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“Nuove Br”, per la Cassazione non è “terrorismo”

Leggiamo dal Corriere della sera:

Sì alla riduzione delle condanne per gli imputati nel processo alle Nuove Br: la loro fu un’associazione sovversiva senza finalità di terrorismo. Sono state confermate, dalla Cassazione, le condanne a pene ridotte nel processo d’appello bis nei confronti di 11 neobrigatisti accusati di avere in preparazione un attentato al giuslavorista e parlamentare Pietro Ichino. In particolare la II Sezione Penale della Suprema Corte – presieduta da Stefano Agrò – ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale la Procura Generale di Milano chiedeva il ripristino dell’accusa di terrorismo che avrebbe ridato vigore alle pene più aspre inflitte nel primo processo di appello. Era stata la stessa Cassazione, con un verdetto della V Sezione Penale, ad annullare con rinvio le condanne ritenendo non configurabile la matrice eversiva dell’organizzazione neobrigatista «derubricata» a banda armata. Con la decisione di martedì la Cassazione ha definitivamente convalidato gli sconti di pena anche se, comunque, gli anni da passare in carcere rimangono tanti.
IN CARCERE – Per undici degli imputati, dunque, la condanna diventa definitiva (confermata anche l’assoluzione di Salvatore Scivoli). La pena più alta è quella inflitta a Claudio Latino, che dovrà scontare 11 anni e mezzo di reclusione. Sono invece 9 per Davanzo, 5 anni e 3 mesi per Gaeta, 8 anni per Ghirardi, 11 anni e 6 mesi per Latino, 10 anni per Sisi, 7 per Toschi, 2 anni e 2 mesi per Caprio, per Mazzamauro e per Rotondi, 2 anni e 4 mesi per Scantamburlo e assoluzione per Scivoli. I supremi giudici, in conclusione, hanno ratificato la sentenza emessa lo scorso 28 maggio dalla Corte d’Appello di Milano. Tutti i ricorsi degli imputati sono, infatti, stati respinti.

Fin dall’inizio l’operazione era sembrata molto – troppo – propagandistica. Se non ci fossero state di mezzo alcune armi, difficilmente le imputazioni avrebbero retto alla prova del dibattimento in aula.
Quella messa in piedi da alcuni ex militanti di secondo e terzo piano di organizzazioni armate degli anni ’70 (per gli amanti della precisione: nessuno proveniente dalla Br), insieme a qualche ragazzo molto inesperto agganciato in un paio di centri sociali, era una mini-struttura “sovversiva” ma non “terroristica”. Del resto, a parte molte riunioni e un paio di esercitazioni, a rigore non avevano fatto praticamente niente.
Nè avrebbero potuto mai farlo.
Dalle carte processuali emerge infatti un quadro abbastanza chiaro. Tutti gli appartenenti al gruppo, i loro parenti, amici, colleghi di lavoro, sono stati per mesi attentamente “monitorati” dagli inquirenti e dai servizi di sicurezza. Ogni riunione è stata calendarizzata, ogni spostamento seguito, ogni automezzo “satellizzato”. I dialoghi salienti, quelli delle riunioni più “importanti”, sono registrati parola per parola, borbottìo per borbottìo. Ed anche quelli meno significativi, come le chiacchierate fra vecchi amici che rammentano avventure di 30 anni prima e più prosaiche storie sessuo-sentimentali recenti.
Sappiamo che le tecnologie aiutano molto gli investigatori di oggi, ma un tale livello di “padroneggiamento” di un insieme di persone che, nella loro pur rudimentale “accortezza”, tutto sommato seguono “regole di sicurezza” che dovrebbero complicare almeno un po’ il lavoro degli inquirenti, appare davvero esagerato. Come capisce anche un deficiente, ci doveva essere qualche infiltrato.
Ma le carte processuali, anche sfogliate di corsa, raccontano una realtà che va al di là dell’immaginazione dietrologica che ha ammorbato per trenta anni il modo in cui la “sinistra generica” ha guardato alla lotta armata degli anni ’70.
Diciamo che in questa storia “gli infiltrati” non sono un elemento marginale – una o due persone – ma una componente strutturale, organizzata.
C’è un discreto numero di personaggi che entra ed esce da riunioni, arriva ad appuntamenti “coperti”, fa vita in comune… ma non ne viene riportata nemmeno una parola, non vengono seguiti, non finiscono né indagati né – figuriamoci! – in carcere.
Una brutta storia che, vista da fuori, getta una luce sinistra su determinate aree di movimento. Questa inchiesta di Milano, a distanza di sei anni, ci si conferma dunque come un’operazione di “terrorismo psicologico pilotato”, con qualche ambizione di provocazione politico-sindacale (furono coinvolti alcuni iscritti alla Fiom e alla Cgil). I media d’allora si buttarono a corpo morto sulla ripetizione del format antico “metalmeccanico conflittuale = potenziale brigatista”. Una spada di Damocle sul conflitto sociale a venire, insomma, più che la “scoperta” di una cospirazione reale.

Sul piano strettamente giudiziario, invece, le pene appaiono decisamente sporporzionate. Se non sono “terroristi” ma semplici “sovversivi”, se i loro “progetti d’azione” erano sempre e soltanto idee che non venivano messe in pratica (nè avrebbero potuto esserlo, come si è visto), le condanne non sembrano davvero “congrue”. A meno di non voler ribadire un “avvertimento” per i conflitti a avenire…

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