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Elezioni europee. “La mancanza di audacia a sinistra ha fatto crescere la destra”

1. La costruzione europea è stata concepita e messa in campo fin dall’inizio per garantire la tenuta di un regime di liberalismo economico assoluto. Il trattato di Maastricht (1992) rinforzava ulteriormente questa scelta fondamentale ed impediva qualsiasi altra prospettiva alternativa. Infatti Giscard d‘Estaing diceva: “ il socialismo è ormai illegale”. Questa costruzione è quindi per sua natura antidemocratica ed annulla il potere dei parlamenti nazionali eletti, le cui decisioni devono essere conformi alle direttive del potere sovrannazionale definito dalla pseudo-costituzione europea. Il “deficit di democrazia” delle istituzioni di Bruxelles, attraverso le quali opera la dittatura neoliberale, è stato e continua ad essere coscientemente voluto. I fondatori del progetto europeo, Jean Monnet e gli altri, non amavano la democrazia elettorale e si ponevano come obiettivo di ridurne il “pericolo”, quello di impegnare una nazione al di fuori del sentiero tracciato dalla dittatura della proprietà e del capitale. Con la formazione di quello che io chiamo il capitalismo dei monopoli generalizzati, finanziari e mondializzati, a partire dal 1975, l’Unione Europea è diventata lo strumento del potere economico assoluto di questi monopoli, creando le condizioni che gli permettendo di completarne l’efficacia, con l’esercizio parallelo del loro potere politico assoluto.
Il contrasto destra conservatrice/sinistra progressista, che costituiva l’essenza della democrazia elettorale matura è, di fatto, annullato a beneficio di una ideologia di pseudo “consenso”. Questo consenso si fa forte del riconoscimento da parte dell’opinione pubblica europea del fatto che le libertà individuali ed i diritti dell’uomo sono garantiti, almeno nella maggiorità degli stati europei, ad eccezione di quelli dell’Europa orientale, meglio che altrove nel mondo. Questo è vero grazie ai popoli coinvolti. Ciò nonostante la doppia dittatura economica e politica dei monopoli generalizzati annulla la portata di queste libertà, private della loro capacità di condurre un progetto di società che trasgredirebbe i limiti imposti dalla logica esclusiva dell’accumulazione del capitale.
Del resto l’unità europea è stata propagandata asserendo che avrebbe dato vita ad una potenza economica uguale a quella degli Stati Uniti e da essa autonoma. Invece la Costituzione europea associava l’adesione di un Paese all’UE a quella alla Nato, come alleato subalterno agli Stati Uniti. Il nuovo progetto di integrazione economica atlantica dovrebbe fugare tutti i dubbi residui: il mercato europeo sarà alle dipendenze del più forte: gli Stati Uniti. Altro che indipendenza dell’Europa!
2. Ma il regime economico liberale assoluto, imposto dalla Costituzione europea, non è attuabile. La sua unica ragion d’essere è quella di permettere la concentrazione crescente della ricchezza e del potere, a beneficio dell’oligarchia e dei suoi beneficiari, a prezzo di un’austerità permanentemente imposta alle classi subalterne, alla regressione delle conquiste sociali, ed al proseguo della stagnazione economica. La spirale infernale dell’austerità produce in tutta Europa la crescita permanente di deficit e debito (e non la loro riduzione, come sostiene la teoria economica convenzionale, che non ha alcun fondamento scientifico). Le eccezioni (come Germania) non esisterebbero se gli altri paesi non fossero loro a subirne gli effetti. L’argomento avanzato – “bisogna fare come la Germania” – non è ammissibile: per sua stessa natura il modello non può essere generalizzato. In ogni caso il potere assoluto esercitato dai monopoli e dall’oligarchia dei loro servitori non permette di metterlo in questione. Questo potere assoluto è determinato a difendere fino alla fine e con tutti i mezzi i propri privilegi e quelli delle oligarchie, le sole beneficiarie della concentrazione senza limite della ricchezza.
3. Le elezioni europee del maggio 2014 rendono evidente il rigetto della maggioranza dei cittadini di “questa Europa” (ma non sono necessariamente coscienti del fatto che possa esistere “un’altra Europa”). Con più della metà d’astensionismo del corpo elettorale (più del 70% d’astensione nell’Est europeo), il 20% dei voti in favore dei partiti di estrema destra che si dichiarano “anti-europeisti” (le così dette liste “euroscettiche” in testa in Gran Bretagna e in Francia), il 6% in favore dei partiti della sinistra radicale critici di Bruxelles, si rende obbligatoria questa conclusione. Certo, per converso, la maggioranza di quelli che hanno partecipato al voto fanno sempre riferimento a un progetto europeo, per le ragioni che abbiamo prima esposto (“l’Europa garante delle libertà e dei diritti”) o perché pensano ancora, ingenuamente, che un’”Altra Europa” (dei popoli, dei lavoratori, delle nazioni) sia possibile. Ma la costruzione europea – ben strutturata e solida – è stata concepita per escludere ogni sua possibile riforma. Il voto di protesta alle formazioni di estrema destra porta in sé pericoli che non possono essere sottovalutati. Come tutti i movimenti fascisti del passato, questi non muovono mai una critica contro il potere esorbitante dei monopoli. La loro retorica sulla “difesa della nazione” è ingannevole: l’obiettivo perseguito è, oltre all’esercizio del potere nei differenti paesi dell’Unione, lo scivolamento dell’UE dal suo governo di natura social-liberale ad uno gestito dalle forze di destra radicale. Il dibattito sull’origine vera dell’arretramento sociale (causato dal potere dei monopoli) viene stravolto in favore di altri temi (in particolare quello dell’immigrazione). Ma se si è verificato questo successo preoccupante dell’estrema destra “anti-europea”, è per colpa della sinistra radicale (a sinistra dei partiti socialdemocratici). Per la sua mancanza di audacia nella critica all’Unione europea, per l’ambiguità delle sue proposte, che alimentano l’illusione di “riforme possibili”, questa sinistra radicale non è riuscita a far sentire la propria voce.
4. Nel capitolo intitolato “L’implosione programmata del sistema europeo” (in 1. L’implosion du capitalisme contemporain, 2012) tratteggio le linee generali della destrutturazione programmata dell’Unione Europea. Si avrà quindi una piccola Europa tedesca (la Germania, ingrandita con le sue semicolonie dell’Europa orientale, che arriva forse fino all’Ucraina), la Scandinavia e i Paesi Bassi attaccati a questa nuova zona marco/euro; la Francia, avendo deciso la sua adesione “vichysta” all’Europa tedesca (è la scelta delle forze dominanti a Parigi), ma forse tentata più avanti da un nuovo “gollismo”; la Gran Bretagna che prende le sue distanze e afferma ancora e prima di tutto il suo atlantismo diretto da Washington; la Russia isolata; l’Italia e la Spagna esitanti tra la sottomissione a Berlino e il riavvicinamento a Londra. Avevo descritto uno scenario da Europa degli anni ‘30. Ci stiamo arrivando.

dal sito comunisti-italiani.it (traduzione dal francese a cura di Lorenzo Battisti)

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