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“Non si gioca più”

Con le dichiarazioni di questa settimana Bersani ha, in larga misura, definito il perimetro politico della coalizione Italia Bene Comune. Dopo le primarie che hanno spostato a destra il Pd, la solo paventata ipotesi di scesa in campo di Monti ha chiarito, per chi ancora non lo avesse capito, quali sono le esigenze del gruppo dirigente democratico. Accreditarsi, in primis agli occhi dei mercati internazionali, quale affidabile perno di una coalizione che guidi la stabilizzazione moderata attorno all’agenda Monti.

Ormai è chiaro che la messa in discussione della stessa, in ragione degli equilibri creatisi, porterebbe automaticamente allo sconquasso dello stesso Pd e alla fine dei sogni di gloria dello stesso Bersani.

La frammentazione a destra, la spinta di Monti e con esso del PPE porterà probabilmente ad un’aggregazione centrista capace di rendere indispensabile e politicamente decisivo l’accordo dopo il voto. Probabilmente i rapporti di forza sul piano elettorale tracceranno gli equilibri definitivi, ma la strada è segnata.

Si può riconoscere ora che in tale contesto, se il Pd accettasse un pezzo della sinistra anti-montiana, si tratterebbe semplicemente della resa di quest’ultima?

Oggi è evidente a tutti che un confronto per una alleanza di governo con chi afferma ad es. che «la questione articolo 18 è un capitolo chiuso», non sia possibile per le forze comuniste. Anche i più fervidi sostenitori di un accordo con il Pd credo possano riconoscerlo. Decisivo è infatti il quadro generale: non si può sottovalutare che il Pd si stia facendo strumento di governo dentro le compatibilità imposte dal capitale finanziario. Così come allo stesso tempo non deve sottovalutarsi il disagio che provoca questa nuova mutazione in quel partito. Per questo motivo va investito di una critica concreta e materiale alle politiche realizzate e non blandito. Ed ancora non può essere sottovalutato come il Pd abbia interesse alla divisione del campo della sinistra, inglobando e rendendone inoffensiva una parte e contrastandone un’altra anche a mezzo di sbarramenti nelle leggi elettorali.

Molto spesso, in politica, se si sbaglia l’analisi si rischia di sbagliare tutto. E sono proprio i gravi ritardi in questo senso, uniti alla devastante assenza d’iniziativa politica e ad un immobilismo paralizzante, ad aver determinato un quadro così arretrato per i comunisti e per chi dovrebbe rappresentare l’alternativa di sinistra.

Soltanto un’analisi approssimativa, priva di un attento esame dei rapporti di forza politico-sociali determinatisi dopo un anno di commissariamento del Paese da parte dell’Europa, poteva portare a ritenere di avere ampi spazi per una convergenza programmatica con il PD fino addirittura a preludere un accordo di governo. Una volta appurato che i margini per un confronto programmatico con i Democratici, come da più parti in precedenza auspicato, sono venuti meno, è bene trarne le conseguenze. Si deve sapere che alle elezioni politiche la sinistra non sarà in alleanza con il Pd, benché esso nella percezione di massa sia ancora un partito di sinistra, perché sull’art.18, il Fiscal Compact, la riforma delle pensioni e le missioni internazionali il Pd sta sul fronte opposto.

Soltanto l’autoreferenzialità ha potuto portare quindi i comunisti riuniti nella FdS a dividersi, indebolendosi e rincorrendo ipotesi assolutamente irrealistiche. In questo senso, ancora oggi, mi sfugge il senso politico della partecipazione alle primarie da parte del mio partito.

Se invece dopo il corteo del 12 maggio, con la piattaforma anti-montiana di cui era portatore, si fosse praticata una linea di autonomia unitaria che attorno al programma avesse verificato le condizioni per le alleanze alla propria destra e alla propria sinistra, forse il percorso sarebbe stato oggi più avanzato. E, visto l’esito prevedibile, il costituendo quarto polo sarebbe potuto essere più rosso e un po’ meno arancione. Come lo stesso corteo del 27 ottobre, il “No Monti Day” avrebbe potuto essere con più forza un altro tassello attraverso cui far crescere l’intero processo.

La storia non si fa con i se, ma se oggi la credibilità elettorale di quanto si muove a sinistra del Pd è così incerta deriva dal peso ancora enorme che il politicismo ha avuto. Alla sinistra e ai comunisti il compito decisivo, sul terreno della piattaforma e della prospettiva politica, di caratterizzare il processo elettorale in fieri al fine di determinare le condizioni politiche per una rinnovata stagione di lotte sociali dopo le elezioni.

Tra poco si voterà e verificheremo l’esito delle elezioni. L’impegno perché la sinistra e i comunisti siano presenti in parlamento dovrà essere massimo. Dopo, però, si deve riaprire la discussione sull’unità dei comunisti e sulla costruzione della sinistra di classe, politica e sociale, dentro le lotte. Insomma un lavoro di ricomposizione che sappia tracciare la strategia dei comunisti nel terzo millennio, dentro la crisi più grave dal secondo dopoguerra. Ormai non si gioca più.

* Consigliere regionale PdCI/Fds del Lazio

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