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Ucraina, la frittata dell’Unione Europea

Leggo, in una cor­ri­spon­denza dalla piazza di Kiev, le parole di una stu­den­tessa ancora accam­pata sui coper­toni ammuc­chiati: «Vogliamo una Ucraina indi­pen­dente… Ma biso­gna che qual­cuno ci aiuti». Come si vede: una logica di ferro. Poco più in là un prete cat­to­lico uniate, di quelli che hanno bene­detto le bande nazi­ste a Mai­dan, esclama : «Si apre un periodo buio, ma anche di spe­ranza». Auguri.

Poi leggo il New York Times dove, in prima pagina Ste­ven Erlan­ger e David Hersze­n­horn rile­vano scon­so­lati che «l’Unione Euro­pea sem­bra aver spinto troppo forte nella sua scom­messa ucraina». Si comin­cia ad ammet­tere non solo l’esistenza di pres­sioni dall’esterno, ma anche che si è esa­ge­rato. Un alto fun­zio­na­rio euro­peo ano­nimo ammette che l’Europa ha sot­to­va­lu­tato l’eventualità di una irri­ta­zione e di una rea­zione russa. Dice: «non c’è stato un reale con­senso tra gli stati mem­bri dell’Unione euro­pea a pro­po­sito dell’accordo con l’Ucraina. La que­stione è stata affron­tata come se l’unica cosa impor­tante fosse ciò che l’Ucraina avrebbe dovuto fare per fir­mare, men­tre si sarebbe dovuto dire ciò che gli euro­pei erano dispo­sti a fare».
Meglio tardi che mai, ver­rebbe da dire, se non fosse che, in mezzo, c’è stato un cen­ti­naio di morti, fino ad ora, un colpo di stato e l’avvento al potere di chi non si sa chi. Quanto basta per con­clu­dere che a Bru­xel­les e in altre capi­tali euro­pee, a comin­ciare in primo luogo da Ber­lino e Var­sa­via, sie­dono al potere a dir poco degli irre­spon­sa­bili totali e, insieme, degli stolti avventurieri.

Il sospetto lo ave­vamo già, visto come stanno gestendo la crisi dell’eurozona, ma adesso ne abbiamo la inquie­tante cer­tezza. «L’Unione Euro­pea – con­ti­nua l’autorevole New York Times – non ha un con­senso interno per quanto con­cerne la poli­tica verso la Rus­sia, e si è perso il treno prima di misu­rare l’impatto dell’economia russa e della sua pres­sione sull’indeciso Mr. Yanukovic».

E adesso chi tirerà fuori dal por­ta­fo­glio i 35 miliardi di dol­lari neces­sari per evi­tare il col­lasso eco­no­mico e finan­zia­rio dell’Ucraina post contro-rivoluzionaria? La signora Ash­ton è corsa di nuovo a Kiev: per lodare l’Ucraina, ma subito dopo per invi­tarla alla «ricon­ci­lia­zione e all’inclusione». Hanno fatto la frit­tata, e adesso dicono: «Noi offriamo aiuto, ma non inter­fe­renza per il futuro».

Vaglielo a spie­gare alla stu­den­tessa. L’interferenza l’hanno rea­liz­zata, poi si vedrà. Il caos è stato creato, quanto all’aiuto, per il momento non c’è niente all’orizzonte. Forse – dice Olli Rehn – inter­verrà il Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale. Ma lo farà «con le sue regole». Che sap­piamo essere regole da stroz­zini. Sarà utile che i pope ucraini vadano a vedere da vicino cosa suc­cede ad Atene.

Per intanto – dice la mini­stra (stavo per scri­vere la «mine­stra») degli esteri euro­pea — non si deve dimen­ti­care «l’importanza dei forti legami tra l’Ucraina e la Rus­sia e l’importanza di man­te­nerli». E il pre­mier polacco Tusk, i cui ser­vizi segreti hanno dato una mano deci­siva ai nazi­sti di «Svo­boda» e del «Pra­vij Sek­tor», adesso diventa addi­rit­tura truce: «Nean­che da pen­sarci all’idea che noi orga­niz­ziamo una grande col­letta per l’Ucraina, men­tre l’Ucraina con­ti­nua a dila­pi­dare il suo denaro per il suo governo o i suoi oli­gar­chi corrotti».

Dove si vede bene la tra­co­tanza dei vin­ci­tori, ai quali, ovvia­mente, non importa pro­prio nulla del cosid­detto «popolo ucraino». Hanno vinto il match. Il resto non conta. La pro­fon­dità sto­rica di que­sti mag­gior­domi con­sente loro, al mas­simo, dopo aver fatto cola­zione, di sta­bi­lire dove andranno a cena que­sta sera.

Fonte: Il Manifesto del 27 febbraio

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