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Napoli brucia

E’ molto chiaro ciò che avviene. Chi ha perso nelle urne muove le pedine in direzione della guerra civile e del caos che precede le militarizzazioni.
Chi ha perso è un complicato fascio di interessi e intrecci politico-criminali, su scala locale e nazionale, che muove miliardi e macina clientele a centinaia di migliaia. Bisogna dire le cose come stanno. General contractors e Sistema colpiscono uniti per ribaltare la partita. Troppo importante il risultato, si butta fuori l’arbitro a calci e si prosegue a giocare forsennati.
Non si può, non si deve toccare una macchina emergenziale che ha “termovalorizzato” decine di miliardi di euro, sfornato comitati e consorzi a controllo criminale, insediato cooperative di lavoro fantasma di sicura presa elettorale, finanziato bonifiche mai realizzate.
La reazione di chi vede intaccato tale avido ben di dio è violentissima. Si manda avanti un esercito ragazzino e straccione, ingovernabile e disperato, a infrangere ogni possibilità di gestione, qualsiasi tentativo di avviare un “altro modo di fare le cose”. Affermare che la merda e il dominio di certi gruppi e interessi sono comunque il meno peggio, perché l’alternativa è la guerra di tutti contro tutti.
Questa è la più lampante dimostrazione che il voto dei cittadini è necessario ma per nulla sufficiente ad affrontare le circostanze. Che molto di più viene richiesto oggi a coloro che nelle giornate elettorali si sono mossi verso la richiesta di cambiamento e di svolta.
Se non sapremo dare vita a esperienze non effimere di resistenza e costruzione di forme pratiche di convivenza e produzione sociale, verremo travolti. L’urgenza inoltre impone tempi molto rapidi, e prove molto dure da affrontare.

A Napoli in questo momento sarebbe necessaria una “forza civica” di quindici-ventimila volontari, disponibili e operativi nel garantire sul territorio che si dia una chance all’impostazione di un nuovo ciclo, non solo dei rifiuti, di gestione delle risorse e delle problematiche. Se i cittadini che hanno votato si ritirano nelle case, è finita. Il rischio è di rimanervi asserragliati per chissà quanto tempo.
Non so se il sindaco De Magistris sia in grado, se la città stessa possa trovare un tale slancio, ma ritengo non rimandabile un appello reale alla mobilitazione di quanti si sono espressi.
Una grande metropoli del Mediterraneo va alla deriva e al collasso, dopo Tunisi e Il Cairo, Atene e Beirut. Il preludio di ciò che sta accadendo a tutti noi, senza risposte adeguate. Napoli è solo il primo, forse decisivo, test. Altri seguiranno.
I cittadini, non solo di Napoli, devono trovare forme e modalità per organizzarsi, attutire l’impatto della crisi e offrire risposte collettive a bisogni collettivi. Come cittadini, dobbiamo sapere che a salvarci non giungerà nessuno.

Infine. Ciò che è in corso è un’africanizzazione della crisi nella zona euro, spinta da enormi flussi speculativi della finanza globale. Forze imponenti spingono per l’assimilazione dell’intero Mediterraneo alla fascia nordafricana, una specie di cuscinetto speculativo tenuto al guinzaglio dalle organizzazioni economiche internazionali con il cappio dei debiti sovrani e della massa degli interessi usurari. L’esproprio progressivo di una quota ormai totalizzante di ricchezza, di risorse, e tout court di sovranità politica. Si offre come soluzione la vendita a pezzi di un paese come la Grecia, la messa sul lastrico di milioni di persone, solo per onorare assurdi debiti che non abbiamo contratto, e ad assurdi tassi decuplicati rispetto agli originari.

A guerra e sfida “africana”, urge risposta “sudamericana”.

I popoli dell’altra sponda del Mediterraneo lo hanno già capito. Altri, con durezza o intuizione, stanno già sperimentando le conseguenze.
Bisogna avere il coraggio di affermare che è la strategia del debito a dover essere messa in discussione. Che non sta scritto da nessuna parte che le banche non possano fallire, mentre cittadini e imprese e amministrazioni sì e andare in malora. Che la sottrazione sistematica delle già scarse risorse disponibili è diventata inaccettabile. Che tutto va rinegoziato su basi completamente nuove, o non avranno nulla. Che non è possibile che le agenzie che ieri vendevano Lehman’s al massimo dell’affidabilità, oggi siano ancora più potenti e decisive sui destini di intere aree geografiche. Che non subiremo inerti l’ultimo raid predatorio che arriva a fiumi e laghi, monumenti e palazzi, spiagge e colline. Che non pagheremo quel debito, perché è un’estorsione e un ricatto. Qualcuno, in Spagna e nella lontana Islanda, inizia a dirlo con forza.
Non ci sono ricette salvifiche in questa cruda alba degli anni ’10, una guerra di lungo corso li attraverserà tutti, e i fuochi che vediamo sono l’anticipo dei boati a venire.
Fondare nuove istituzioni sarà il compito di questa e delle prossime generazioni. L’unico possibile argine agli strateghi della guerra civile. Si tratta di un compito pacifico, ma sarà necessario combattere per realizzarlo anche solo in minima parte.
Napoli brucia.
Napoli è l’esempio che questo futuro è adesso.
L’incendio divampa e sprigiona fumi mortiferi. Un bravo pompiere direbbe che un fuoco simile si spegne solo col fuoco.

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