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Perché sarò a Bologna l’11 maggio

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Un movimento politico anticapitalista e libertario

Viviamo tempi da brividi per la prolungata devastazione sociale che le classi dirigenti europee, tramite i governi nazionali, stanno provocando per salvare il sistema capitalistico e gli interessi delle classi dominanti. È entrato in azione il ‘pilota automatico’ della BCE che impone risanamento dei conti pubblici e ‘riforme di struttura’ per garantire competitività alle aziende e salvaguardare le banche, che prendendo in prestito denaro dalla banca centrale a interessi quasi zero lo reinvestono con ricche rendite in titoli pubblici resi sicuri dai programmi di interventi di acquisto, quali l’OMT. Si svolge davanti ai nostri occhi l’unica lotta di classe, quella dall’alto e, nonostante scioperi e dimostrazioni in paesi come Spagna Grecia e Portogallo, non c’è un movimento europeo che si opponga per fermare il taglio dei salari e delle pensioni, la precarizzazione del lavoro e la disoccupazione. Si fa solo della retorica sulla ‘generazione perduta’, sui trenta-quarantenni che, pur dotati di elevata qualificazione, sono relegati in lavoro precari. Si fa solo della retorica quando si contrappongono i padri ai figli dato che i padri sono esposti al licenziamento, al prolungamento dell’età pensionistica, alla perdita e del lavoro e della pensione come è successo a decine e decine di migliaia di ‘esodati’, e solo la solidarietà tra madri padri nonni e figli riesce a ergere una difesa contro la miseria.

In Italia, benché sono attivi movimenti di resistenza, è in atto una ‘normalizzazione sociale’, e questa normalizzazione la si deve al PD e alla Troika sindacale CGIL-CISL-UIL, che prima hanno sostenuto il governo Monti e oggi fanno da colonna portante del governo di unità nazionale, ‘governo di servizio’ del padronato, delle banche e della finanza. La CGIL, durante il governo Monti, ha firmato solo l’Accordo del 28 giugno 2011 ‘facendo la voce grossa’ sugli altri patti sottoscritti da CISL e UIL con l’unico scopo di portare il PD al governo. Oggi la CGIL è rientrata a pieno titolo nella Troika sindacale, schierata con il governo di servizio padronale. I primi atti sono stati la firma di un Accordo per l’attuazione della defiscalizzazione del salario di produttività aziendale e un altro per recepire le scelte del 28 giugno, che davano via libera alle deroghe al contratto nazionale e accettavano la filosofia Marchionne sulla rappresentanza e sulla validità erga omnes dei contratti aziendali. Nelle intenzioni della Troika a rappresentare i lavoratori non saranno delegati eletti dai lavoratori, ma il padrone che accoglierà al tavolo della trattativa i sindacati firmatari degli accordi che diverranno esigibili, contro cui quindi non sarà possibile scioperare. Il Porcellum entra nei luoghi di lavoro, dato che se la maggioranza sindacale dirà sì ad accordi capestro, tutti dovranno sottostare: la ‘democrazia maggioritaria’ è usata per soffocare il conflitto. Gli articoli 39 e 40 della Costituzione sono cancellati, e lo sciopero sarà soppresso per norma contrattuale.

La questione sociale e la questione democratica sono strettamente unite. Oggi si pone il problema di costruire un movimento politico anticapitalistico, e non una generica questione di rappresentanza del lavoro che può nascere solo se si riavvia una diffusa conflittualità sociale. Perché si diffonda una conflittualità sociale è necessario il rifiuto del patto sociale antidemocratico della Troika sindacale che vuole perpetuare il monopolio della rappresentanza grazie alla complicità padronale.

Costruire una nuova confederalità sindacale e sociale è all’ordine del giorno, e questa costruzione può contribuire alla nascita di una movimento politico capace di intrecciare relazioni con i movimenti di lotta territoriali. Tutto ciò ha bisogno però di altre due campagne di mobilitazione: una contro i Trattati europei, che hanno imposto l’austerità scritta addirittura in Costituzione tramite l’introduzione del pareggio di bilancio, e contro le procedure del Semestre europeo che hanno spostato le sedi decisionali delle politiche pubbliche verso Bruxelles e Francoforte. Occorre che siano spezzati i vincoli del Fiscal Compact trovando il modo affinché i cittadini possano decidere con referendum di indirizzo sulla costruzione di un’altra Europa alternativa all’UE, strumento di attacco alla società e di difesa dei gruppi industriali e finanziari.

L’altra campagna di mobilitazione deve essere contro il nuovo tentativo di distruzione della Costituzione repubblicana. Quello che non riuscì a Berlusconi con il suo progetto di modifica della Seconda Parte della Costituzione bocciato con il referendum popolare del giugno 2006, lo si vuole riproporre oggi con la Convenzione costituente.

Su questo occorrono parole chiare. Nelle stanze del Quirinale, dove risiede il Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il garante della Costituzione, i saggi di Napolitano hanno avanzato la proposta, a cui si è opposto solamente Valerio Onida, di dar vita a una Convenzione che dovrebbe ridefinire la forma di governo e le funzioni del Parlamento. Questa Convenzione sarà una commissione di studio? Ma le Commissioni parlamentari non possono utilizzare l’istituto delle audizioni per assumere pareri e proposte di esponenti universitari o della società civile? Se invece la Convenzione sarà varata con legge costituzionale, allora già solo per essere costituita saremo in presenza di un attentato alla Costituzione perché cancella la norma fondamentale che disciplina il potere di revisione.

L’articolo 138 è cristallino: le leggi di revisione della Costituzione sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Se nella seconda votazione si raggiunge il quorum dei due terzi, non si può dar luogo a referendum, che può essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera, da cinque Consigli regionali o da 500 mila elettori. E l’articolo 72 della Costituzione impone la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera per le leggi costituzionali, come sono quelle di revisione. Di Convenzione la Costituzione non parla. La Convenzione, anche se istituita con legge rinforzata, cancellerebbe l’articolo 138, fondamento dell’intera architettura costituzionale.

Non seguire le prescrizioni dell’articolo 138 significherebbe che una maggioranza politica contingente potrebbe modificare le norme sulla revisione attribuendosi incostituzionalmente il potere costituente, che si è espresso ed esaurito nel 1948 con il varo della Costituzione. Questa ha fatto rimanere in vita solamente il potere di revisione di singoli istituti, potere che comunque non deve toccare il nucleo essenziale della Costituzione, come più volte ha ribadito la stessa Corte costituzionale (si veda la sentenza 1146 del 1988). La Convenzione sarebbe al di fuori e contro la Costituzione. Cancellare l’articolo 138 equivarrebbe a rendere flessibile la Costituzione come lo era lo Statuto albertino, mentre la nostra è una Costituzione rigida.

Qual è il senso della rigidità costituzionale, che si esprime anche nell’articolo 138? Essa fa sì che la Costituzione non sia nella libera disponibilità della maggioranza semplice del Parlamento, e neppure nella libera disponibilità del popolo perché essa stabilisce diritti fondamentali della persona e diritti democratici del cittadino su cui contingenti maggioranze parlamentari, o anche popolari, non possono decidere: essi sono una sfera indecidibile per chiunque, Parlamento o popolo che sia, come ripetutamente spiegato da Ferrajoli, Ferrara e Azzariti (per citare giuristi ben noti nel nostro mondo). La Costituzione è al di sopra del potere legislativo che anzi è limitato nelle sue decisioni dalle norme costituzionali, il cui rispetto è garantito dalla Corte costituzionale. E Napolitano non ha sentito l’esigenza di richiamare i limiti costituzionali alle proposte dei ‘saggi’, anzi ha permesso che nelle stanze del Quirinale si formulassero simili progetti eversivi della Costituzione. Già la stessa formazione della Commissione di ‘saggi’, che ha elaborato proposte tipiche degli indirizzi di governo ha leso gli articoli 94 e 95 della Carta costituzionale perché il Presidente della Repubblica si colloca in una posizione esterna al potere d’indirizzo politico che si forma nella dialettica tra Governo e Parlamento. Sarebbe stato comprensibile, sia pure eccezionale, che il Presidente della Repubblica istituisse un gruppo di saggi per preparare un messaggio alle Camere, ciò non è avvenuto perché al Quirinale è stato scritto il programma del governo Letta.

E Napolitano avallerà e firmerà gli atti che daranno vita alla Convenzione? Non sarà più il suo garante? Sarà Napolitano il De Gaulle italiano che traghetterà l’Italia dalla repubblica parlamentare al cesarismo plebiscitario, ciò che non riuscì neppure a Fanfani? E se firmerà la legge di istituzione della Convenzione, non sarà questo un attentato alla Costituzione tale da innescare il procedimento di messa in stato di accusa? Certo una maggioranza costruita dal Presidente Napolitano non ricorrerà mai all’articolo 90, ma noi non potremo e non dovremo tacere.

Questo della Convenzione è l’ultimo frutto avvelenato di decenni di attacco alla Costituzione in nome della democrazia governante e della democrazia maggioritaria, che infrangono i principi della democrazia costituzionale, la quale non si limita a istituire lo Stato di diritto, ma garantisce i diritti fondamentali, civili sociali e politici, indisponibili a qualsiasi maggioranza. La Costituzione è al di sopra delle maggioranze parlamentari che devono legiferare rispettando principi, valori e norme della Costituzione. Innanzitutto si deve seguire l’articolo 138 per non stravolgere il potere di revisione che è un potere costituito sottoposto pertanto ai vincoli costituzionali.

Queste campagne – contro il patto sindacale corporativo, contro i Trattati europei dell’austerità, contro la Convenzione anticostituzionale – saranno possibili solo con un nuovo movimento politico indipendente che si batta contro il governo PD-PDL, contro le alleanze di centrosinistra che hanno distrutto la sinistra di alternativa, un soggetto che non si perda nelle trattative tra gruppi dirigenti della sinistra che fu, e che sia punto di riferimento dei e faccia riferimento ai movimenti sociali e sindacali di base.

Franco Russo

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1 Commento


  • Unità Popolare -Basilicata

    Ottimo intervento e buona proposta, ma il problema sono le gambe che il settarismo, l’opportunismo ed il leaderismo FRANTUMANO SEMPRE .

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