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Qualcuno chieda scusa alle tre donne di casa Pinelli…

Con i soldi che gli italiani “devono” pagare ogni anno – di nuovo proprio in questo mese – la Rai servizio pubblico si permette di mandare in onda falsificazioni così spudorate come quella realizzata ieri sera sulla morte di Giuseppe Pinelli, firmata dal regista Graziano Diana con fior di sceneggiatori e di consulenti storici (ben tre, complimenti). Tralascio il resto della fiction su Luigi Calabresi e torno su questa impudente versione offerta a milioni di italiani sul “suicidio” di Giuseppe Pinelli.

Com’è noto l’unico riscontro giudiziario è quello firmato allora dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio che nel 1975 concluse con quel contestatissimo “malore attivo”. Com’è noto la verità giudiziaria non è andata purtroppo oltre quella formula bislacca con cui si è voluto chiudere il caso, ma che comunque non è il suicidio che i poliziotti del filmato invece gridano dalla finestra con quel “si è suicidato, si è suicidato”, quasi un coro liberatorio…

C’era fuori della porta della stanza in cui veniva interrogato Giuseppe Pinelli un altro anarchico, trattenuto anche lui illegalmente con un fermo che si sarebbe protratto fino al giorno dopo. E quel Valitutti ha sempre sostenuto di non aver visto uscire il commissario Calabresi dalla stanza, in cui erano – conclude D’Ambrosio – quattro poliziotti e un carabiniere. Delle menzogne di allora ci è stata risparmiata la frase messa in bocca a Pinelli “E’ morta l’anarchia”, mai confermata ufficialmente e comunque fatta circolare. Per fortuna non è stata raccolta neanche l’altra menzogna che allora venne fatta ugualmente circolare, quella di una scarpa di Pinelli che sarebbe rimasta in mano a un agente che perciò l’avrebbe trattenuto, solo che Pinelli sul selciato fu trovato con tutte e due le scarpe.

E poi tralasciamo la caduta “verticale” e altre questioni.

Resta l’adozione di quella versione del suicidio di Giuseppe Pinelli che trasforma la Rai, questa Rai con i suoi dirigenti ben pagati, in una gigantesca fabbrica della falsificazione.

Gigantesca perché con totale impudenza ha riscritto una pagina dolorosa del nostro passato a modo suo, scegliendo di trasformare qualcosa che ancor oggi non sappiamo come sia accaduto in qualcosa di certo e di certamente assolutorio per la Questura di Milano, guidata – ricordiamolo – da un uno come Marcello Guida che da giovane funzionario era stato direttore delle guardie di Ventotene e Santo Stefano durante gli anni del fascismo che lì nelle isole confinava e rinchiudeva oppositori antifascisti. Un uomo a cui in quei giorni del 1969 Sandro Pertini rifiutò di stringere la mano.

Graziano Diana è al suo terzo film tv, il primo gli era stato bloccato dall’allora ministro di grazia e giustizia. Fu poi mandato successivamente in onda. Ha fatto a lungo lo sceneggiatore, anche di vicende reali, dunque non è nuovo alla consultazione di documenti pur ovviamente restando libero in quanto autore di fiction di godere di una relativa libertà. Ma si può falsificare in questo modo una vicenda che ha rivestito un ruolo così centrale negli ultimi quaranta anni?

Io non ci sto. E mi auguro che anche altri lo dicano anche rivolgendo opportune interrogazioni in merito a questi disinvolti scempi, anche e soprattutto perché attuati con soldi pubblici, quelli della Rai. E qualcuno dovrebbe pure chiedere scusa alle tre donne di casa Pinelli.

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