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Sicilia chiama Italia

Il commento più serio, e anche cauto, è arrivato da un “siciliano all’estero” come Valentino Parlato: “una vittoria sulle macerie”. Che sottolinea come – tra non votanti e “grillini” – quasi due terzi dei siciliani maggiorenni si sia posto “fuori dal sistema dei partiti”.

Non è un dettaglio, è la cosa. Il resto va sullo sfondo, insieme alle infinite discussioni sugli zero virgola in più o in meno, i calcoli di bottega, la pervicace ostinazione a ripercorrere strade già demolite.

La voragine che si è aperta non è soltanto siciliana, lo sappiamo. Coinvolge il paese intero, in ogni sua parte. E la “società civile” – al contrario di 20 anni fa – appare parte rilevante del problema, non sua soluzione. In un certo senso, il “sistema dei partiti” si è dissolto allora, sulla scia di Tangentopoli (e della caduta del Muro). Sono stati formati dei nuovi “contenitori” dai nomi sempre cangianti. Ma appunto contenitori di persone e interessi, non di idee e progetti lungimiranti.

A-idologici per scelta e opportunismo, affaristi – tutti – per vocazione culturale. L’impresentabilità dei partiti, già allora, premeva per far “scendere in campo” dappertutto “esponenti della società civile”. Abbiamo avuto Berlusconi e Bossi, due diversi e complementari arruffapopolo concentrati sui propri interessi di bottega.

A sinistra, la furbizia dalemiana e quella minore, bertinottiana, si sono consunte con risultati altalenanti nella gestione di un patrimonio di voti “d’appartenenza” svuotandone lentamente le ragioni di tenuta. Fino a che la tenuta stessa si è rivelata impossibile.

L’epoca dei populisti ha preso le mosse dall’assenza di progetto come condizione per “far politica”, invece che come ostacolo insormontabile. Sulla scia dei primi arruffapopolo ha preso corpo la clonazione in salse varie. Di Pietro e i “girotondi” hanno anticipato il “grillismo” fornendogli il catalogo degli argomenti generici, buoni per tutti i palati; il “nuovismo” veltroniano ha incubato la rottamazione Renzi style, una sorta di montismo in salsa finto-piccante e contradaiola. Vendola è fiorito e appassito nel breve volgere di una legislatura in cui ha gridato alle primarie ogni due per tre, arrivandoci infine da vittima predestinata. Dei vari raggruppamenti comunisti meglio tacere. Il No Monti Day ha dato un segno di vitalità che le sue componenti più strutturate e socialmente radicate debbono sbrigarsi a re-impiantare in un corpo sociale devastato.

L’assenza di progetto è del resto conseguente all’espropriazione della “politica” della sua prima funzione: il controllo del bilancio, delle entrate e spese pubbliche. Vale per la Sicilia nei confronti dell’Italia, come per quest’ultima nei confronti dell’Europa. Che voto a fare se tutto quello che credo o che mi serve è impossibile da realizzare? Se le decisioni si prendono in luoghi dove i “miei eletti” non potranno nemmeno accedere?

La società attuale appare sempre più un aggregato di singoli lasciati a se stessi, che reagiscono rifiutando la vecchia rappresentanza e non ne cercano una nuova. La “frammentazione” del quadro partitico residuo ne consegue, denudando la struttura delle clientele senza più “l’acqua in cui nuotava il pesce”.

La crisi prosciuga infine le risorse che davano alle clientele forza e simil-radicamento sociale. Ognun per sé e dio per tutti. Questo ci dice il voto siciliano, con particolare crudezza.

Un’alternativa è urgente, certo. Ma decisamente fuori dal sistema. Per realismo, non per estremismo.

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