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La crisi, l’Unione Europea e il meridione d’Italia

Appunti per una discussione pubblica di ROSS@.

Non sono un mistero i dati statistici e l’insieme dei vari indicatori statistici ed economici che ci segnalano un costante incrudimento di tutti i fattori di crisi economica e sociale nel Sud Italia.

Non è un mistero, infatti, che – al di là delle cortine fumogene della interessata propaganda di parte capitalistica – è il Meridione d’Italia il luogo in cui si addensano le percentuali più alte della disoccupazione di massa, della dilagante precarietà, del continuo calo dei consumi, della ripresa del fenomeno dell’emigrazione (intellettuale e manuale) e dell’inserimento nelle fasce di nuova povertà di larghe fasce di popolazione del cosiddetto ceto medio.

Come se non bastasse l’accentuazione di tale complessa fenomenologia, prodotta dalle conseguenze in queste aree dei fattori generali di crisi sistemica del capitale, avviene in un contesto generale in cui emerge, particolarmente in alcune zone, una forte emergenza ambientale, prodotta anch’essa di alcune precise scelte politiche di tipo criminale, che mette a repentaglio non solo la salute e l’habitat naturale ma il complesso della qualità e delle forme di vita.

L’Unione Europea, i diktat della Troika e il Sud

E’ evidente che nel territorio meridionale i tagli di spesa, i tetti di bilancio, i vincoli sovranazionali e il complesso delle politiche, imposte dai diktat europei, stanno avendo effetti più devastanti che altrove.

Basta osservare i bilanci delle regioni – negli ultimi tre/quattro anni – ed è visibile palesemente il drastico ridimensionamento delle voci riguardanti le spese sociali, il sistema del trasporto pubblico locale, il comparto sanità e le opere infrastrutturali. La stessa gestione dei Fondi Europei ha subito improvvise variazioni di indirizzo di spesa che, nel tentativo di far quadrare una coperta troppo corta, ha suscitato un ingarbugliamento dei canali di impiego che ha, di fatto, bloccato numerose attività e progetti causando, immediatamente, la perdita di migliaia di posti lavoro e lo stop ad alcune attività socialmente necessarie come l’intero settore dell’assistenza alle persone.

Diamo ora uno sguardo ad alcune cifre fornite nell’ultimo periodo.

Secondo l’istituto Svimez, tanto per cominciare, il Pil italiano registrerà quest’anno una contrazione dell’1,9%, quale risultato tra il -1,7% del Centro-Nord e il -2,5% del Sud. Secondo gli economisti, a causare la contrazione dell’attività produttiva è il forte calo dei consumi delle famiglie (-2,8% al Centro-Nord, che diventa -4,2% al Sud) e il vero e proprio crollo degli investimenti: -5,4% al Centro-Nord, più del doppio al Mezzogiorno con -11,3%.

Dai conti Svimez emerge che l’effetto recessivo delle manovre economiche che si sono susseguite dal 2010 ad oggi è stato di 6,5 punti di Pil.

Giù, secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, anche i redditi delle famiglie: -1,4% al Centro-Nord, -2% al Sud. Negative anche le esportazioni: nel 2013, si prevede un calo dell’1,4% al Sud e dell’1,1% al Centro-Nord, soprattutto verso i Paesi dell’area euro. Quanto al 2014 la stima Svimez prevede un +0,7% del Pil, invertendo la tendenza recessiva degli anni precedenti, limitata però a un timido +0,1% per il Meridione. Male anche i dati sull’occupazione nel 2013, e ancora una volta le difficoltà maggiori riguardano le Regioni del Sud: in quella parte del Paese scenderà di quasi il 2%, mentre il calo sarà più contenuto nelle altre ripartizioni (Nord-Est -1,1%, Centro e Nord-Ovest -1,3%).

Quadro decisamente diverso invece nel 2014, dove tra le regioni del mezzogiorno e del centro-nord si apre uno spartiacque: negative le prime, positive le seconde. Al Sud, pur essendo presente appena il 27% degli occupati italiani, si concentra il 60% delle perdite di posti di lavoro determinate dalla crisi.
Anche per questa ragione, tra il 2001 e il 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1,3 milioni di persone, di cui 172 mila laureati. Non si è mai interrotta l’emigrazione all’estero: nel complesso del decennio in esame sono emigrati all’estero 180 mila meridionali di cui 20 mila sono laureati. Nel 2000 i laureati meridionali che emigravano erano il 10,7% del totale di quanti si trasferivano al Centro-Nord; nel 2011 sono saliti al 25%, un quarto del totale. Oltre la metà dei ‘Neet’, giovani che non studiano e non lavorano, si trova poi nelle regioni del Sud, anche se “il fenomeno che fino a pochi anni fa era circoscritto quasi esclusivamente al Mezzogiorno si sta estendendo anche al resto del Paese”.

Le difficoltà economiche si riverberano anche sulle famiglie: un terzo di quelle meridionali è a rischio povertà. La povertà assoluta, segnala la Svimez, è aumentata, dal 2007 al 2012, di due punti percentuali nel Centro-Nord (dal 3,3 al 5,4% delle famiglie) e di quattro nel Mezzogiorno (dal 5,8 al 9,8%).

Inoltre, proprio in queste settimane di inizio settembre 2013, è stato reso noto uno studio della Regional Competitivennes Index di Bruxelles (RCI) secondo cui le regioni del meridione d’Italia hanno perso ulteriore competitività rispetto ad alcuni loro competitor internazionali nell’arco di tempo dal 2010 al 2013. Una retrocessione che penalizzerà ulteriormente il saldo delle politiche commerciali, l’import/export e l’insieme delle economie regionali e macroregionali nell’ambito dei fattori di accresciuta competizione globale internazionale.

Come si evince, quindi, la crisi c’è, morde e, con buona pace di quanti già intravedono elementi di possibile ripresa economica all’orizzonte, il futuro prossimo che si annuncia sembra non promettere nulla di buono per i lavoratori, i precari e l’insieme dei ceti popolari del Meridione.

La crisi urbana e le aree metropolitane

Le aree metropolitane e, particolarmente, quelle urbane meridionali sono degli enormi contenitori di forza/lavoro.

La crisi della produzione fordista non ha intaccato i meccanismi di valorizzazione del capitale anzi i nuovi assetti economici e produttivi e le rinnovate modalità di governance territoriale, riscontrabili nel Meridione d’Italia, sono funzionali al vigente ciclo dell’accumulazione flessibile e alla tendenza in atto all’allungamento della giornata lavorativa sociale.

Disoccupati di lunga durata e disoccupazione giovanile, l’intera gamma della precarietà, compresa quella degli immigrati, un consistente settore di pubblico impiego prodotto della vecchia stagione clientelare, una rendita immobiliare e parassitaria ancora forte e una rete familiare presente ed attiva costituiscono, per sommi capi, il puzzle di una economia di scala di tipo particolare che caratterizza il nostro Meridione.

A partire dalle zone urbane costiere ma anche in aree cosiddette “sottosviluppate” vige un sapiente mix dove ciò che resta dell’intervento statale, settori di piccola e media impresa, alcuni nodi produttivi di filiere economiche transnazionali ma, soprattutto, una consistente quota di capitale criminale produce una quantità di valore di cui solo una minima quota resta al Sud mentre una consistente parte viene risucchiata da un sistema bancario e creditizio proiettato verso il Nord e verso i paradisi fiscali e speculativi.

In definitiva possiamo affermare che l’economia meridionale ruota, in gran parte, attorno al nodo della crisi urbana dove solo ora, con l’entrata in vigore dei tagli e dei tetti di spesa e con ciò che si annuncia con la spending review, avvertiremo i fattori distruttivi ed ulteriormente frammentanti verso ciò che resta dell’unità politica e materiale del mondo del lavoro e dei ceti popolari.

In questo contesto che il corso della crisi contribuirà ad esasperare andranno riannodati i fili delle lotte, oggi disperse e poco comunicanti tra loro, andranno articolate e generalizzate le vertenze contro i comuni avversari politici ed andrà ricostruito, a partire dal versante culturale e dell’identià, il nostro blocco sociale di riferimento.

Ross@, i movimenti di lotta, la necessità dell’opposizione politica e sociale.

Un progetto di ricostruzione e riqualificazione di una possibile rappresentanza politica degli interessi popolari, su base anticapitalistica e libertaria, come quella che le compagne di i compagni, afferenti a ROSS@, intendono interpretare non può esimersi dal dedicare al tema del Sud (…e dei vari Sud) quel necessario approfondimento analitico in grado di effettuare sguardi e letture le più precise possibili e, soprattutto, in grado di far emergere elementi di linea politica praticabili e nuove modalità di azione collettiva organizzata nei movimenti di lotta e nella società tutta.

Nei territori meridionali le lotte e il conflitto non sono mai venute meno neanche nei momenti di maggiore inalveamento ed opacizzazione dello scontro di classe.

Pur con modalità spurie e contraddittorie, spesso con una modellistica non perfettamente riconducibile alle classiche modalità di esemplificazione del conflitto, l’effervescenza sociale ha sempre caratterizzato i nostri territori.

Tutte le aree metropolitane del meridione d’Italia (da Napoli a Palermo, da Taranto a Catania) registrano una presenza importante di movimenti di lotta che attorno, prevalentemente ai temi del lavoro, della garanzia del reddito, del diritto alla salute, della lotta all’aumento della militarizzazione e delle servitù militari (i No Muos) danno vita a vertenze significative sia nei confronti delle amministrazioni locali e sia contro la politica economica dei governi nazionali.

Inoltre non mancano preziose esperienze di lotta operaie come quelle della Fiat di Pomigliano d’Arco, dell’Ilva di Taranto, dell’Irisbus di Valle Ufita, della OM di Bari e di tante altre fabbriche, piccole e grandi, in lotta contro i progetti di ristrutturazione, contro le autentiche produzioni di morte o per affermare una riconversione sociale ed eco/compatibile delle produzioni.

Insomma il Sud Italia – anche a dispetto di una interessata vulgata che descrive queste terre come assistite e dipendenti unicamente e passivamente dai rubinetti della spesa pubblica – è tutt’altro che un territorio pacificato e normalizzato. Anzi, sia dal punto di vista storiografico e sia da quello squisitamente immanente, possiamo affermare che il Sud è sempre stato foriero di numerose stagioni di lotta che hanno, positivamente, segnato la vicenda sociale del movimento operaio e dell’insieme delle battaglie dei ceti subalterni.

Dal Sud vengono segnali di un malcontento crescente che si esprime anche con l’emergere di una sorta di orgoglio meridionale, che rivela un’ansia di riscatto sociale e la volontà di realizzarlo con le proprie forze, senza aspettare “la manna dal cielo”. Certo è un sentimento denso di difficoltà e illusioni, e su di esso si lanciano famelici sia forze reazionarie e sia gli apologeti dell’immutabilità del presente per dirottarlo a proprio vantaggio e contro il proletariato tutto (del Sud e del Nord e contro i nostri fratelli immigrati). 

Anche oggi, quindi, in questo scorcio della crisi, nonostante la durezza dell’offensiva padronale, governativa e dei poteri forti continentali, dal Sud possono arrivare segnali di disponibilità alla lotta e di auspicabile connessione con l’insieme delle forme della conflittualità che si esprime nei posti di lavoro e nei territori nel paese e nell’intero spazio europeo.

In un simile contesto ROSS@ si propone come un elemento di ricomposizione politica anticapitalista rivolto alle tante soggettività politiche, sociali e sindacali le quali, pur mantenendo un più che generoso livello di impegno in tante vertenze, hanno, però, abdicato ad un progetto generale di profonda trasformazione sociale.

Una rinuncia che è la tragica conseguenza di una catastrofe politica della sinistra la quale, particolarmente nei territori meridionali, non è mai stata capace di liberarsi dalla subalternità culturale alle compatibilità capitalistiche e che è rimasta infarcita dai peggiori vizi di elettoralismo e politicismo i quali hanno, oggettivamente, affossato l’afflato e l’entusiasmo di tanti compagni e movimenti di lotta che negli ultimi decenni avevano attraversato il Sud Italia.

La stessa vicenda riguardante alcune amministrazioni locali (da quella di De Magistris a Napoli ad Orlando a Palermo) è paradigmatica di questa situazione: ad un grande entusiasmo popolare che ha spinto l’affermazione elettorale di questi Sindaci non è corrisposto una continuità amministrativa che ha saputo connettersi con le ragioni sociali e materiali dei ceti sociali di riferimento.

ROSS@ intende porre un argine alla dissoluzione di un patrimonio di idee, di lotte, di memoria collettiva ed intende ripartire, anche nei territori meridionali, con un progetto work in progress che sappia declinare le tante specificità del meridione con una modalità autonoma ed indipendente e fuori da ogni riproposizione, fuori tempo massimo, di nuovi cartelli elettorali, di unioni senza condivisioni e di aggregati che non praticano il conflitto.

Con la discussione in programma a Napoli il 26 settembre prossimo al Centro Sociale “Carlo Giuliani” – Via Cesare Rosarool – vogliamo non solo presentare pubblicamente il progetto politico di ROSS@ ma vogliamo arricchirlo con riflessioni e suggerimenti provenienti dal Sud.

Siamo convinti che dal Sud, dallo spazio Euro/Mediterraneo, possono giungere non solo lotte e conflitti ma anche veri e propri elementi programmatici per rendere ancora più attuale ed efficace la battaglia per la trasformazione radicale dello stato di cose presenti.

ROSS@ deve saper raccogliere e confrontarsi con questi apporti!

 

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