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Venezuela e Chavez. Diffidiamo dei “+1”

Il compagno Chavez è morto da pochi giorni e già qualche “intellettuale” della sinistra cosiddetta rivoluzionaria, indefessa teorica del “+1”, si rende protagonista di esecrabili prese di distanza preventive dalla dirigenza della Rivoluzione Venezuelana che somigliano molto ad un infangamento. E riecheggiano vecchi vizi. Sul Megafono Quotidiano, ad esempio, è immediatamente apparso un articolo intitolato “Chavez, perché ne sentiremo la mancanza”, a firma di Antonio Moscato.

L’articolo si presenta come un insieme di supposizioni mai delineate nel merito che tendono:

1)         a sminuire l’importanza delle conquiste della Rivoluzione Bolivariana, derubricandole quasi a pauperismo;

2)         a sminuire il ruolo di Chavez, derubricandolo a quello di un leader accentratore e, allo stesso tempo, mediatore fra le varie consorterie burocratiche del suo partito, che sarebbero portatrici di interessi materiali inconfessabili.

Chi scrive non si sarebbe mai sognato di intervenire su tali questioni se non ritenesse l’articolo in questione particolarmente insidioso per i militanti che lo leggono perché , a partire dal titolo, sembra una polemica fatta “da dentro” contro le burocrazie, ma, mediante un giudizio purista, apparentemente scorrevole e capzioso, porta a conclusioni degne dei giudizi che potrebbe avere un esponente del PD sull’intera esperienza venezuelana.

Nelle critiche portate, logicamente non si dice cosa e come la rivoluzione avrebbe dovuto e potuto fare di più e meglio (come sarebbe d’obbligo fare quando si parla di rapporti fra compagni), né ci si sogna di contestualizzare alcunché, prendendo in considerazione le condizioni oggettive nelle quali si è sviluppato il processo venezuelano. Semplicemente se ne fotografa l’inadeguatezza, rispetto a non si sa quale orizzonte di adeguatezza disegnato a tavolino, non tenendo conto dei successi della rivoluzione anche in termini di uguaglianza sociale, che fanno del Venezuela il paese del Sud-America con il coefficiente di Gini più basso. Nessuno vuole delineare, nel Venezuela, un paradiso terrestre, tutt’altro: vi sono ancora atroci problemi e sicuramente moltissimi errori sono stati commessi da Chavez e dalle dirigenze rivoluzionarie, errori e limiti di ogni natura (di degenerazioni burocratiche, di cultura politica, di malfunzionamento di certi provvedimenti, ecc.) che nessuno si nasconde, men che meno loro stessi. Tuttavia, se si critica, bisogna entrare nel merito, altrimenti rimane una gratuita presa di distanza non degna di un dibattito riguardo compagni.

Ancora peggio è quando si parla del ruolo di Chavez e delle presunte beghe interne al PSUV per la successione. Sembra quasi che il Comandante abbia lasciato dietro di se delle macerie e non un processo rivoluzionario reale. Il fatto che Chavez fosse centrale è una banale verità; ma non si ricorda nessuna rivoluzione in cui il capo non sia centrale e non si corra anche il rischio di avere una degradazione dell’azione rivoluzionaria dopo la sua dipartita, specie se prematura. Tuttavia, dal constatare questo a prendere preventive distanze dal gruppo dirigente del PSUV ce ne passa. Nella fattispecie, si sminuiscono anche gl’immensi sforzi di Chavez nel costruire il partito, poiché egli era il primo a voler uscire da una situazione di grande accentramento sulla sua figura (rafforzato anche dal sistema presidenziale) per formare l’avanguardia rivoluzionaria del futuro. Se si leggono i documenti del PSUV, per altro, si evince un’impostazione coerentemente di classe e antimperialiste (mentre, giova ricordarlo, la soggettività politica cui è riconducibile l’autore dell’articolo, in passato ha ceduto a suggestioni secondi cui l’imperialismo non c’è più). C’è, poi, la scomunica Diosdado Cabello, definito addirittura “l’uomo più odiato dalla base per l’ostentazione di una ricchezza accumulata con la corruzione, e vero leader della “boliburguesia”. Ma è possibile che ci si possa spingere a formulare tali “critiche” senza sognarsi di entrare minimamente nel merito, dato che si parla di un dirigente di una rivoluzione? Diosdedo Cabello, per la cronaca, era al fianco di Chavez nel 1992 ed andò in carcere con lui. In seguito, ha ricoperto vari incarichi ed è stato utilizzato dal partito in frangenti elettorali difficilissimi (perse le elezioni regionali per lo stato di Miranda, feudo dell’opposizione, contro Capriles, come ricapitato recentemente all’attuale Ministro degli Esteri Jaua); ha subito accuse di appropriazione indebita mosse da esponenti delle opposizioni e dell’imperialismo (non dalla base), ma non ha ricevuto alcuna condanna o dimostrazioni di odio popolare, soltanto il rinnovo della fiducia da parte di Chavez; non paio, pertanto, esserci gli estremi per una tale demonizzazione preventiva. Infine, si definiscono i militari “tutt’altro che di sinistra”; anche qui il Comandante sosteneva il contrario ed anche alcune circostanze lo hanno dimostrato (i fatti del 2002 in testa). Inoltre, come si sa, egli si è formato nell’esercito, dove fondò il Movimento Bolivariano Rivoluzionario e attualmente le sue spoglie giacciono con l’uniforme militare addosso.

Nel prosieguo dell’articolo si svolgono alcune considerazioni riguardo il ruolo del Brasile, dell’Argentina, dell’Uruguay nel contesto sudamericano; su queste non si entra nel merito, perché paiono più politiche, anche se poco argomentate. Naturalmente, chi scrive è in totale disaccordo e respinge le accuse di provincialismo, mettendo in evidenza che, anche stavolta, si sminuisce il ruolo egemone di Chavez in America latina. Su Cuba, invece, si fa di nuovo ricorso al pettegolezzo allo scopo di discredito, citando addirittura il Che.

Infine, per dare di nuovo un colpo al cerchio e far capire che la critica proviene “da dentro”, si propone la banale verità che la base materiale della rivoluzione bolivariana sia costituita dalla classe lavoratrice venezuelana; ma anche qui, lo si fa volendo alludere al fatto che tra Chavez e il popolo non ci sia nulla, squalificando tutti gli sforzi compiuti dal Comandante per costruire organizzazione e sedimentazione e come se sia possibile distaccare nettamente la base dai dirigenti della rivoluzione.

In conclusione, nessuno nega che nella Rivoluzione Bolivariana ci siano punti oscuri e che potrebbero esserci dissidi all’interno del PSUV, anche se, al momento, così non sembra: tutti i dirigenti, in profonda connessione sentimentale col popolo, paiono determinati a rispettare tutte le volontà politiche del defunto leader (anche con qualche accentuazione retorica di troppo dovuta all’onda emozionale), a partire dalla candidatura a Presidente di Maduro. Tuttavia, bisogna rendersi conto che questi dirigenti si trovano di fronte ad una circostanza storica, quale è la riorganizzazione dopo la scomparsa del compagno Chavez, il cui operato, appunto, non è stato di poco conto ma ha mosso la storia. Di fronte a ciò, mettersi, da compagni, dietro una scrivania a parlare di inadeguatezze del socialismo bolivariano e di rivalità all’interno del partito (che sarebbero normali e legittime se mosse da diversi punti di vista politici e quindi da rispettare profondamente, come si rispetta anche il travaglio interno all’organizzazione cui è riconducibile l’autore dell’articolo) senza entrare profondamente nel merito pare talmente inadeguato, da sconfinare nell’infangamento preventivo; qui non si parla più di politica!

Compito dei comunisti e di tutti i sinceri antimperialisti e progressisti, a mio parere, è quello di stringersi oggi attorno al gruppo dirigente della rivoluzione che ha il compito, mentre lo guardano diversi miliardi di persone (perché Chavez era un punto di riferimento in tutti i paesi del cosiddetto Terzo Mondo) e l’imperialismo lo ha nel mirino, di gestire l’immensa e pesantissima eredità del Comandante, sostenendolo apertamente affinché vada avanti nella maggiore unità possibile sul sentiero rivoluzionario. Lo dobbiamo al compagno Chavez e alla classe lavoratrice sudamericana.

Per informazione e correttezza qui di seguito il link con l’articolo di Moscato
http://ilmegafonoquotidiano.it/news/chavez-perch%C3%A8-ne-sentiremo-la-mancanza

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