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Un ricordo per il compagno Sandro Bianchi

Come si fa a parlare di Sandro al passato? Non ci è mai sembrata reale la possibilità della sua morte, nonostante la lunga terribile malattia, che, dopo anni di lotta nei quali pareva battuta, si è riorganizzata per l’assalto finale. Ho usato qui il linguaggio con cui Sandro affrontava il male. Con razionalità estrema, come in una delle discussioni politiche e sindacali meticolose a cui ci aveva abituato, mentre spiegava e dipanava un concetto. Così affrontava l’assalto del cancro e tutti noi restavamo stupiti ed eravamo ammirati al punto da convincerci che era impossibile che perdesse la vertenza. E invece no, l’ultima volta che gli parlato, poche ore prima della fine, mi ha detto: questa volta non ce la faccio. Non erano nè disperazione nè rassegnazione, ma consapevolezza. Ho visto una sola volta Sandro disperato. Quando Carla, la moglie e compagna tanto amata, si è ammalata lui non poteva accettarlo. (…)

La persona Sandro non è mai stata diversa dal dirigente sindacale e dal militante politico, essendoci sempre in lui un eccezionale intreccio di passione e ragione. di personale e politico. Una persona bella e pura che è sempre sè stessa ovunque. Così ho assistito ad una delle sue sfuriate in trattativa, dove non c’era più il sindacalista, ma l’uomo perbene che si indignava di fronte alle arroganze e alle furberie della controparte. Il mondo di Sandro era onesto e leale, e una realtà diversa era per lui inconcepibile.
E’ entrato così nella Fiom, che per lui come per noi militanti del 68, era una scelta di vita.
Sandro ha cominciato a fare politica nel dissenso cattolico a Rimini. Ha vissuto il movimento studentesco nell’universita di Bologna e poi nei primi anni 70 ha aderito al Manifesto,stabilendosi a Milano e lavorando al giornale. Come altri della sua generazione e delle sue capacità avrebbe potuto fare scelte professionali e politiche più interne a quello che oggi si chiama il palazzo, ma quando considerò conclusa quella esperienza, chiese di entrare nella fiom e cominciò come funzionario a Novara. Tanti anni dopo Fausto Bertinotti ci disse che avevamo per il potere lo stesso atteggiamento aristocratico di Bruno Trentin per il salario. Non so se per me sia vero, ma per Sandro sì. Per lui il potere era solo un mezzo da maneggiare con il massimo distacco e disinteresse.
Da Novara fu chiamato alla Fiom nazionale e divenne il primo collaboratore di Pio Galli. Era la fine degli anni 70 si preparava la Fiat. Claudio Sabattini, Francesco Garibaldo, i fratelli Rinaldini, lui ed io eravamo chiamati i ‘sandinisti’. Fu Ottaviano del Turco a chiamarci così e non era un complimento. Allora i sandinisti in Nicaragua sembravano sconfitti per troppo ardire. Poi i sandinisti vinsero, ma alla Fiat invece perdemmo.
La Cgil negò la sconfitta, ma decise di individuarne i responsabili in Sabattini e Tiziano Rinaldini che furono allontanati dalla Fiom.
Sandro rimase in Fiom nazionale e si occupò di formazione. E lui, l’estremista operaista, realizzò il miglior progetto di studio sull’innovazione tecnologica della storia dell’organizzazione. Nei primi anni 80, con la collaborazione di Pino Ferarris, Marchisio, Musso ed altri fu prodotto un cofanetto pieno di sapere, che girò per i sindacati di mezzo mondo perchè vi era anticipato il mondo di oggi.
Nello stesso tempo Sandro partecipava a tutte le lotte politiche di quel periodo, fino all’89. Con la svolta di Occhetto il gruppo sandinista si ruppe. Sabattini, Garibaldo i Rinaldini la sostennero, Sandro ed io no. Allora diventammo definitivamente, oltre che amici, fratelli. Eravamo soli e ci fu dolore. Ancor di più dopo, nel congresso Cgil ove fu presentata la mozione alternativa di essere sindacato, cui aderimmo con entusiasmo. Trovarci con Claudio e gli altri amici di una vita su sponde opposte nel congresso fu davvero duro.
La segreteria nazionale della Fiom fu di nuovo cambiata dall’intervento della Cgil ed io, che ne facevo parte da poco, fui mandato in Piemonte. Sandro decise allora che il lavoro nella formazione era concluso e chiese un settore. Alla fine si occupò della cantieristica navale.
Credo di non esagerare se affermo che è stata una grande prova di cultura, organizzazione, partecipazione e capacità di conflitto. Non cè un solo lavoratore dei cantieri, anche quelli da lui più lontani, che non provi stima e affetto enormi per Sandro. E se Fincantieri non è stata svenduta a qualche multinazionale o imprenditore d’assalto, come è invece toccato a gran parte dell’industria pubblica, lo si deve anche alla tenacia e al rigore di Sandro.
Nella Fiom tornò Sabattini e poi vennero Gianni Rinaldini e Landini. L’organizzazione assunse la fisionomia radicale per cui oggi è conosciuta e Sandro fu parte di quelle scelte e di quel percorso. Per alcuni anni fu presidente del comitato centrale. Fu tra gli animatori della Rete 28 aprile e di tutte le principali battaglie della sinistra in Cgil. Ha partecipato alla costruzione del movimento NoDebito. Non ha mollato mai.
Negli ultimi mesi era diventato più pessimista. Non era solo il dolore irreparabile per la perdita di Carla o per l’avanzare del male. Lo colpiva l’assenza di reazione nel paese devastato dal massacro sociale e culturale. Aveva seguito il movimento degli indignados in Spagna anche per l’amore verso le figlie spagnole di Carla e verso i nipotini. In Spagna sono più seri mi diceva.
Non so, ora se ne è andato e il mondo, almeno il nostro mondo, è peggiore e più brutto senza di lui.
Grazie Sandro, che con rigore e ironia ci hai insegnato a non arrenderci mai.
Ciao Sandro, sandinista buono e integerrimo.

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1 Commento


  • Giorgio Albertinale

    Addio Sandro,grande combattente,ti ricordo al Manifesto e poi alla Fiom novarese.Intelligenza ed entusiamo.
    Percorsi lunghi,differenti,ma sempre gli stessi riferimenti.

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