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Integrazione o rottura?

Le tragiche conseguenze della crisi economica sulla vita della classe operaia e del popolo lavoratore sono ormai ben note, vista la durata quinquennale della crisi stessa. Le misure barbariche attuate in tutti i paesi colpiti, hanno avuto la stessa direzione e lo stesso obiettivo: ridurre il prezzo della forza lavoro a un livello estremamente basso per aprire nuove strade al profitto nel periodo di crisi e soprattutto dopo l’attesa ripresa, che sarà debole e più o meno a breve termine.

Oggi abbiamo una ricca esperienza, non solo della Grecia, ma anche degli stati membri dell’UE, soprattutto quelli della zona euro, a partire dalla crisi negli Stati Uniti iniziata nel 2008 e non solo. Inoltre, sono ancora fresche nella memoria le recenti crisi in Russia, Argentina e delle cosiddette tigri asiatiche.

Crediamo che il movimento operaio, i partiti comunisti di tutti i paesi dovrebbero spiegare ai loro concittadini il carattere della crisi e al tempo stesso lottare per frenare il deterioramento del tenore di vita delle persone, indicando la via d’uscita a favore dei popoli.

Il fatto che nel 2008-2009 la crisi si sia manifestata nel sistema finanziario, nella sfera della circolazione del capitale, o il fatto che in Grecia la crisi sia associata al debito e al deficit non significa affatto che ci troviamo di fronte a una crisi di nuovo tipo. Fin dal suo insorgere, abbiamo chiarito che si tratta di una crisi di sovraccumulazione di capitale, le cui radici si trovano nel rapporto di sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale, vale a dire nella sfera della produzione capitalistica. Ne è prova inconfutabile la contrazione della produzione industriale, sia negli Stati Uniti che nell’Unione europea, così come nei paesi che non sono ancora entrati nel ciclo di crisi. Osserviamo tutte le caratteristiche tipiche del capitalismo: l’anarchia, l’irregolarità nello sviluppo di industrie e settori dell’economia, l’acuta concorrenza promossa con mezzi politico-economici e con le armi.

In tutto il mondo capitalistico vengono adottate le stesse misure e vengono utilizzati gli stessi argomenti, a prescindere che il debito sia contenuto o ingente, indipendentemente dall’estensione del deficit, al di là dell’accordo del singolo paese al meccanismo di stabilizzazione della UE-BCE-FMI. Inoltre, è significativo che le aree di povertà non appaiono solo nei paesi capitalisti meno sviluppati o quelli che occupano una posizione intermedia nel sistema imperialista, ma anche nei paesi capitalisti più potenti e sviluppati.

Valutiamo che, a causa dello sviluppo ineguale, la crisi scoppierà in altri paesi della zona euro, perfino la Germania sta mostrando segni di stanchezza e qualche sintomo inizia ad apparire in Cina.

Determinare la natura della crisi non è solo una questione teorica. E’ chiaramente una questione pratica perché ne consegue la specifica linea politica dei partiti comunisti in condizioni di crisi.

Pertanto, le peculiarità della manifestazione, l’intensità o la durata della crisi da un paese all’altro, non determinano il carattere della crisi e non dovrebbero influenzare la strategia e la tattica del partito comunista.

La storia ha dimostrato che quando gli Stati capitalisti non sono in grado di gestire la crisi e, soprattutto, le sue conseguenze, allora ricorrono anche all’uso delle armi, alla guerra imperialista, naturalmente non per vendere armi, come sostengono diversi pacifisti, ma perché in congiunture specifiche l’uso delle armi è più efficace per la redistribuzione dei mercati.

La crisi, la pace e la guerra imperialista sono indissolubilmente legate e così le dobbiamo considerare. Ciò è particolarmente vero per la Grecia, che si trova in una regione in piena ebollizione, una regione che include sia il Medio Oriente che il Nord d’Africa.

Inoltre, la crisi prolungata del capitalismo sta mostrando qualcos’altro che è molto importante per la strategia e la tattica dei partiti comunisti. Dimostra che la politica di gestione borghese si trova ad affrontare nuove sfide, inedite rispetto al passato, nella ricerca di una via d’uscita dalla crisi, per entrare in un nuovo ciclo di produzione capitalistica avanzata, per porre un freno alla povertà di massa assoluta e relativa, anche facendo alcune manovre. Sono emerse due ricette per gestire la crisi, ognuna in diverse varianti. In sostanza abbiamo a che fare con la gestione borghese espansiva e la gestione borghese restrittiva della crisi, con l’obiettivo di controllare l’entità del deprezzamento del capitale e realizzare la necessaria distribuzione delle perdite e di capitale accumulato. Entrambe le forme di gestione portano agli stessi risultati devastanti per i popoli e i loro diritti. La disputa attorno l’una o l’altra formula di gestione, che appare particolarmente accanita in Europa, non ha nulla a che vedere con una lotta a favore o contro gli interessi popolari, non si tratta della controversia tra una linea politica conservatrice e una linea progressista-di sinistra, come pretende il Partito della Sinistra Europea oggi.

La difesa dell’una o dell’altra formula di gestione si basa sugli interessi della borghesia di ogni Stato membro, le alleanze che si propone di formare nel quadro della competizione. I lavoratori e il movimento popolare non devono parteggiare per l’uno o l’altro rivale, sarebbe una scelta perdente.

Secondo la nostra valutazione, nonostante le differenze e la concorrenza, attualmente prevale nell’UE la visione di preservare l’Europa unita e la moneta unica mentre nel lungo termine non si esclude la possibilità di una scissione. Per questo motivo, ogni governo e soprattutto i settori del capitale, a seconda del blocco di coalizione imperialista con il quale desiderano allinearsi, si stanno preparando per la possibilità di un ritorno alla moneta nazionale.

Ancor più di prima si può vedere in Grecia come sia i partiti borghesi, vecchi e nuovi, che i riformisti-opportunisti, come SYRIZA, vanno formulando strane posizioni sulle alleanze, anche transatlantiche o verso la Russia e la Cina. Ciò è stato particolarmente evidente nell’antagonismo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti che si è manifestato durante le elezioni nazionali greche con l’aiuto del blocco di destra e di “sinistra”. Oggi le contraddizioni interimperialiste permeano il sistema politico borghese nel suo complesso e arrivano persino a minacciare l’unità dei partiti.

In conclusione, valutiamo che la crisi sia prolungata e profonda e che investirà altri paesi. Anche se un paese, per esempio la Grecia, entrasse in una fase di ripresa, la ripresa sarà temporanea, debole, con livelli di disoccupazione insopportabili, con salari e stipendi da fame, con rapporti di lavoro arretrati che ci riportano alla fine del 19° secolo. Un nuovo ciclo di crisi scoppierà prima che la ripresa si consolidi. Questo non vale solo per la Grecia, ma anche per gli altri paesi. Vi saranno riallineamenti nelle alleanze, mentre dovremmo fare i conti con un nuovo ciclo di guerre locali e non dobbiamo escludere una guerra imperialista generalizzata.

L’esperienza conferma anche la posizione che il nostro partito ha formulato ai primi segni della crisi, ossia che la miseria e la crisi economica non portano automaticamente allo sviluppo della lotta di classe, all’organizzazione e allo sviluppo della coscienza politica. Ci sono due opzioni entrambe possibili: il movimento subirà una battuta d’arresto e sarà sconfitto per un periodo più o meno lungo o passerà all’offensiva e maturerà la comprensione della necessità di rovesciare il sistema capitalista. Niente è preordinato.

Nonostante la Grecia sia stata animata da grandi e protratte lotte, nonostante il movimento greco sia diventato uno dei più forti movimenti in tutto il mondo, e non solo in Europa, constatiamo che dopo tutto, le misure antipopolari non sono state impedite. Naturalmente il movimento ha imposto il loro ritardo, ma se qualcosa non cambia immediatamente, presto queste misure entreranno in vigore, tutte. Naturalmente è risaputo che le lotte che non portano risultati, stancano e deludono le persone.

Il nostro partito valuta che le sue carenze e debolezze, che non intende affatto nascondere, hanno avuto un certo impatto sul ritardo del contrattacco del popolo e dei lavoratori, anche se non hanno giocato un ruolo decisivo. Allo stesso modo, non hanno giocato un ruolo decisivo nella riduzione della forza elettorale del partito. Questo non significa che non si debba porre un accento particolare sullo sviluppo delle capacità e della resistenza del partito.

Abbiamo un fronte unitario a livello politico e sociale che, nonostante le differenze nelle proprie fila, ha avuto una posizione comune per quanto riguarda il carattere della via d’uscita dalla crisi, ossia il cambiamento della formula di gestione del sistema. E’ tuttavia prevalsa al suo interno la politica di sottomissione e, naturalmente ciò ha avuto un impatto negativo sull’orientamento della classe operaia e i suoi alleati. Tuttavia, nel movimento esiste una corrente radicale con orientamento di classe e in questa fase deve superare le conseguenze delle elezioni, porsi all’avanguardia e mobilitare più ampie forze operaie e popolari.

Le lotte hanno provocato scossoni nel sistema politico borghese in Grecia e impedito la successione di governi a partito unico, di alternanza tra il partito liberale e il partito socialdemocratico.

Ma queste tensioni non hanno portato a profonde spaccature. Le illusioni parlamentaristiche riguardo una soluzione alternativa di governo, di sinistra, riformista-opportunista, sono prevalse. E’ stato evidente che il sistema politico borghese ha anche altri strumenti per far fronte al conflitto. Oggi in Grecia il sistema bipolare del partito liberale Nuova Democrazia e di quello socialdemocratico del PASOK, è stato sostituito da un altro sistema bipolare: da un lato un polo di destra, centro-destra, dall’altro un polo “di sinistra” al cui nucleo vi sono gli opportunisti di Synaspismos con l’ampia trasfusione dei funzionari più importanti del PASOK, provenienti soprattutto dai ceti medi, dal settore pubblico, dall’apparato ideologico dello Stato, ecc.

Naturalmente gli eventi sono in evoluzione: si prepara una nuova scena di transizione politica o una fase di stabilizzazione, al fine di prevenire la radicalizzazione, spaccare il movimento prima che si riprenda, e certamente colpire il KKE.

A proposito di Alba dorata

Le due battaglie elettorali hanno elevato Alba dorata a forza parlamentare con 19 deputati. Si tratta di una formazione nazista, razzista e criminale, che ha come obiettivo principale la persecuzione degli immigrati, in particolare quelli asiatici verso i quali mette in atto pestaggi, attacchi omicidi, violenze, estorsioni e minacce. Il suo sostegno elettorale in particolare tra i gruppi più giovani di età, è stato alimentato da false parole chiave, come l’aurea di essere una formazione contraria al sistema dei partiti.

Riteniamo che questa formazione si stia sviluppando lungo le linee delle squadracce del periodo hitleriano e che l’obiettivo fondamentale sia un suo utilizzo per schiacciare il movimento operaio e popolare e sferrare un colpo al KKE. Dietro Alba dorata ci sono i servizi segreti e le sezioni dell’apparato statale, e sono probabili collegamenti internazionali. E’ sostenuta da cellule all’interno delle forze di sicurezza e pure dall’esercito. In termini politici è un prezioso aiuto al sistema, poiché la maggior parte dei partiti invoca il pericolo dei due estremi, equiparando fascismo e comunismo. Alba dorata non può essere osteggiata sulla base di un fronte antifascista o un fronte contro la violenza in generale, perché tale atteggiamento porterebbe ad un attacco al movimento stesso. Di Alba dorata deve occuparsene lo stesso movimento organizzato, nei luoghi di lavoro e nei vari settori, e le organizzazioni popolari, esponendone il ruolo di sostenitore del sistema e affrontando i reati che commette con i suoi attacchi omicidi che si fregia di descrivere come un’assunzione di giustizia nelle proprie mani. Gli altri partiti trattano Alba dorata dal punto di vista della legalità borghese e condannandone la violenza, che per loro include anche gli scioperi militanti e le manifestazioni.

Il KKE ha adeguato le sue posizioni e le richieste, la sua strategia e la tattica alle condizioni di crisi.

Nelle condizioni odierne, non solo perché lo abbiamo scelto, ma perché oggettivamente la questione è matura, abbiamo posto dinanzi al popolo la linea del contrattacco, che ha come punto di partenza la lotta per impedire l’attuazione delle manovre economiche e dare respiro alle famiglie, nonché per una via d’uscita attraverso la lotta per il potere della classe operaia e popolare.

La politica delle alleanze che proponiamo al popolo è associata alla formazione di un’alleanza popolare, con un chiaro orientamento anti-monopolistico (che naturalmente, nella sostanza è anticapitalista, visto che il capitalismo si è trasformato in capitalismo monopolistico). In queste condizioni l’alleanza popolare, organizza e coordina la resistenza e la lotta per la sopravvivenza, in una linea diretta di rottura con le unioni imperialiste e la guerra imperialista, per il rovesciamento del capitalismo e per il potere della classe operaia e popolare.

Poniamo apertamente al popolo la necessità di lottare per la cancellazione unilaterale del debito, senza riconoscerlo, perché il suo riconoscimento implica la negoziazione con il suo portato di nuovi memorandum e nuove misure. Allo stesso tempo, evidenziamo la necessità per il popolo di lottare per il disimpegno dall’Unione europea. Spieghiamo i motivi per cui il disimpegno e la cancellazione del debito comportano la lotta per il potere popolare, con la socializzazione dei monopoli e lo sviluppo pianificato che utilizzerà il potenziale di crescita esistente nel Paese, il ritiro dalle guerre imperialiste e dagli accordi di pace imperialista, il ritiro dalla NATO, la lotta per relazioni internazionali economiche reciprocamente vantaggiose.

Poniamo il percorso di uno sviluppo a beneficio del popolo contro il percorso di sviluppo capitalista. Denunciamo il vero contenuto della cosiddetta ristrutturazione produttiva, promossa da tutti i partiti borghesi tra cui SYRIZA, le cui proposte si inseriscono nel quadro dell’UE. Questo percorso di sviluppo mira a convertire la Grecia in uno snodo per il trasporto di energia e di materie prime; conduce allo sfruttamento congiunto dei giacimenti energetici nello Ionio e nel Mar Egeo al sud di Creta con l’accordo dei monopoli.

E’ in questa prospettiva che stimiamo e trattiamo la posizione delle forze politiche e delle alleanze a livello nazionale ed europeo. La formazione di un programma minimo non è radicata nella realtà oggettiva dal punto di vista del rapporto tra politica ed economia, poiché la via d’uscita dalla crisi a favore del popolo è una questione strategica.
Il ruolo della Sinistra Europea sta diventando ancora più negativo e corrosivo per il movimento europeo, poiché ha scelto in modo chiaro e inequivocabile una delle varie forme di gestione, secondo formule analoghe a quelle sostenute dai governi e dalle forze di sistema dell’UE a livello nazionale e continentale. La SE è coinvolta nelle contraddizioni interborghesi e interimperialiste.
Oggi la priorità per il popolo è prevenire una distruzione ancora maggiore e mirare a migliori prospettive per il futuro. A tal fine è indispensabile:

Primo
Rendersi conto del tipo di crisi che stiamo vivendo, vale a dire una crisi del percorso di sviluppo capitalista e di integrazione nell’Unione europea, e comprendere l’importanza della lotta contro i monopoli e il loro potere.

Secondo
L’organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nei settori dell’industria, nei quartieri.

Terzo
Il rafforzamento e il consolidamento dell’alleanza popolare tra la classe operaia e le forze sociali che hanno un interesse nella lotta contro i monopoli e del capitale a prescindere dalle differenze esistenti tra di loro, con l’elevata partecipazione delle donne e dei giovani dei ceti summenzionati. Il movimento deve essere orientato al rovesciamento del potere dei monopoli.

Il KKE con chiarezza e con argomentazioni precise ha rifiutato di partecipare a un governo di gestione borghese, proposto dal nuovo polo dell’opportunismo, che sta collaborando con gran parte del PASOK. La proposta cercava di esercitare una pressione politica sul KKE, e soprattutto di sottrarre voti dalla sua sfera di influenza. Quella proposta non aveva nemmeno una base numerica perché non vi sarebbe stato un numero sufficiente di parlamentari per formare un governo. Naturalmente, come abbiamo già sottolineato, il nostro rifiuto non era collegato all’insufficienza quantitativa di parlamentari ma questo fatto stesso dimostra il carattere demagogico della proposta e rivela l’obiettivo di colpire la strategia del KKE.

Abbiamo subito delle perdite alle elezioni, ma stimiamo che le perdite per il popolo sarebbero state ben più gravi e durevoli se il KKE avesse deciso di sostenere un governo di gestione borghese e accettare la sottomissione della Grecia nell’Unione europea e il potere dei monopoli nel campo dell’economia. Nel periodo tra le due tornate elettorali, SYRIZA ha abbandonato certe parole d’ordine radicali, cosa che gli ha consentito di ottenere un gran numero di voti attestandola come secondo partito, ricevendo consenso soprattutto tra le masse popolari allarmate dall’espulsione dalla zona euro e che credevano che una miglior negoziazione avrebbe arginato le misure senza sacrifici ulteriori. Oggi SYRIZA si propone come un negoziatore migliore rispetto al governo del PASOK-ND-Sinistra Democratica e si sta trasformando di un partito centrista moderno.

La sinistra di governo non cambia la linea politica generale, né assesta un colpo contro questo marcio sistema politico. Nessun governo, non importa se si dice di sinistra, comunista, o perfino rivoluzionario, rispetterà i propri proclami se i mezzi di produzione e la ricchezza sono nelle mani dei monopoli, se il popolo non possiede la proprietà e il potere statale.
In generale la battaglia in Grecia non è difficile a causa dello sfavorevole rapporto di forze. Sarebbe più corretto dire che sul terreno dello sfavorevole rapporto di forze, la battaglia è diventata più complessa. Al partito è richiesto un alto livello di competenza e stabilità, per introdursi più ampiamente nella classe operaia e tra le masse popolari, per gestire la situazione in modo adeguato senza alterare la sua linea politica generale e senza alienarsi quegli operai e impiegati che nutrono illusioni e non hanno ancora acquisito esperienza politica.
Per concludere su questo tema, ci preme sottolineare che la teoria e la nostra esperienza storica dimostrano che per quanto un partito comunista sia forte elettoralmente, quando assume posizioni di governo nel quadro del sistema borghese, sarà inevitabilmente assimilato ad esso. Questo problema deve diventare presto elemento di discussione tra le persone, perché comprendano che i margini per vivere una vita migliore sono disperatamente ridotti rispetto al passato, non solo nelle condizioni di crisi, ma anche nella fase di recupero. Oggettivamente le condizioni per il rovesciamento radicale sono ancora più mature, poiché i monopoli permeano profondamente sia l’economia che ogni altro aspetto della vita sociale.

Naturalmente il fattore soggettivo, cioè il movimento operaio e la forza del partito comunista è molto indietro, e occorre muovere in direzione del loro rafforzamento.

Non dobbiamo abbandonare la lotta contro la guerra imperialista e la pace imperialista in nome della crisi economica.

Di conseguenza, dobbiamo evidenziare per quali ragioni e in quali modi l’intervento imperialista sarà portato avanti, sulla base degli esempi della cosiddetta primavera araba, della Libia e della Siria: come un’opposizione interna viene formata all’esterno di un paese, come viene armata, come si tenta il rovesciamento anche di governi borghesi a causa delle contraddizioni interimperialiste e interborghesi. Dobbiamo promuovere sistematicamente e con argomentazioni concrete i motivi per cui l’arena di lotta nazionale rimane cruciale e decisiva e al tempo stesso l’importanza della cooperazione e della solidarietà internazionalista. E’ possibile per il movimento utilizzare le contraddizioni interimperialiste in due modi: per denunciare l’elemento cardine dell’internazionalizzazione del capitale e per preparare il popolo affinché non appoggi la classe borghese del suo paese nelle rivalità interimperialiste e nella guerra per la ridistribuzione dei mercati.

Nel contempo, il KKE cerca di studiare scientificamente e attraverso l’esperienza del movimento, gli sviluppi nel loro insieme per individuare le brecce nel sistema politico borghese e contribuire alla maggiore emancipazione del movimento.

Oggi è più che mai vero che il corso degli sviluppi a livello nazionale è determinato dal rapporto di forze internazionale e regionale, nonché dal dinamismo e dalla linea rivoluzionaria del movimento operaio e comunista. Ogni successo in un paese influisce sugli altri sviluppi europei, ogni cedimento al compromesso e ritirata metterà i movimenti di molti paesi in una posizione difficile. Naturalmente gli sviluppi saranno determinati dal livello delle lotte e dalle alleanze sociali, ma oggi deve essere ingaggiata un’intensa lotta ideologica contro le visioni borghesi, riformiste e opportuniste dominanti. Senza questa lotta, sul piano ideologico sarà difficile per le masse popolari essere orientate alla lotta per misure di sostegno e per la cancellazione e il ritiro di misure peggiori. Le lotte, anche se acquistano un carattere di massa, non avranno il necessario livello di organizzazione e di un solido orientamento politico senza il confronto ideologico all’interno del movimento.

*Segretario Generale del Partito Comunista di Grecia (KKE). Intervento introduttivo al meeting dei partiti comunisti e operai di Bruxelles 

da Partito Comunista di Grecia – http://inter.kke.gr/News/news2012/2012-10-01-ecm-omilia-kke. Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

 

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