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Per un approfondimento della discussione sulle decisioni del 3° Plenum del CC del Partito Comunista Cinese

Il testo approvato risulta molto elaborato con eccessive ripetizioni e con formulazioni di massima che richiederanno in futuro ulteriori decisioni, segno di un dibattito sicuramente vivace, al quale hanno partecipato non solo i membri effettivi e supplenti del CC, bensì gli esponenti del Comitato permanente della Commissione centrale di Ispezione e Disciplina, rappresentanti di diverse aree dei livelli di base e vari studiosi; tutti, ad eccezione dei membri effettivi del CC, in qualità di delegati non votanti.

 

Nella risoluzione si riaffermano le scelte fondamentali compiute negli ultimi trent’anni di riforme ed apertura al mondo esterno e proprio dallo sviluppo di queste si è discusso l’approfondimento delle riforme in molti settori della vita economica e sociale della Cina per realizzare gli obiettivi sanciti dal 18° Congresso che vedranno entro il 2020 (centenario della nascita del PCC) il raddoppio del PIL del 2010, con la riduzione delle differenziazioni tra settore industriale ed agricolo, tra territori dell’est e dell’ovest e tra città e zone rurali, infine tra classi sociali con l’incremento dei salari più bassi e con la costruzione di un sistema di sicurezza sociale e sanitaria. Questo obiettivo intermedio per il 2020 sarà la base per ulteriori traguardi già prefissati per il centenario della nascita della RPC, vale a dire il completamento della realizzazione di una società socialista.

 

Si ribadisce espressamente senza equivoci la fedeltà del Partito al marxismo-leninismo, al pensiero di Mao ed alla teoria di Deng sullo sviluppo economico, patrimonio teorico che nella realtà concreta della Cina ha generato l’ideologia delle tre rappresentanze (per lo sviluppo delle forze produttive, di un nuovo umanesimo e di una cultura che corrisponda agli interessi fondamentali ed al benessere del popolo)  tenendo come base l’innovazione scientifica per superare ritardi storici e difetti che si sono determinati nel corso della costruzione del socialismo.

 

Nel documento approvato si sottolinea espressamente che “l’obiettivo generale delle riforme onnicomprensive e’ di perfezionare e sviluppare il sistema del socialismo con caratteristiche cinesi e portare avanti la modernizzazione della struttura e la capacità di governance del Paese. Bisogna concentrarsi sulla natura sistemica delle riforme, e accertarsi che siano complessive e armoniche, accelerando lo sviluppo dell’economia di mercato socialista, della politiche democratiche, di una cultura moderna, di una società armoniosa e di una civiltà ecologica, consentendo un dinamismo sinergico tra le forze del lavoro, della conoscenza, della gestione e della tecnologia, lasciando spazio alla costruzione del benessere sociale e facendo sì che il popolo possa godere in maniera più equa dei risultati dello sviluppo”. Ed ancora: “Il Plenum ha sottolineato la necessità di concentrarsi sulle riforme del sistema economico per far sì che il mercato svolga un ruolo decisivo nella distribuzione delle risorse, insistere sul miglioramento del sistema economico di base, accelerando il perfezionamento del moderno sistema di mercato, del sistema di regolazione macro-economica e del sistema economico aperto, accelerando la trasformazione delle modalità di sviluppo economico e la costruzione di una Nazione con caratteristiche nuove e promuovendo un sistema economico più efficiente e uno sviluppo più equo e sostenibile. Bisogna concentrare l’attenzione su riforme strutturali politiche più profonde sulla base di un’integrazione organica tra la leadership del partito, la funzione del popolo in quanto sovrani del paese e il governo del Paese secondo le leggi”.

 

I risultati del 3° Plenum del CC del PCC hanno avuto grande rilevanza nella stampa internazionale ed i grandi giornali finanziari hanno espresso, dal punto di vista capitalistico, i loro commenti con molta prudenza rilevando le “luci e le ombre” per realizzare un’economia di mercato, come sinonimo di economia capitalistica. A differenza di alcuni quotidiani italiani che hanno messo in rilievo il valore del mercato per affermare che al di là del capitalismo non c’è nulla (caso mai bisogna eliminare alcune storture del capitalismo). Come dire, in altre parole, alla masse: dalla crisi economica possiamo uscire migliorando il capitalismo e non pensando a sogni irrealizzabili. Di rimando, per alcuni gruppi o partiti europei (Italia compresa) che si definiscono comunisti il documento del 3° plenum  attesta che la Cina non va verso il socialismo.

 

Non voglio, qui discutere se economia di mercato significa strettamente economia capitalistica o se invece come sosteneva Deng il mercato è sorto nel mondo antico, molto prima del modo capitalistico di produzione. Certo che nel mercato il capitalismo trova la sua linfa e senza mercato non ci può essere alcun modo capitalistico di produzione; diversamente, forse sarà meglio, alla luce dell’esperienza storica del “socialismo realizzato” (o fallito in tanti paesi a partire dall’URSS), per una lunga fase di transizione un’economia socialista di mercato come si propone la Cina, ma un modo di produzione orientato al socialismo si può iniziare a costruire anche con scarso peso del mercato. In ogni caso il socialismo, come è acclarato dall’esperienza storica di tutti i paesi che si sono incamminati o si incamminano nella trasformazione del modo capitalistico di produzione (processo lungo ovviamente e non breve come idealisticamente si pensava dopo il trionfo della rivoluzione bolscevica!) si costruisce partendo dalla pratica sociale di ogni paese e per pratica sociale s’intende come affermava Mao, lotta di classe, lotta per la produzione, lotta per l’innovazione scientifica, tecnica, lotta delle idee. Ed una nuova formazione sociale socialista si può completamente realizzare quando i valori di scambio saranno marginalizzati ed i valori sociali, cioè i valori che soddisfano bisogni sociali (e che quindi questi valori non si compravendono nel mercato) diventeranno dominanti.

 

Pertanto, nel discutere dell’importante documento del CC del PCC desidero mettere in evidenza come esso si inquadri nel contesto non solo della costruzione del socialismo secondo le caratteristiche della Cina e secondo il suo livello economico-sociale realizzato, bensì nel contesto dello sviluppo della lotta di classe a livello internazionale, quindi dei rapporti di forza a livello mondiale, specificatamente nella fase della grande crisi che travaglia l’imperialismo mondiale; crisi che, a parte le enunciazioni di ottimismo da parte dei principali governi e dell’Unione Europea, scuote questi paesi e non trova ancora sbocco.

 

Quando si parla della lotta di classe bisogna capire che essa si manifesta su tre livelli: economico, politico e militare. Se guardiamo al passato notiamo, come ho affermato in altre occasioni, che l’Unione Sovietica, a parte altri errori teorici e pratici che non si possono ricordare in questa sede, ne ha commesso uno vistoso durante la direzione di Breznev, quello di ricercare la superiorità con l’Occidente sul piano militare, dimenticando i ritardi nei settori dell’economia. Ricordo che quando nel 1966 sono stato in URSS nelle banche e nei grandi magazzini le cassiere (quasi tutte donne) avevano il pallottoliere per determinare gli importi che i clienti dovevano pagare, mentre in Italia nelle banche si usava la divisumma Olivetti (manuale od elettrica) e nei supermercati i registratori manuali di cassa. Risultato: l’URSS era diventata una grande potenza militare e politica, ma non una grande potenza economica. Diversamente, oggi, la Cina è l’unica grande potenza economica che tiene testa agli USA ed agli altri paesi imperialistici, perché ha capito negli anni ’80 il significato della rivoluzione informatica e tecnica e si è attrezzata immediatamente con enormi sacrifici e squilibri territoriali e sociali. Essa si sta anche rafforzando sul piano politico e militare, tanto da avere una maggiore influenza nelle relazioni internazionali da poter bloccare in Asia il militarismo e l’espansionismo giapponese spalleggiato dagli USA ed in Medio Oriente appoggiare la Siria nella difesa della sovranità nazionale e giocare all’ONU un ruolo di primo piano (cosa che non ha potuto fare negli anni Ottanta e Novanta).

 

Pensare di sconfiggere l’imperialismo americano sul piano esclusivamente militare è una follia; esso va sconfitto definitivamente (in una fase storica di prospettiva, s’intende) con la trasformazione del modo capitalistico di produzione sia nella sua struttura economica che nella sovrastruttura politica. La lotta economica tra i nascenti paesi socialisti ed i paesi capitalistici è un aspetto della lotta di classe internazionale. Tutta l’azione economica che sta svolgendo la Cina con i paesi del BRIC e con i paesi emergenti, come il Venezuela ed altri dell’America Latina e dell’Africa, oltre che con Cuba, in questa fase di acuta crisi economica e finanziaria aggrava le contraddizioni del capitalismo, perché riduce le aree di influenza dei paesi occidentali e del Giappone per l’esportazione di capitali e di merci. Nello stesso tempo si accettano i capitali stranieri al suo interno ed in tal senso il capitale straniero può ricavare un vantaggio e la Cina un altro superiore perché acquisisce nuove tecnologie che le permetteranno di realizzare nuovi primati. Certo c’è un rischio sia per i capitali stranieri che per la Cina, laddove la presenza del capitale straniero creerà contraddizioni con lo sviluppo sociale che la Cina si vuole dare. Ma, in ultima analisi, almeno in questa fase storica, l’economia cinese non è affidata alle forze spontanee del mercato, ma è controllata dalle aziende pubbliche e soprattutto diretta dal Partito comunista e dallo Stato retto da un sistema di governo basato sulle Assemblee popolari con funzione dirigente del Partito comunista.

 

In questo senso è importante che il documento del 3° plenum vada studiato e discusso tra coloro i quali vogliono costruire in Italia una forza comunista legata al movimento operaio internazionale. Condivido al riguardo due importanti articoli già pubblicati: il primo di Walter Ceccotti su Contropiano on line, il secondo di Diego Bertozzi su Marx21 on line. In aggiunta a quanto sostenuto da questi compagni desidero aggiungere alcune riflessioni sul significato della lotta di classe sul piano economico a livello internazionale in riferimento alla crescita della Cina e all’indebolimento dell’Occidente e sul ruolo che potranno esercitare le forze economiche non pubbliche all’interno della stessa Cina (cooperative, singoli privati ed il capitale straniero ivi investito) rispetto alla forza decisiva e trainante del capitale pubblico (che dal punto di vista gestionale non è in passivo ma in florido attivo), sotto il controllo del PCC. Inoltre  sui riflessi di questa lotta nell’evoluzione della crisi economica internazionale che ha creato molti problemi alla piccola produzione cinese legata all’esportazione di merce di bassa qualità che ha inondato il mondo (dato che la domanda internazionale è notevolmente diminuita e molti negozi cinesi sparsi nel mondo hanno dovuto chiudere). Crisi che richiede una riconversione ed innovazione produttiva verso nuovi settori (lotta all’inquinamento e produzione verde ed una maggiore qualità dei prodotti per una migliore qualità della vita, anche in seguito alle riduzioni delle differenziazioni sociali e territoriali) che ovviamente la piccola azienda cinese da sola non può fare e che mettendosi sotto la guida delle aziende pubbliche (una specie di I.R.I., però non guidata da supermanager e superburocrati legati alle correnti dei partiti come in Italia, ma sotto il controllo di una commissione economica nominata dal PCC) può far confluire i piccoli e medi capitali realizzati in trent’anni di riforma economica.

 

Ormai l’economia cinese è molto integrata nell’economia mondiale ed il suo destino si decide a questo livello, come il destino degli altri paesi è influenzato dall’andamento dell’economia mondiale. Per quanto è importante e principale partire dalle condizioni reali dei singoli territori e delle singole economie nazionali lo sviluppo delle contraddizioni e della lotta di classe si svolgono nell’area internazionale.

 

Ecco perché è indispensabile costruire delle relazioni internazionali tra popoli e tra Stati, fondate su una visione comune dei problemi:

 

a) la pace e la lotta all’imperialismo ed ad ogni forma di egemonismo (è utile ricordare il periodo del breznevismo, quando l’egemonismo sovietico sui paesi alleati, spacciandosi per la difesa della “comunista socialista” provocava di rimando reazioni nazionalistiche, sciovinistiche e filo-occidentali a livello culturale ed a livello economico!);

 

b) la lotta all’inquinamento e la difesa delle condizioni naturali di esistenza;

 

c) gli scambi culturali e la libera circolazione delle persone attraverso una corretta regolamentazione.

 

I processi storici ovviamente si svolgono sull’onda della lotta di classe o per meglio dire, come diceva Mao, sull’onda della lotta tra le due linee, perché nulla è predeterminato e l’esito di questa lotta stabilisce il decorso dell’umanità. Ciu Enlai in polemica con il revisionismo sovietico nei primi anni ’60, riprendendo Engels e seguendo l’insegnamento di Mao, ricordava che lo sviluppo storico è fatto a spirale con avanzamenti e retrocessioni, ma la linea di tendenza è verso il progresso. Negli anni ’80, in seguito alle involuzioni dell’URSS, dei paesi dell’est europeo, del Partito comunista italiano ed anche in seguito alle vicende contraddittorie della Cina, Salvatore Notarrigo che era un fisico ed iscritto al PCI, riprendendo un libro di René Thom (Parabole e catastrofi, 1980), che in fisica ebbe molta fortuna e che descrive i punti di biforcazione che portano da un lato allo sviluppo e dall’altro alla catastrofe, ironicamente scriveva (Cfr. Il linguaggio scientifico dei presocratici analizzato con l’ideografia di Peano, in “Mondotre”, 1989) che lo sviluppo storico non si svolge seconda la teoria delle PULCI (progresso universale lineare continuo infinito). Da qualche anno R. Sidoli insiste su una tesi (che però a mio avviso va maggiormente approfondita per essere considerata valida) che a differenza di quanto sosteneva Engels, in seguito a studi archeologici ed etnologici sviluppatisi negli ultimi cento anni (quindi successivi a Marx ed Engels), il passaggio dalla formazione sociale comunitaria primitiva alla formazione sociale schiavistica, non fu un accadimento progressivo (che ha liberato le forze produttive) ma al contrario regressivo, che ha portato alla scomparsa di fiorenti civiltà. Indubbiamente la scomparsa di alcune civiltà mesopotamiche (in particolare quella sumerica) e successivamente molto più tardi in altri continenti quella dei Maya e dei Kmer richiedono lo studio approfondito delle cause che hanno portato alla loro estinzione. Su quella sumerica bisogna capire, per dare forza al ragionamento di Sidoli, se essa fu travolta da cause esterne o interne; ma se fu travolta da cause esterne, cioè dalla guerra vinta da civiltà più sviluppate che avevano creato un esercito e delle armi più offensive in funzione del maggior plusprodotto creato con l’utilizzazione della forza-lavoro schiavistica, ha ragione Engels e non Sidoli. Però è convincente Sidoli quando dice che lo sviluppo storico non è determinato secondo percorsi prestabiliti (dalla società schiavistica al feudalesimo, dal feudalesimo al capitalismo e dal capitalismo al socialismo) e che il futuro dell’umanità non è deciso, in quanto il pericolo di una guerra termonucleare ed i cambiamenti climatici (argomento sul quale Fidel Castro da decenni svolge la sua battaglia ideologica e politica contro l’imperialismo), possono portare a quel punto di biforcazione, anzi forse questo punto lo abbiamo superato e abbiamo imboccato la direzione della catastrofe. E per rimanere nel paradigma di René Thom, se ancora è possibile tornare indietro ed imboccare l’altra strada, andando ancora più avanti risulta più difficile o forse impossibile ritornare indietro ed imboccare la via giusta. V’è da dire che anche per Marx lo sviluppo storico non era predeterminato. Infatti, scrivendo del modo di produzione asiatico esplicitamente affermava che si trattava di formazioni sociali non schiavistiche e nemmeno feudali. Non solo, ma affrontando il tema della caduta tendenziale del saggio del profitto e della crisi irreversibile del modo capitalistico di produzione, con molto vigore sosteneva che senza una forza antagonistica al capitale che prende coscienza del suo ruolo ed è decisa a trasformare la società capitalistica il capitalismo può rimanere per centinaia di anni in una fase di stagnazione. E non è un caso che le teorie revisionistiche di Bernestein e dei socialisti riformisti del primo Novecento si basavano proprio su una lotta esclusivamente rivendicativa della classe operaia per far aggravare le contraddizioni del capitale e portarlo alla fine. E’ stato come è noto il leninismo a dare alla classe operaia ed alle masse popolari lo strumento per operare la trasformazione del modo capitalistico di produzione. E pure Mao insisteva sempre nel dire che la questione di chi vincerà nel mondo e nella stessa Cina, se la borghesia od il proletariato, “ancora non si può sapere”. Infine il PCC ancor oggi sostiene in ogni suo documento la validità del marxismo,  del leninismo e del pensiero di Mao, oltre alle altre esperienze teoriche che sono scaturite dalla pratica della costruzione di una società socialista in Cina dopo Mao.

 

Per concludere tornando alle decisioni del 3° Plenum del CC del PCC bisogna capire nei prossimi mesi come si attueranno le decisioni prese, vale a dire quali saranno le misure concrete di attuazione per dare più spazio al mercato, per costruire una civiltà ecologica, per ridurre le divaricazioni territoriali, settoriali e sociali e perché no per ridurre l’orario di lavoro per lavorare meno e lavorare tutti e per svolgere una nuova qualità della vita.

* Università di Catania

vedi: Cina. La Muraglia sembra reggere ancora

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