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Alessandra Perrotta: perché lascio la Cgil per l’Usb

Sono una lavoratrice della Provincia di Genova ed ero, fino a stamattina, una componente di diversi organi statutari di CGIL. Da oggi però ho voltato pagina, consapevole di non essere né la prima né l’ultima a lasciare la CGIL in questa fase storica.

Ho partecipato attivamente al percorso congressuale di CGIL, sostenendo il documento “Il sindacato è un’altra cosa”, a partire da numerose assemblee di base nelle quali ho svolto il ruolo di relatore. Mi ritengo perciò, oltre che una militante sindacale, anche una testimone oculare dello svolgimento del Congresso.

Sostenendo quel documento congressuale, ho combattuto una battaglia che si proponeva, come minimo, di invertire il processo di involuzione di CGIL. Processo che è iniziato da qualche decina di anni e che è proseguito imperterrito fino all’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio, e oltre.

Non solo questa inversione non si è verificata, ma il processo di involuzione ha comportato, tra l’altro, la violazione dello Statuto e di ogni elementare principio di correttezza e di democrazia sindacale. E così, attraverso la falsificazione spudorata dei dati, la magica scomparsa nel nulla degli emendamenti al documento di maggioranza, la costruzione scientifica della platea dei delegati (ben lontano dal rispetto del voto delle assemblee di base), un risultato referendario  sull’accordo del 10 gennaio quantomeno sospetto, la Camusso stravince con una maggioranza bulgara, non senza qualche flessione però, operata dall’area di Landini. E tutto l’asse del sindacato più grande d’Italia si sposta irrimediabilmente a destra.

Intanto, nel mondo reale, nell’ambito del generalizzato massacro sociale, la pubblica amministrazione e il pubblico impiego stanno morendo. Morendo ammazzati, per intenderci. E anche per mano dei sindacati complici, CGIL compresa.

La reazione deve essere di rottura con qualsiasi politica (ad oggi quella renziana) messa in atto dal blocco sociale governativo e filogovernativo, che abbia come finalità lo smantellamento delle tutele dei lavoratori e dello stato sociale e, con esso, della pubblica amministrazione.

La radicalità delle azioni, che pure erano parte integrante dei contenuti del documento “Il sindacato è un’altra cosa”, non trova spazio, oggi, all’interno di CGIL.

Ritengo quindi che la mia collocazione debba essere un’altra. Anzi, è già un’altra.

Ci tengo a sottolineare che l’affetto e la stima che mi lega ai compagni de “Il sindacato è un’altra cosa”, con i quali ho combattuto fianco a fianco, non si esaurisce, per il semplice fatto che non passavano solo attraverso il documento congressuale, ma andavano oltre. Resterà pertanto indelebile da parte mia il legame con Giorgio, Aurelio, Dodi, Natalia, Nico, Dafne, ….. per sempre “Compagni”.

Come delegata del documento “il sindacato è un’altra cosa”, ho partecipato al X Congresso Nazionale di Funzione Pubblica, svoltosi ad Assisi dal 9 all’11 aprile.

Questo che segue è il racconto di quello che ho visto.

Il Congresso si è svolto in un teatro, nei pressi della Basilica di Santa Chiara.

I delegati presenti erano 587. Solo 18 quelli del documento di minoranza (tra cui io). Questi ultimi rappresentavano, con dati molto contestati, poco più del 3% in FP.

Verrebbe da dire “Oh, bene. Finalmente un Congresso unitario!”.  In realtà ho assistito, nel corso dei diversi congressi, a lotte intestine senza quartiere.

La piccola minoranza del documento cremaschiano è molto chiaramente mal tollerata: è considerata “altro rispetto a CGIL”, e come tale viene trattata. Ma non è di questo che vi voglio parlare.

Come sul Titanic, non ho potuto fare a meno di notare un’atmosfera surreale, di autocelebrazione, che a volte volgeva al grottesco.

Davanti alla presidenza, schierata in un lungo tavolo sul palco, si susseguivano gli interventi dei delegati in un ordine prestabilito e frutto di precedenti accordi.

A parte i funzionari dell’apparato, quelli che difficilmente hanno mai lavorato in vita loro, che rappresentavano la stragrande maggioranza della platea, sul palco sono saliti anche improbabili precari e lavoratori di vari settori (sanità pubblica e privata, enti locali, …) . Pochi interventi e tutti molto impostati, questi ultimi. Il politically correct la faceva da padrone.

Qualcosa di condivisibile c’era anche, mica dico di no. Qualcosa.

Grandi applausi per tutti.

I funzionari snocciolavano dati, i “lavoratori” portavano testimonianze, con la spontaneità non più grande di quella di una guardia svizzera.

Quello che mi ha colpito di più è che agli interventi si alternavano siparietti da avanspettacolo: orchestrine che suonavano il jazz sul palco, cantautori con la chitarra da fare invidia a Comunione e Liberazione, esibizioni di comici e perfino un frate francescano che ha rievocato la novella di San Francesco ed il lupo come metafora della concertazione!

Papa Francesco è stato nominato e citato innumerevoli volte, Giuseppe Di Vittorio non se lo ricorda più nessuno.

E ora viene il bello. Ve ne racconto una per tutte. Una a caso.

Non so se avete presente il renziano jobs act. E’ una delle peggiori applicazioni di politiche neoliberiste mai viste. Quelle che calpestano anni di lotte e di conquiste.

Non entro nei dettagli, ma la controriforma mette in campo, sui contratti a termine e sull’apprendistato, delle “innovazioni” che condannano i giovani oggi e i nostri figli domani ad un precariato a vita, sfruttato e sottopagato, senza via di uscita. Un massacro per le generazioni future.

Ecco, è stato presentato un ordine del giorno contro il jobs act, che chiedeva una grande e generale mobilitazione contro questa misura.

E’ stato ….. respinto!

E’ stato respinto dalla maggior parte dei delegati, tra i quali, come vi ho detto, di lavoratori veri (come me e praticamente tutti quelli della minoranza) ce n’erano davvero pochi.

Eppure ora le “parti sociali” recitano la parte degli strenui oppositori alle politiche di austerity e dei difensori dei lavoratori. Peccato che non ci creda più nessuno.

A parte la palese volontà di neutralizzare il dissenso, con atti che definire antidemocratici è dire poco, si toccava con mano la distanza siderale tra la farsa che si consumava nel Congresso e la reale condizione del Paese, il profondo malessere dei lavoratori, l’impoverimento sempre più insostenibile della gente, colpita dalle più feroci politiche di austerity, perpetrate tanto da governi di centrodestra quanto da quelli di centrosinistra.

Con questo Congresso, CGIL è ormai definitivamente diventata una burocrazia sindacale senz’altro più incline agli accordi di palazzo che alla difesa dei diritti dei lavoratori.

Ma noi siamo consapevoli che non esistono governi amici. E quei pochi scioperi molto poco convincenti, a volte solo invocati e mai agiti, sono solo tristi rappresentazioni di una protesta che non ha nulla di reale. Una farsa nella farsa. E, quello che è peggio, sulla pelle dei lavoratori.

Vorrei dire ai dire ai compagni sfiduciati che non credo che scioperi e mobilitazioni non servano più. Servono eccome. Ma ci vuole un sindacato che abbia la capacità e il coraggio di fare sindacato. Questo sindacato esiste, e cresce e si sviluppa insieme ai conflitti. Io ne condivido principi e metodi, mentre di CGIL, semplicemente, non condivido più nulla.

Genova, 9 maggio 2014

Alessandra Perrotta

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