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Il segnale di Terni

Nel giorno in cui Confindustria denuncia la propria crisi nel manifatturiero, chiedendo le solite misure che ottiene da anni e hanno ingigantito il declino italiano, la polizia carica a Terni e spacca la testa a un sindaco che stava insieme ai suoi cittadini operai.

Terni è una piccola città, in fondo. Gli operai dell’Ast erano 400, quasi tutti quelli che in fabbrica ci lavorano, ma un numero tutt’altro che preoccupante per un “comandante di piazza” con un po’ di sale in zucca.

E anche l’Ast, come tale, è il simblo di una politica demente, questa volta di matrice europea. La ex Thyssenkrupp di Terni, ora Ast, è di proprietà finlandese (Outokumpu). Prima si chiamava Inoxum, era una divisione specializzata della Tk; costruisce acciai speciali, non è affatto in crisi. Ma quella marca produce una quota troppo alta in quel settore, ha una posizione quasi di monopolio. Quindi la Ue ha imposto la vendita a qualche concorrente. Che in Italia, figuriamoci, non si fa nemmeno avanti (per questo, del resto, la fabbrica era passata prima dall’Italsider ai tedeschi, e poi ai finlandesi, soltanto un anno e mezzo fa).

Il problema tende a marcire e gli operai lo sanno. Quelli di Terni sono peraltro operai assai tranquilli. Chi conosce la geografia interna ai metalmeccanici sa che sono da parecchio tempo la “destra” della Fiom, anti Landini e pro-Camusso, quelli che facevano riferimento prima a Fausto Durante ed ora a Gianni Venturi. “Teste fredde”, insomma, in una città molto “piddina”; quel partito che sta al governo con Berlusconi e facendosi comandare da Berlusconi, dopo aver chiesto i voti per sbarrargli la strada. Gente che ha accolto senza fiatare il mortale “accordo sulla rappresentanza sindacale” e il “governissimo”, che avrebbe potuto fare altrettanto – senza pensarci più di tanto – con il “presidenzialismo”.

La manifestazione di stamattina era tutt’altro che rivoluzionaria. Occupare i binari della stazione per qualche minuto avrebbe fatto ritardare qualche treno sulla Roma-Ancona, ma niente di più. Quanto basta per finire sui giornali, magari, e ottenere qualche telecamera regionale.

Non c’era insomma alcuna ragione per “caricare”, come si è potuto constatare anche dalle riprese tv. Niente black clo, niente ultrà delle curve, niente centri sociali arrabbiati… Il sindaco stava facendo il suo lavoro istituzionale, mediando tra richiesta operaia, espressa peraltro in modo molto civile, e niet del questore.

Poi un ordine piovuto dall’alto, non si sa da chi, ha mutato il quadro.

Quello che è avvenuto è la “normalità” delle manifestazioni di questi ultimi anni. Né più, né meno. Lo stesso era avvenuto, per esempio, contro gli operai del Sulcis venuti a Roma, durante il governo Monti.

Quel che è diverso è dunque il target, il bersaglio: gli operai in quanto tali, “mediatore” compreso, a prescindere dal tasso di “conflittualità” espresso in prima persona. Non sappiamo se l’ordine sia venuto da uno dei tanti funzionari superiori di grado nella catena di comando. O addirittura dal ministro dell’interno, la “colomba” berlusconiana Angelino Alfano, gresco di nomina e di vicepresidenza del consiglio.

In ogni caso, anche se si fosse trattato semplicemente di una “perdita di controllo locale”, il segnale da Terni arriva chiaro. Questo governo non contempla la mediazione sociale. È un semplice esecutore di politiche decise altrove. Non ha mezzi finanziari, cultura istituzionale, radicamento sociale, tali da permettergli una funzione di mediazione. Per questo ricorre alla polizia, esattamente come Erdogan in Turchia. Storie e livelli di crescita differenti, ma l’identica ansia di mostrarsi forti con i ceti deboli. Come in Turchia, può e deve nascere un movimento politico di massa, che supera le storiche differenze concentrandosi contro un avversario chiaro: il potere e chi lo sostiene.

Non potete durare a lungo. Non durerete.

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