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Dare identità al nostro blocco sociale e un volto al nemico. Oltre il 12 aprile

Abbiamo scelto di “far abbassare la polvere” dopo la manifestazione, gli scontri e l’acceso dibattito che c’è stato sul 12 Aprile per fare una valutazione della situazione più oggettiva, più distaccata. La scelta nasce dall’esigenza di gettare uno sguardo più lungo e più profondo sugli eventi che attraversiamo, altrimenti si corre il rischio di seguire la via indicataci dalla cultura egemone, la quale basa tutto sugli eventi e la loro rappresentazione, ma che il giorno dopo rapidamente vengono dimenticati e rimpiazzati da altri eventi che seguiranno esattamente la stessa parabola e conclusione.

Per fare questa operazione di “cultura” politica non si può prescindere dalla dinamica di come si è arrivati al 12 Aprile. Balza agli occhi di tutti e si impone nelle valutazioni politiche il confronto con le giornate del 18 e del 19 Ottobre, ma non possiamo fare questo confronto se si prescinde da come si sono prodotte quelle giornate e quali conseguenze hanno avuto già dal giorno dopo.

Quelle giornate sono state l’effetto di almeno cinque mesi di confronti e relazioni che sono sfociate in due manifestazioni separate temporalmente ma unite politicamente dall’accampata a San Giovanni fatta tra il 18 al 19, in cui tutte le espressioni di classe e antagoniste, politiche, sociali e sindacali nazionali, si sono sentite in “dovere” di intervenire nei dibattiti e nei diversi momenti di confronto organizzati.

Bisogna dirla tutta per capire come stanno effettivamente le cose e perciò va detto che le due giornate, e non a caso una sola giornata, erano il riflesso di una difficoltà, in parte obiettiva, data dalle condizioni sociali diversificate, ed in parte soggettiva data dalle diverse valutazioni che però, visto l’esito politico delle mobilitazioni, apparivano più come difficoltà da superare. Difficoltà forse inevitabili viste le variegate espressioni, ma difficoltà, appunto, da superare. Senza l’equilibrio raggiunto in quelle giornate e senza l’aspettativa verso un processo positivo di ricomposizione del conflitto politico e sociale i risultati sarebbero stati ben diversi.

Il risultato ottenuto è stato dunque prodotto da un lavoro certosino e paziente che ha visto il contributo di tutti. Ma poi c’è stato anche un post manifestazione che non può essere dimenticato. Il riferimento è  all’assemblea che si è tenuta alla facoltà di lettere alla Sapienza il 9 Novembre, dove in modo inspiegabile negli interventi veniva rimosso del tutto lo sciopero del 18, tranne che in quelli dei sindacati di base che avevano promosso quello sciopero. Una rimozione che è continuata nei numerosi interventi fatti in rete o altrove dal “movimento” e dove è proseguita nelle settimane successive. Quella rimozione aveva un carattere politico, mai espresso in modo chiaro, ed ha mostrato già allora quello che sarebbe potuto accadere e che è poi realmente è accaduto con la manifestazione del 12 Aprile, ovvero la scomposizione di quella “coalizione” che il 18 e 19 ottobre aveva convinto a partecipare decine di migliaia di persone.

E’ inutile parlare del 12 Aprile se non si portano alla luce i nodi che hanno segnato i comportamenti politici. Non c’è ne offesa ne scandalo in una divergenza politica, ma la cosa peggiore sarebbe non fare piena luce sui motivi reali che hanno portato all’attuale situazione.

Ci assumiamo la responsabilità di dare una lettura in questo senso. Una prima interpretazione dei comportamenti può essere legata alla necessità di affermare l’egemonia di organizzazioni che intendono avere una funzione di direzione nel movimento antagonista. Questo elemento certamente c’è stato ed ha agito e può essere anche legittimamente perseguito, ma a questo punto si dovrebbe prendere atto che tale capacità è apparsa quantomeno ridotta. Pensare che sarebbe bastato dettare i termini della manifestazione in un susseguirsi di assemblee recintate per farla divenire un riferimento generale obbligato, è stato certamente un serio errore e mostra una classica e monotona modalità di fare politica che, sotto la mitica copertura del “movimento”, in realtà viene praticata comunque e dovunque dalle organizzazioni politiche.

Fin qui possiamo dire che siamo nella normalità di un comportamento politico che a sinistra rasenta la coazione a ripetere automatica. In realtà dietro questo automatismo c’è un vuoto che è legato proprio alla conoscenza assai superficiale dei settori sociali che si voglio difendere e rappresentare e alla loro rappresentazione ideologica. Nel promuovere il conflitto politico e sociale bisogna avere ben presente alcune questioni di fondo che non sono rimuovibili con il volontarismo o a “spinta”:

La disgregazione produttiva e sociale che vivono la forza lavoro ed il blocco sociale non è un dato transitorio o politico, ma è un dato permanente prodotto dall’assetto attuale dell’economia e, in ultima analisi, dallo sviluppo delle Forze Produttive complessivamente intese.

Questa condizione non ha solo effetti sovrastrutturali, cioè sulle forze politiche e sociali organizzate, ma ha ribaltato i rapporti di forza tra le classi che è il vero convitato di pietra delle lotte e mobilitazioni con cui siamo chiamati a fare i conti. In questo senso le classi subalterne del nostro paese sanno benissimo di essere deboli ed i loro comportamenti politici sono conseguenti a questa concreta coscienza “della classe”.

Questo non porta alla scomparsa dei conflitti ma alla passività politica lì dove il conflitto che si afferma è quello specifico, diretto, dove sembra o si spera, erroneamente, che sia possibile incidere sulle proprie condizioni e necessità. Al massimo la propria rabbia viene espressa in un impotente voto elettorale di protesta, magari votando Grillo in quanto è quello che più la rappresenta.

In queste condizioni storiche, piuttosto che gli “eventi”, è strategicamente centrale la questione della soggettività ovvero la nostra maturità politica e capacità progettuale verso la ricomposizione di un blocco sociale antagonista.

Per questo dopo e nonostante lo “strappo” fatto il 9 Novembre (va detto per inciso che in altri tempi ed in altre condizioni una tale situazione avrebbe portato a polemiche e divergenze ben peggiori), si è comunque ripreso a lavorare per la ricomposizione del fronte che aveva dato vita alle giornate di Ottobre. Tant’è che le relazioni e il confronto hanno prodotto una nuova assemblea convocata unitariamente per il 9 Febbraio nell’aula di fisica a Roma. Assemblea buona dal punto di vista del dibattito, ma che si è conclusa con un nulla di fatto, perché alla fine c’è stato il rifiuto da parte di alcuni settori di movimento di produrre un comunicato unitario che avviasse da subito in modo chiaro il percorso verso il 12 Aprile. 

In conclusione, parlare dell’andamento della manifestazione o delle cariche della polizia (forse qualcuno metteva in dubbio che gli apparati di sicurezza lavorano, e non solo in piazza, per spezzare ogni ipotesi di ricomposizione del movimento di classe?) è importante, ma non può oscurare i veri nodi che stanno dietro gli eventi, e che vengono rimossi da una insulsa competizione.

Ma anche su questi vogliamo esprimere molto chiaramente la nostra valutazione.

La questione principale che abbiamo di fronte è quella della costruzione politica del blocco sociale antagonista, una costruzione che si deve misurare non solo con i cambiamenti intervenuti ed in atto, ma anche con le forme dell’organizzazione adeguata a dare vita a questo blocco sociale, forme per molti aspetti ancora da capire, progettare e sperimentare. Torna il nodo della rappresentanza politica intesa come identità del blocco sociale, come individuazione di interessi, valori, obiettivi che danno corpo e sostanza a questo blocco sociale. Questo è un nodo decisivo al quale rispondere, altrimenti lasciamo spazio ai vari grillini o ai vari Le Pen e Albe Dorate in giro per l’Europa. Non funziona più il giochetto diffamatorio in cui la rappresentanza politica equivale a quella istituzionale; l’identità che dobbiamo dare al conflitto di classe è uno scontro di egemonia vero – non nel movimento – ma contro le forze reazionarie che si presentano furbescamente in veste antieuropea.

E qui viene la seconda questione rilevante, almeno quanto la prima, ovvero avere la chiarezza necessaria sulla questione della Unione Europea. La convocazione del 12 Aprile su questo è stata molto reticente, ma sappiamo che questo è un nodo che attraversa la sinistra e tutto il movimento di classe. Certamente per noi non è pregiudiziale, ma vogliamo dire con tutta la forza possibile che una modifica dei rapporti di forza in Europa tra le classi oggi passa attraverso la rottura della Unione Europea. L’Unione Europea non è l’Europa, ma è una costruzione statuale a carattere imperialista che va contrastata con la costruzione di un movimento politico di massa che ha la propria base materiale sulle laceranti contraddizioni che questa costruzione delle borghesie europee stanno producendo. Su questo molto abbiamo prodotto, contributi ed elaborazioni che non stiamo qui a riassumere, ma di fronte alla scadenza elettorale europea di Maggio ed al semestre europeo gestito dal governo Renzi riteniamo che vada bandita ogni ambiguità, reticenza e timidezza rilanciando l’iniziativa.

Per questo non intendiamo fermarci. Per questo pensiamo acquisti importanza l’appuntamento dell’assemblea di Roma del 23 Aprile dove si discuterà e si lancerà il controsemestre europeo, che passerà dentro il vertice sull’occupazione giovanile convocato da Renzi a Torino per l’11 Luglio, ma che dovrà far vivere la sua iniziativa di lotta per tutti i mesi della presidenza italiana della Unione Europea. 

*Segreteria nazionale della Rete dei Comunisti

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