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La Resistenza negata nel “giorno del ricordo”

Oggi, 10 febbraio 2014, si festeggia per la decima volta quella che con il decreto del 30 marzo 2004 venne definito il Giorno del Ricordo, ovvero la giornata in cui si ritualizza la strage delle “italianissime” vittime delle Foibe. Questo breve articolo non vuole essere un documento approfondito di ciò che effettivamente furono le foibe (si vedano i link che seguono l’articolo), ma riteniamo necessario ribadire in maniera subitanea alcune verità che l’opera revisionista, o, meglio, il revisionismo ad uso politico, hanno modificato:

-) l’Istria è stata italiana nell’esclusivo periodo che va da 1920 al 1945 (a meno che non si vogliano prendere per confine quelli dell’Impero Romano, rimandando ad una mitologia dell’origine quanto meno assurda);
-) il fascismo di confine ha operato un’italianizzazione forzata dei territori “meticci” dalmati e istriani costringendo le popolazioni slave a modificare le proprie abitudini finanche la lingua;
-) i fascisti ritenevano evidentemente inferiori le popolazioni slave, disponendo un razzismo di confine (ancora oggi non completamente superato) atto a legittimare l’azione di uno stato espansionista e di chiare mire neo-colonialiste;
-) le foibe non furono un episodio di pulizia etnica ad opera delle popolazioni slave nei confronti di quella italiana, come si vorrebbe far credere (a partire da Napolitano). Se di filogenesi del concetto di pulizia etnica, e di sue applicazioni storiche si vuole parlare, certo è tra le file fasciste e naziste che bisogna cercare (la rima è banale, ma la lasciamo);
-) la Resistenza slava non ha avuto motivazioni dissimili dalla Resistenza italiana, tanto da coincidere addirittura in taluni contesti;
-) la Resistenza slava lottava contro i fascisti della Repubblica di Salò e contro l’ esercito di occupazione nazista, esattamente come i partigiani italiani;
-) le meno di 800 vittime delle foibe non sono state ammazzate nelle cavità carsiche (le foibe appunto), ma sono state ammucchiate lì dopo essere cadute in combattimento;
-) rispetto i ritrovamenti accertati, le vittime delle foibe sono per lo più fascisti appartenenti alla X Mas (capeggiate da Borghese, lo stesso che nel ’70 proverà un colpo di stato di stampo militare e fascista inspiegabilmente fallito) ed altre organizzazioni militari a difesa della Repubblica di Salò, morti contro la resistenza slava; altri invece sono state vittime di resoconti personali.

Nel 2007, tre anni dopo l’istituzione della Giornata del Ricordo, Napolitano motiva tale ricorrenza così:

“Un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica.” [Napolitano, 10 febbraio 2007, Roma]

Le altisonanti affermazioni del Presidente della Repubblica non sono certo le uniche ad affermare stupidaggini di questo tipo, sono, invece, largamente accompagnate dalla retorica di gruppi neofascisti, in primis, ma anche da, oramai, tutto l’arco parlamentare.

Probabilmente i fini dei neofascisti e degli attori e attorucoli istituzionali sono eterogenei. Se i primi, da ultras sfigati, guardano al passato come ad una partita di calcio razziale di cui solo la languida nostalgia può nascondere il risultato catastrofico, gli uomini di Stato svolgono ligi il proprio ruolo. Difendere la forza ideologica dello stato-nazione e, dietro tale velo, congelare la distribuzione sociale del potere economico tramite una melmosa retorica cristianeggiante di pacificazione che ci appare unicamente la più banale delle conservazioni. A conti fatti, è vero, i fini non sono così eterogenei, ma solo perseguiti con diversa efficacia.

La storia di questo revisionismo inizia un po’ di anni fa, quando nel ’98 l’allora PDS (oggi PD) con Violante e Fassino, assieme all’AN di Gianfranco Fini, promosse un processo che venne definito di “pacificazione” (storica). Ma pacificazione tra chi? Ovviamente tra la destra missina e post – fascista e il passato partigiano del PCI (che, per la verità, dimenticò sin dall’immediato dopoguerra il debito che aveva contratto con chi la lotta l’aveva fatta ed intendeva continuarla). Inutile dire che questo processo non ha fatto altro che sostenere, legittimare e lasciare ampio spazio alle narrazioni nazionaliste che, nel giro di pochi anni, hanno assunto il carattere istituzionale che oggi siamo costretti ed abbiamo il dovere di contestare per due principali motivi: uno di carattere prettamente storico – scientifico, l’altro di tipo prevalentemente antifascista. Per quel che riguarda la ricerca storica in merito, non siamo certo noi i più indicati a discuterne, ma rimandiamo volentieri agli approfonditi studi di Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk ecc… E’, invece, di nostro interesse ed alla nostra portata la pratica dell’antifascismo politico, militante, ma anche, come in questo caso, culturale.
La Resistenza ha significato in Italia, come altrove, uno dei momenti di massima estensione del conflitto sociale, in particolare della lotta di classe. Il conflitto civile e il ciclo di lotte sociali che in Italia, ma forse più in generale in Europa, si generarono all’indomani della Seconda Guerra Mondiale è uno degli argomenti storici meno approfonditi o, meglio, meno studiati nelle scuole e nei luoghi in cui si compie formazione storica di tipo accademico – istituzionale: è in questo contesto di passività formativa che è possibile riconoscere non tanto la pretesa scientificità che alcune teorie pseudo storiche avanzano, ma l’indifferenza, ovvero il consenso, con cui vengono tacitamente accolte.
Possedere il passato, forse, significa dominare l’immaginario del presente prevedendo di maneggiarne il futuro, la storia è storia di relazioni di potere ed il presente ne è immerso; essere antifascisti oggi significa anche tentare di decostruire la falsità della retorica dominante a partire dalla deformazione che essa opera circa avvenimenti di cui qualche decennio fa non se ne sarebbe affatto discussa la veridicità, fatta esclusione qualche piccola sede del MSI e simili.
Le foibe sono state un episodio di resistenza, e la resistenza è, per noi, non tanto la storia di liberazione di una nazione dall’occupazione nazista e fascista, ma, piuttosto, la storia di uno dei momenti di massima esplosione della lotta di classe armata. Questo Barabba non lo dimentica, e noi con lui.

Per maggiori approfondimenti:

http://www.militant-blog.org/?p=10212

http://www.militant-blog.org/?p=2959

http://www.carmillaonline.com/2007/02/10/neoirredentismo-e-foibe-quello-che-i-media-non-dicono/

http://www.carmillaonline.com/2006/02/13/foibe-tra-storia-e-mito-intervista-a-claudia-cernigoi/

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