato con l’obiettivo di frammentare, dividere e indebolire le lotte. Se sul piano politico viene stabilito nella pratica con l’applicazione di determinate leggi, viene poi sostenuto sul piano culturale con la creazione di specifiche categorie (una su tutte la divisione tra “buoni” e “cattivi”).
Questo è appunto il piano che dobbiamo combattere ed avere la capacità di ribaltare.

Dobbiamo rendere pratica quotidiana la Solidarietà nei confronti dei compagni colpiti dalla repressione, facendone occasione di analisi e riflessione che dia vita a momenti di crescita collettiva su un piano più generale: sarebbe un grave errore la distinzione, la divisione e la frammentazione delle risposte.
In tal senso può esser utile anche come strumento per guardare al territorio: infatti se lo utilizziamo come lente ci rendiamo conto di quanto sia importante unire le vertenze, creare rete e coordinamento, solidarietà e mutuo soccorso.
È la controparte che cerca invece di tenere queste battaglie isolate.

Per questo il 14 giugno abbiamo ritenuto importante creare un momento che tenesse insieme tutti gli imputati e proprio come imputati lanciare un appello alla Solidarietà.
Questo è ciò che cercheremo di fare anche in futuro. Questo è il piano su cui vogliamo si sviluppi la Solidarietà nei nostri confronti.

Se abbiamo avuto bisogno di scrivere questo comunicato è anche perché secondo noi rischiava di determinarsi un terreno ambiguo, basato su posizioni inconciliabili con quelle che stiamo esprimendo.

Invitare a “disertare il tribunale” il 14 giugno e quindi un presidio di solidarietà, tralasciare la seconda ondata repressiva del 13 giugno 2011, pensare di mettere 7 imputati davanti agli altri, è grave e pericoloso perchè di fatto significa dividere la Solidarietà e riprodurre la logica di differenziazione della questura. Non cadremo nella trappola della repressione, differenziando gli imputati, e terremo ben presente che gli apparati repressivi colpiscono tutti quei soggetti che quotidianamente costruiscono e costruiranno le lotte.

ESTENDERE LA SOLIDARIETÀ, RILANCIARE LA LOTTA!

Imputati del processo 4 maggio e 13 giugno 2011

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