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Per essere chiari

Ci segnalano questo intervento di  Fabio Nobile, stimato dirigente del PdCI di Roma e consigliere regionale Fds nel Lazio. Le riflessioni sono apprezzabili in diversi passaggi, le conclusioni – a nostro avviso – ancora molto discutibili. (red)

Da qualche giorno circola in rete l’appello «Con Vendola per il lavoro». Pubblicato sul sito Sinistra XXI, sottoscritto tra gli altri da alcuni autorevoli dirigenti nazionali del Partito dei Comunisti Italiani, nell’appello, una volta richiamate le ragioni del sostegno alle primarie a Vendola, si legge: «Crediamo che un impegno comune nel sostenere Vendola alle primarie possa sfociare nella costruzione di uno spazio unitario della sinistra, che superi le appartenenze di origine e valorizzi le differenti storie di ognuno, che guardi al cambiamento futuro anziché alle divisioni del passato».
Su quest’appello e su questa scelta, voglio essere chiaro fin da subito: non sono d’accordo. Per la prima volta in maniera chiara ed inequivocabile si fa riferimento al superamento del Partito che, nel 1998, anche io ho fondato.
Gradatamente prendono così forma, secondo alcuni, i contorni di un progetto politico assai diverso da quanto votato all’ultimo congresso nazionale; ciascun iscritto all’interno della tessera del 2012 del Partito dei Comunisti Italiani può infatti leggere: «Il Partito dei Comunisti Italiani opera per la ricostruzione in Italia di un partito comunista unico, avanguardia delle componenti più avanzate della società italiana nella lotta per il socialismo ed
il comunismo» (art. 1 dello Statuto).

Non credo sia questa la sede per ripercorrere e ricostruire il complesso iter storico-politico per il quale nel 1991, nonostante la caduta dell’Unione Sovietica e la fine del cosiddetto «socialismo reale», decine di migliaia di
compagni italiani scelsero con coraggio e determinazione di non ammainare la bandiera rossa, di non fare il fatidico «passo indietro», avviando la rifondazione di un nuovo Partito Comunista. Sappiamo le crisi che ha subito
quel progetto e la divisione dei comunisti che si è prodotta. Ma le ragioni della necessità di un unico Partito Comunista restano confermate dalla crisi che attraversa il capitale in Italia e nel mondo.

E’ quanto teorizziamo da quattro anni, è quanto abbiamo scritto nel documento congressuale, è la direzione che abbiamo dato al lavoro politico dei nostri compagni. Confluire attraverso il sostegno a Vendola alle primarie in un
indistinto «spazio unitario della sinistra» è un progetto politico che non mi riguarda. Secondo il nostro documento congressuale è infatti la Federazione della Sinistra il «soggetto che permette un lavoro unitario tra i comunisti» ed
il «terreno di pratica dell’unità della sinistra» (p.24 Documento Congressuale). Un Partito ed una sinistra in grado di essere punto di riferimento credibile nel Paese e con quell’Europa che resiste. Un processo che collegialmente era stato giudicato «irreversibile» e, in seguito al Consiglio del 3 novembre,  oggi tende a concludersi negativamente.

I comunisti sono nuovamente separati e con due linee politiche (e due strategie?), al momento, inconciliabili.

Mi concentro quindi sulla posizione del mio Partito, il PdCI, nella cui Direzione ho espresso il mio voto contrario al dispositivo finale. Un dispositivo che conteneva la decisione di partecipare alle primarie di PD-SeL-PSI dando indicazione di voto prima per Vendola e poi per Bersani.
Il quadro politico che abbiamo di fronte è assolutamente fluido, ma un dato è certo: ad essere in gioco in questa fase sono gli assetti della futura terza repubblica, da una parte quindi l’area moderata capeggiata da Casini e dall’
altra il Pd di Bersani e Renzi. Con la destra che seppur divisa cerca di giocarsi le proprie carte.

Lo scontro tra segmenti diversi della borghesia italiana, di cui entrambi i soggetti politici aspirano ad esserne espressione, produce un quadro politico caratterizzato da pressioni contrastanti e assai violente. Il peso della crisi
acutizza infatti la dinamica di questo conflitto: gli interessi tra le diverse classi risultano sempre meno conciliabili. Il governo Monti ha tuttavia indicato i confini ed i limiti (dal Fiscal Compact al Pareggio di bilancio in Costituzione) entro cui tale dialettica può o non può realizzarsi: al netto quindi della propaganda e a partire dalla carta d’intenti – sulla cui base le primarie si svolgono – nessuno degli aspiranti premier del centro-sinistra intende mettere sostanzialmente in discussione tali confini. Organicamente dentro quel quadro i comunisti non risultano in grado di essere influenti.

La divisione dei comunisti, ed il loro relativo indebolimento, risulta, infatti, oggettivamente funzionale a mantenere la partita solo in quel contesto. Le uniche voci fuori dal coro rischiano così di essere quella di
Grillo e magari quella dei fascisti, che con sempre maggiore coraggio sembrano affacciarsi nel quadro politico. Populismo e fascismo quali uniche espressioni di contestazione sistemica, la sinistra divisa e debolissima.

Ma veniamo all’oggi: la Direzione del Partito decide di sottoscrivere la carta d’intenti e votare prima Vendola e poi Bersani alle primarie. Senza un accordo sui contenuti, ma con una carta d’intenti i cui unici vincoli veri attengono
all’Europa e al “patto con il centro liberale”, il Partito decide di partecipare alle primarie. Nessuna altra forza senza esprimere candidature e senza partecipare al percorso programmatico ha compiuto questa scelta. A ciò si
aggiunga l’orgogliosa indifferenza del candidato che si è scelto di sostenere, non un cenno di riscontro e condivisione è stata spesa infatti da Vendola. Di fronte ad una scelta di questo tipo, assai distante dalle linee guida
congressuali, sarebbe stato auspicabile un coinvolgimento largo del Partito con la convocazione in primis del Comitato Centrale.

Dal mio punto di vista continuo a credere che sarebbe necessario lavorare ad un’aggregazione tra le forze anti-Monti e, solo dopo le primarie, con una forza maggiore andrebbe verificata la possibilità di confronto con il Pd. Un confronto vero, dove indicare una soglia programmatica minima che non può non contenere gli elementi su cui noi comunisti insieme ad altri chiediamo il sostegno dei lavoratori con i Referendum (Dall’art. 18 alla riforma delle pensioni). Non escludendo, quindi, aprioristicamente, nessuna ipotesi di collocazione ma definendola, nella chiarezza del proprio profilo politico, senza ipotecare negativamente il futuro della propria azione. Che ci dovrà
vedere lottare con l’adeguata forza contro le politiche imposte dalla BCE ed i rischi sempre più forti di nuove guerre.

Continuo a credere che sia necessario lavorare ad unire i comunisti e ad avere un Partito Comunista unico. A Roma e nel Lazio, dove le spinte del quadro nazionale stanno spingendo il Pd verso l’UDC, stiamo lavorando con lo schema
che indicavo prima. Senza minare l’unità ma nella assoluta chiarezza.

* Consigliere regionale del Lazio PdCI/FdS

da http://fabionobile.wordpress.com

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