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La neo-classe dello Stato infedele

Mai come in questi mesi ho vissuto il lavoro politico con estrema sofferenza, con uno straordinario senso di inadeguatezza. Se le elezioni politiche sono un’occasione per fare inchiesta sociale devo dire di aver registrato un livello di impenetrabilità per le nostre idee in maniera impressionante, non perchè erano sbagliate, ma perchè erano riconducibili ad un partito.
Mi ha colpito molto leggere ad esempio il post di un nostro compagno che durante le elezioni scriveva che nonostante fosse stato presente nelle fabbriche in crisi a fianco degli operai per mesi, questi alla fine invece che votare per noi abbiano scelto Grillo.
E’ così, inutile girarci intorno, i ceti popolari, hanno dato un segnale antisistemico contro le politiche di austerity che non è andato per il sottile. Il popolo della crisi ha prodotto lo Tsunami e noi con la nostra lista ne siamo stati travolti pur essendo dalla parte giusta della barricata.
Ma l’epicentro del sisma che ha mosso un’onda così potente non era vicino alla costa, era molto lontano nel tempo e molto in profondità nel corpo sociale di questo paese. La recente crisi non ha fatto altro che aumentarne la velocità, ma comunque sarebbe successo. Senza indagare infatti la contro rivoluzione liberista di Berlusconi che ha mutato profondamente la cultura politica di questo paese la nostra rischia di essere una discussione parziale. Beppe Grillo era dentro il Gabibbo di striscia la notizia ed è cresciuto in quel campo interclassista e rabbioso dove la lotta di classe viene estirpata dal siete tutti uguali e poi viene codficata politicamente in “mandiamoli tutti a casa”.
Il messaggio che si è quindi affermato è che il giovane comunista che difendeva gli operai lo faceva per se stesso, per la propria carriera, ed il padrone che li licenziava era una vittima della crisi la cui responsabilità è principalmente dei partiti. I partiti più delle banche, i politici peggio degli speculatori. 
Il vero dramma per noi, è che questo elemento si basa su principi di realtà non del tutto privi di fondamento, e non è semplicemente un problema legato ai costi della politica, quello semmai è il tema in superficie. C’è infatti un capitalismo di stato, intrecciato al capitalismo privato che conta e molto in questo paese, nel quale il “dominio dei partiti” è un elemento centrale. Ci troviamo insomma di fronte  ad un’altra privatizzazione, favorita da un diritto comunitario che elimina di fatto i controlli democratici ed alimenta i privilegi.
La vittoria della privatizzazione in questa fase  non è solo cessione delle imprese pubbliche al privato, ma anche gestione privatistica del residuo patrimonio pubblico e mediazione partitica delle risorse pubbliche. Chi pensa che nella globalizzazione gli stati siano stati schiantati dalle reti finanziarie, commette quindi un errore, essi contano ancora ed al loro interno si è costruita una neo classe, fatta di alte cariche e politici a vita che ha accumulato un potere enorme. Non parlo di grande ricchezza in mano a pochi capitalisti, ma di potere decisionale su grandi questioni economiche molto spesso lontanissime dal controllo democratico dei cittadini. Un potere esercitato da una fascia ristretta di individui ( non parlo dei lavoratori pubblici ma dei loro “padroni” ) che spesso passano da una carica all’altra. Dalle banche ai partiti e dai partiti alle fondazioni, alle municipalizzate ecc, ecc.
Se oggi occorre contestare giustamente la globalizzazione liberista, l’Europa come modello istituzionale allo stesso modo vanno contestati anche gli attori della Governance dando a loro un nome ed un cognome. Occorre insomma assumere come elemento di lavoro l’analisi concreta della realtà concreta . L’uso capitalistico dello stato, gestito da una neo classe di apparati di potere riveste un ruolo centrale nella globalizzazione liberista, ed in particolar modo per quando riguarda la destinazione delle risorse pubbliche a fini privati. Le spese militari, le grandi opere, i processi di liberalizzazione, i soldi pubblici dati alle banche private, per non parlare degli altri miliardi di euro in appalti e finanziamento a fondo perduto sono lo spazio in cui operano queste figure.
In questo intreccio perverso la corruzione è un polmone per i processi di accumulazione capitalista, prova ne sono gli scandali a ripetizione che investono il nostro paese. Il sistema bipolare del resto è la madre di questo modello che ha prodotto una neo classe che gestisce privatamente la più grande impresa italiana, quella dello Stato appunto. Uno Stato che è oggi totalmente infedele ai principi fondativi della nostra costituzione repubblicana.
Quando si parla pertanto di classi dominanti non dobbiamo pensare che queste siano semplicemente i ricchi, le multinazionali, gli speculatori finanziari. Ma dobbiamo cominciare a riflettere che oggi esiste una neo classe che si è fatta dominante e che si è sviluppata all’interno dello Stato utilizzando i partiti come strumento principale di accesso a queste posizioni. Fin quando non avremo le idee chiare su questo aspetto non aspettiamoci i confetti dal popolo della crisi che mi pare abbia capito molto meglio di noi i termini reali della questione.
Per questo, anche la nostra idea di rilancio del pubblico potrebbe incontrare difficoltà se non iniziamo da subito a dire che il terreno di affermazione dei beni comuni, è intrinsecamente collegato ad uno spazio democratico effettivo, un pubblico sociale ancora da definire che non dovrà essere in mano ai partiti statalizzati e complici della governance neoliberista.

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1 Commento


  • alfonso de amicis

    Conosco Francesco. E’ stato un protagonista nel mio paese durante l’emergenza del terremoto nel 2009. Le brigate di solidarietà intervennero a Tempera prima ancora che arrivassero le truppe cammellate della protezione civile s.p.a. Tuttavia mi preme sottolineare un’aspetto che può apparire secondario ma che oggi riveste una importanza dirimente. Non sono le cose che dici che determinano un qualche consenso, ma come esse vengono dette e con quali gambe esse poi camminano. Siamo onesti ormai tutti i partiti eredi di una tradizione più omeno di sinistra o comunista si sono trasformati anch’essi in piccole macchine elettorali e di autoriproduzione di ceto politico. Spesso capita di ascoltare che di fronte a una consultazione elettorale è importante la presenza nell’organo elettivo. magari alleati con il Pd. Poniamo il caso dell’Aquila. Una ricostruzione ferma. Una città fantasma. Un patrimonio storico artistico architettonico alla deriva e il Sindaco che continuamente fa annunci in un crescendo berlusconiano e nessuno che dice nulla. Quando poi vai tra le masse disperse che dici? Centellini la tua posiszione? Insomma dobbiamo ripensare il modo di stare tra le masse rivedere alcune forme di organizzazione e partecipazione, e rompere definitivamente con il Pd e i suo seguaci che sono il PROBLEMA e non la soluzione. Stare fuori dalle istituzioni in questo periodo storico non è forse un dramma. Anche perchè , mi pare abbiano perso quel senso di mediazione e progressività che il ‘900 le aveva assegnato. Il metodo è sostanza.

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