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Firenze. La buona vecchia “commemorazione delle foibe”

“In ricordo dei martiri delle foibe e dell’unità d’Italia
Per il futuro del nostro popolo e dei nostri figli
Per costruire il sogno di un’Italia sovrana
Per restituire coraggio e dignità alla nazione”

Come ogni anno, i gruppi di destra fiorentini organizzano una commemorazione del massacro delle foibe, tanto per avere anche loro un po’ di martiri da sfoggiare e qualcosa con cui rimproverare il tradizionale nemico “comunista”. Negli ultimi anni la retorica reazionaria mescola alla tradizionale esaltazione patriottica una dose sempre crescente di populismo anti-globalista e anti-europeo.
Fanno appello all’unità d’Italia e al popolo italiano (“dimenticandosi” che, del popolo italiano, fanno parte tanto i Marchionne, quanto gli operai in cassa integrazione) rispolverando ideali del romanticismo ottocentesco in cui si immaginavano i popoli che vivevano un’unità corale, senza alcuna distinzione di classe, animati da un volkgaist (spirito di popolo) che permeava tutti, dal popolano all’aristocratico. Soprattutto però, era il popolano che, più ignorante ed innocente, meglio percepiva i dettami di questo spirito che tutti univa.

Questi sono gli ideali che animavano gli agitatori e cospiratori ai tempi dei moti carbonari, mazziniani e co. Tempi in cui la borghesia era una classe rivoluzionaria, necessitava di muovere gli starti più bassi della società per scalzare dal trono i vecchi poteri della società feudale, aristocratici e clericali, e alla fine prenderne il posto.

L’ideale di popolo italiano poi, è un’identità culturale inventata da poco e da pochissimo diffusa. Il Piemonte ha conquistato, con la forza delle armi e l’appoggio delle altre nazioni europee, quasi tutto il resto d’Italia. Lasciando da parte la retorica risorgimentale, si parla di una guerra di conquista con tanto di saccheggio dei territori conquistati e resistenza all’invasore straniero (il famoso brigantaggio meridionale fu combattuto con un esercito di ben 150000 uomini e leggi repressive speciali emanate dal neonato Regno messo in piedi da Garibaldi, in nome del popolo d’Italia). La gente che viveva sul territorio italiano fino ad un paio di generazioni fa e all’avvento della televisione, non aveva alcuna parvenza di carattere unitario, bensì frammentata in decine di popolini con niente in comune l’uno con l’altro, sia a livello culturale che ambientale. Lo stesso cancelliere austriaco Metternich ne era consapevole, tanto da fargli pronunciare, durante il congresso di Vienna, la famosa e controversa frase: “L’Italia è un’espressione geografica”.

Senza scomodare vecchi capi di Stato, basta notare il modo di essere e di parlare dei nostri nonni, in confronto ai nonni di un sardo, un napoletano o un tirolese, per saggiare le profonde differenze culturali presenti in Italia. Solo la televisione è riuscita ad insegnare la lingua italiana alla gente e con essa il sentimento di essere un popolo unico e l’idea di avere tutti quanti delle cose in comune.

Dopo i popoli si parla di sovranità; Purtroppo siamo nell’era del mondo globalizzato e del mercato mondiale, la politica non può mai, in nessun caso prescindere dall’economia nella società capitalista. L’andamento dell’economia è determinato dalle grandi concentrazioni di capitali e dall’andamento irrazionale ed imprevedibile della borsa. Inoltre, in un mondo globalizzato, dove gli interessi geopolitici sono strettamente intrecciati con quelli finanziari, la politica di un paese non è mai solamente affar suo. In tutto il mondo vediamo continuamente esempi di governi che vengono rovesciati grazie all’intervento diretto o indiretto di potenze straniere (Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina per fare solo gli esempi più recenti). Con o senza Comunità Europea non è possibile avere una reale sovranità, a meno di non mettere in discussione i fondamenti del sistema economico attuale, ricordando che esso si difenderà con ogni mezzo, se necessario ricorrendo anche alla forza delle armi.

Infine, l’invocazione che sempre esalta il giovane (e meno giovane) patriota nazionalista: “per restituire coraggio e dignità alla nazione”. Postulando un tempo in cui sul patrio suolo regnavano sovrane queste virtù. Ma la storia della nazione italiana, dai suoi primi vagiti fino ai giorni nostri, non brilla per virtù belliche (coraggio) né virtù morali (dignità). Purtroppo nella sua breve storia lo stato italiano, l’espressione della classe dirigente borghese della nostra nazione, ha quasi sempre perso le battaglie, leccato il culo ai potenti e tradito i deboli.

Durante le tre guerre d’indipendenza, il Piemonte/Italia ha perso sempre ma hanno vinto i suoi alleati nella seconda e terza, lasciandogli qualche osso.

Nella prima guerra mondiale lo stato italiano è entrato in ritardo schierandosi dalla parte del più forte, dopo aver stretto accordi con ambedue gli schieramenti, ma soprattutto con quello che ha poi scaricato, quando lo ha visto scendere nelle quotazioni.

Tra le due guerre il governo italiano è stato tra i primi ad usare le armi chimiche contro i civili in Etiopia, non riuscendo ad organizzare un’impresa coloniale decente, avendo difficoltà ad avere ragione di un popolo armato con lance e moschetti, pur possedendo aviazione, cannoni e quasi tutte le tecnologie belliche di una nazione moderna.

Nella seconda guerra mondiale, l’Italia ha perso quasi sempre e i l’esercito tedesco doveva ogni volta mandare truppe per salvare le armate italiane dal disastro (vedi Balcani ed Africa del nord); quando la classe dirigente italiana ha visto la mala parata dell’alleato germanico, ha scaricato il beneamato duce e voltato gabbana dall’oggi al domani.

Sorvolando sugli anni della guerra fredda in cui lo stato italiano si è distinto per servilismo e sottomissione al padrone americano, abbiamo fresco un esempio dei giorni nostri: un paio d’anni dopo la firma del trattato di amicizia e collaborazione con la Libia, in cui il governo italiano prometteva solennemente che mai e poi mai la Libia sarebbe stata attaccata sul suo territorio, gli aerei NATO partivano da Trapani per bombardare le truppe del governo durante la “guerra civile libica”.

In questa putrida retorica che identifica nel nemico interno il malgoverno e, in generale, “la sinistra” e in quello esterno l’Europa, sono in molti a cascarci; l’ideale che muove la destra italiana è come sempre un affastellamento di retorica totalmente privo di analisi della situazione reale e di proposte per il futuro; animato solamente da una vaga nostalgia per una supposta età dell’oro di grandezza e valore della nazione, alimentato da rancori irrazionali e male indirizzati.

Un economia autarchica in Italia è impossibile (cosa produciamo di grazia?),e quindi anche prescindere dalle altre economie e forze politiche esterne. L’ennesima crisi economica prodotta dal capitalismo non sarà certamente risolta, come evidentemente è l’intento di questi signori, da un ritorno alla sovranità (per fare cosa poi?) o una qualche riduzione fiscale. Ci sono enormi pilastri strutturali da smantellare per raggiungere la vera emancipazione o una qualche forma di liberazione dal rapporto sociale che governa l’economia mondiale. E questa opera di demolizione non passa certo dalla creazione di un capitalismo di Stato marcato “Littorio”.

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