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Il re è morto, viva il re!

Berlusconi lo abbiamo definito “tigre di carta” ma non gli abbiamo mai negato di avere appeal, perverso sì ma appeal.Lo ha sempre saputo usare; ed è notorio che esso è tale se c’è qualcuno che lo subisce (perfino il sole è importante perché esiste il resto del sistema che di esso ha bisogno), per non parlare poi di quanto le perversioni costituiscano un moltiplicatore all’ennesima potenza per tutti quei soggetti il cui Io si spappola tra fissazioni rivolte al passato e continue pulsioni, brama e desideri da compulsivo.
Che dire: il denaro, il potere politico e mediatico, il sesso, l’arroganza da sole non ne giustificano il peso. Si fosse trattato del denaro, del potere, del sesso e dell’arroganza di un uomo, sarebbe già morto o dimenticato, inutile appendice del suo stesso mondo di cortigiani e fenomeni da baraccone.
Ma con Silvio si è cementata una fazione della borghesia; non già la borghesia tutta. Ma una parte di essa e precisamente quella perdente, quella più in difficoltà: quella dei primi fra gli ultimi (nel contesto internazionale ed europeo in particolare) per intendersi.
La sinistra (sic!) ha sempre sbagliato contro di lui: nel ’97 pensò addirittura di poterci fare la Bicamerale – tanto prima o poi l’avrebbero arrestato, era il retro pensiero – poi lo ha avversato senza usare mai un riferimento sociale e di classe (d’altra parte il radicamento non s’inventa a tavolino) ma insistendo su argomentazioni che nella migliore delle ipotesi seguivano il filo liberal-democratico della difesa del diritto, nella peggiore, invece, una morale ipocrita e spiritualistica da peccatore pronto alla confessione.
A dire il vero, infatti, sul piano sociale il lavoro sporco (soprattutto negli ultimi anni) Berlusconi lo ha lasciato a Monti e a Napolitano. Il resto della borghesia, la fazione vincente, è invece elegante e convintamente europeista, moralmente austera e col senso delle Istituzioni. E vota PD; ma anche più a sinistra, tanto che male fa, è innocua, perfino la sua rivoluzione è – ormai – civile. 

Cediamo per un attimo anche noi alla finzione e proviamo a riflettere sulle conseguenze politiche che da questa condanna, apparentemente da pena del ‘contrappasso’, ne possono derivare. Se già prima era una tigre di carta, adesso facciamo ancora più fatica, eppure qualcuno continua a guardare il dito piuttosto che la luna. Vale a dire: Berlusconi e non un blocco sociale poco omogeneo e in crisi. 

Non andrà in gabbia, le carceri – ieri come oggi – sono frequentate da umanità varia di ben altro spessore. Forse, però, morirà. Non fisicamente – difficile ipotizzarlo – ma politicamente e lascerà uno spazio vuoto, che è una funzione che qualcuno sta già aggredendo. 

Un re morente, ma non morto, faceva comodo anche al PD. Ma tutti sanno, per l’appunto, che morto il re tutti s’affrettano a garantire le continuità dinastica; per cui si riflette sulle norme di successione ma, in realtà si cerca un re più forte (perché non ancora morente) di prima. Più volte la morte di un re ha salvato una dinastia. La posta in gioco, infatti, è quale reale gerarchia, quale effettiva subordinazione – interna alla borghesia stessa – la classe dominante saprà far valere diventando anche dirigente. E su quante contraddizioni sarà in grado di mettere una toppa. Appare quasi scontato, da questo punto di vista, che essa non sembra in grado d’istituire un nuovo patto per il paese, proprio a causa della grave crisi oggettiva del Modo di Produzione Capitalistico. Si socializzano, dunque, solo le perdite.  

Lo sa pure il PD che s’adopera affannosamente, infatti, a trovare chi, qualora un nuovo sovrano (Marina, altri?) dovesse guidare la rivincita, è pronto a sostenerlo all’interno di questa stessa legislatura in nuovo governo. A proposito: quanti sono i senatori grillini che stanno abbandonando il M5S? 

E adesso, a noi. Insistere su Berlusconi (come ha fatto quasi tutta la sinistra italiana) è stato un errore – prima che tattico o strategico – d’analisi. Marx ci ha insegnato a cercare nel Capitalismo le contraddizioni che negano la felicità alla stragrande maggioranza degli uomini, non nella malvagità di uno. Errore doppio – questo – perché lascia sullo sfondo le responsabilità complessive del sistema (quasi a scagionarlo come fosse l’unico mondo possibile) che vengono addirittura evocate solamente per giustificare, comprendere, le azioni del singolo. Mai per pensare a una prospettiva d’alternativa. Se non sono ‘gabbie d’acciaio’ queste…

Tolto il dito, rimane però la luna. Il blocco sociale antagonista, il nostro, è lacerato come poche volte nella storia repubblicana, cercare una sintesi generalizzante lì dentro, così preso in egoismi di classe ed individuali, sarà molto difficile o, per lo meno, sarà un lavoro molto lungo. Noi – d’altra parte – abbiamo gli strumenti necessari per operare una ricomposizione sociale del nostro blocco sociale e lavorare per dare a questa società ricomposta una rappresentanza politica che non prescinda dal piano istituzionale e politico ma che inizi anche senza di essa. La sfida, difficile e complessa, continua. 

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