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Bahar Kimyongür: “Ostaggio del sultano, nel cuore dell’Europa”

Lo scorso 2 dicembre la corte d’appello di Brescia ha finalmente deciso di liberarmi e relegarmi in “esilio forzato” nell’attesa del dossier turco.

Il giorno dopo nel pomeriggio, ho potuto lasciare la prigione di Bergamo con, in mano, l’ordinanza della Corte, dandomi sette ore per arrivare alla stazione dei Carabinieri di Marina di Massa, mio luogo d’esilio a circa 300 km dalla prigione.
E’ in un quartiere calmo, situato tra il mare e le Alpi Apuane, che dovrò attendere cosa ne sarà del mio destino.
A partire dall’annuncio del mio arresto alle autorità turche, quest’ultime hanno 40 giorni per inviare la loro richiesta formale di estradizione.
Dopodiché , è dalla notifica del Procuratore generale che dipenderà la durata della procedura.
Il Procuratore Generale avrà tre mesi al massimo, dopo il ricevimento del dossier turco, per inviare alla Corte d’Appello di Brescia le sue domande, le sue richieste d’informazioni complementari, o almeno per rispondere con una forma o un’altra alla richiesta di Ankara.
Aggiungendo i 40 giorni massimi di ritardo legale di cui dispone la Turchia per l’invio della sua domanda di estradizione ai tre mesi di cui dispone il Procuratore per inviare le proprie valutazioni alla Corte d’Appello di Brescia, si arriva a quasi quattro mesi di attesa per la prossima udienza. E’ un po’ troppo tempo per un dossier vuoto e considerato tale per la giustizia di diversi paesi.
Sono lontano dalla mia compagna e dai miei bambini.
Per lasciare il mio luogo di residenza, devo (ogni volta) chiedere il permesso ai Carabinieri. La mia libertà di movimento è ristretta a un perimetro delimitato dal mare, una linea di binari, un fiume e un campo d’aviazione comunale.
Questo non è il fascismo, tutt’altro, ma questa relegazione ricorda quanto meno un po’ “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi.

Marina di Massa, 10 dicembre 2013 

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