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Test universitari: la forbice si chiude

Anche quest’anno volgono alla conclusione proprio in questi giorni le selezioni tra i maturati – più o meno freschi – più meritevoli, ovvero che più meritano il beneficio (beneficio, non diritto) di accedere alle facoltà universitarie a numero chiuso. Anche quest’anno, e forse per l’ultima volta: dall’anno scolastico 2013-’14 dovrebbe entrare in vigore la norma, voluta già per l’anno scorso dall’allora ministro dell’istruzione Profumo, poi rinviata col nuovo governo, che modifica le date dei test, anticipandoli addirittura ad aprile.

Per supportare questa proposta il populismo si spreca da parte dell’attuale ministro Maria Chiara Carrozza, che afferma che “I test a settembre sono in ritardo rispetto ai tempi delle università europee”. Come sempre siamo alla rincorsa cieca e frenetica della solita Europa del padronato che oramai ci sbeffeggia anche su quello che dovrebbe e potrebbe essere uno dei punti di forza del sistema italiano, quello della formazione. Se solo, appunto, smettessimo di correre e ci mettessimo a camminare, lenti ma decisi, verso una nostra, diversa direzione. Ma soprattutto il trionfo di tale proposta di legge dovrebbe essere, finalmente, il superamento del tanto discusso e intricato problema del “bonus maturità”. Come potrà infatti il voto di maturità influire sul test se la maturità non è ancora stata sostenuta nel giorno del test?

Questo forse farà tirare un sospiro di sollievo alle tante famiglie e sindacati universitari che anche in questi giorni si sono scagliati sulle iniquità generate da tale sistema, ma non a chi coglie la direzione verso cui questa nuova corrente porterà la sempre più precaria canoa del destino degli studenti.

Mettiamo che un ragazzo di 18 anni, dopo aver sostenuto questo o quel liceo, decidesse di cambiare completamente settore di studio: come potrebbe prepararsi ad un test d’ingresso senza avere nemmeno i tre mesi estivi per mettersi in pari con i programmi richiesti?

Ancora più interessante: se lo stesso ragazzo di 18 anni, dopo aver sostenuto un istituto tecnico o professionale – conoscendo la situazione in cui spesso versano tali istituti, non certo per scelta o colpa degli studenti che li frequentano, ma per una sempre più rigida divisione delle qualità degli indirizzi di studio – desiderasse di iscriversi ad una facoltà a numero chiuso, quante possibilità avrebbe di conseguire l’obiettivo?

A questo si aggiunga che, almeno per quest’anno (non avendo una sfera magica non possiamo indovinare se sarà ancora così, però qualche sospetto può venire), le aspiranti matricole si sono viste consegnare un test di carattere molto meno attitudinale degli anni scorsi, con domande relative a conoscenze specifiche e argomenti non sempre trattati nei programmi curriculari.

Se questa tendenza dovesse farsi consuetudine ci ritroveremmo di fronte non solo al semplice fatto che lo studente, o meglio la famiglia, dovrà scegliere un cammino formativo con poche possibilità di bivio o ripensamento già a tredici anni, con l’iscrizione al liceo, ma anche che in molti casi la scelta potrebbe risultare obbligata, per ragioni socio-economiche. Prendiamo di nuovo l’esempio degli istituti tecnici e professionali, da anni ormai ridotti a ricettacolo per i figli di famiglie meno abbienti e/o immigrate a causa degli ingenti tagli ai finanziamenti e al personale e alle conseguenze sulla qualità dell’insegnamento, nonchè del continuo rimarcarsi , nella mentalità medio-borghese, del distacco nei confronti dell’istruzione “alta” dei licei. Saranno ancor più penalizzati da questi provvedimenti alimentando la differenza tra percorsi di studio, dunque scuole, di “serie A” e “serie B”. Le prime adibite alla formazione in nuce (illusoria, fra l’altro, in molti casi) della futura classe dirigente, di “quelli che andranno all’università”. Le seconde a parcheggio transitorio per i lavoratori senza futuro.

Sappiamo poi che nemmeno questo è propriamente vero, visto che neanche l’università dà più una garanzia di futuro, ma questo è un altro lungo e funesto capitolo.

Sicuro è che gli studenti saranno penalizzati, ma non saranno gli unici.

Già, perché se il test d’ingresso diventa così tanto selettivo, sia per sua stessa costituzione che per il livello delle domande, si eleva la probabilità che uno studente non voglia sostenerlo affatto, intraprendendo strade alternative. La prima è iscriversi ad un’altra facoltà, di ripiego, che non presenti test o ne presenti uno più affine alle conoscenze pregresse, frustrando le proprie aspirazioni e interessi e dunque avendo buona probabilità di insuccesso negli anni universitari, come in qualsiasi cosa fatta controvoglia. Teniamo presente che il numero dei fuoricorso è in crescita costante dall’anno accademico 2011-12 in cui questa quota toccava il 33,6 della popolazione studentesca. Ecco un buon modo per non arrestare questa crescita.

L’altra scelta possibile, anche questa sempre più intrapresa negli ultimi anni, è quella di abbandonare gli studi dopo la maturità. Dati relativi all’anno già citato dimostrano un calo da 338.482 a 280.144 studenti iscritti, nell’attesa di un nuovo rapporto dettagliato possiamo solo ipotizzare che il divario andrà ampliandosi.

Questo, va da sé, non incide solo sul livello generale della formazione delle nuove generazioni, ma nell’immediato ha effetti sui singoli atenei, mettendone a repentaglio l’esistenza stessa, nel caso il numero d’iscrizioni diventasse troppo basso (in particolare le università nel meridione, già bistrattate a suon di tagli e dunque sempre meno “rinomate”), nonché sul personale e i fondi, entrambi passibili di tagli inversamente proporzionali al numero di iscrizioni.

Tagli ai quali nessuno pare immune, come dimostra il recente passaggio da facoltà a scuole con conseguente diminuzione delle figure come i direttori di dipartimento. Neanche il vecchio “baronato” si salva dal progetto di modernizzazione, che vediamo sempre più prendere corpo, firmato Carrozza, basato sul “tagliare e affinare”, sul poco ma buono, anzi “eccellente”. Dunque meglio disfarsi delle zavorre già sul nascere, nel momento del liceo ancor prima che universitario, in modo da poter scremare a dovere e assicurare un qualche futuro ai pochi giovani virgulti che fin dal principio possono permetterselo.

 

Le conseguenze, come si suol dire, sono affari nostri.

Coordinamento Giovani Rete dei Comunisti

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