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Sul Fiscal Compact? Ci vuole un referendum

I punti di osservazione possono essere anche molto diversi, ma i trattati su cui è stata costruita l’Unione Europea stanno diventando intollerabili per un numero crescente di soggetti. E diventa sempre più chiaro che chi confonde l’Europa con l’Unione Europea (uno stato in costruzione, oligarchico e privo di legittimazione democratica, imperialista e generatore di fascismo) o è in malafede o soffre di un numero alquanto vasto di malattie. A cominciare dalla paura…

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Gli ultimi dati forniti dall’Istat sull’economia italiana non possono farci dormire sonni tranquilli. Sia quelli sulla crescita che quelli sull’occupazione fotografano la situazione di un paese sull’orlo del precipizio, fermo nella sua incapacità di reagire al ciclo negativo apertosi ormai più di un lustro fa.

Nel frattempo Renzi, dopo aver imposto l’inutile bonus Irpef, che, come tanti economisti e le stesse associazioni dei consumatori hanno fatto rilevare, avrà un impatto impercettibile sulla domanda interna (+0,2% su base annua), e varata la prima parte di una riforma del lavoro che non aggiunge alcunché alle politiche adottate su questo versante negli ultimi venti anni, tutte ispirate ad una logica di riduzione delle tutele, i cui effetti “benefici” sono facilmente desumibili dalle cifre da brivido sulla disoccupazione, è ritornato a criticare l’ideologia del rigore, dominante ai vertici dell’Unione.

Non ha spiegato però come queste sue “sensibilità” possano sposarsi con gli impegni che il paese ha assunto sottoscrivendo il nuovo Patto di bilancio europeo (Fiscal Compact), peraltro riconfermati nel Documento di economia e finanza (Def) appena approvato. Né ha chiarito come il rispetto della tabella di marcia contenuta in quest’ultimo atto, relativamente agli obiettivi di finanza pubblica, sia compatibile con i dati reali che provengono dall’economia, quasi tutti al ribasso rispetto alle previsioni “prudenti” di qualche mese fa.

Non ci vuole molto a capire, a questo punto, che, nelle condizioni date, perseguire ciecamente l’obiettivo dell’abbattimento a tappe forzate del debito e quello dell’equilibrio strutturale (al netto delle una tantum e dei fattori ciclici) di bilancio (entro il 2016) avrebbe come conseguenza un aggravamento pericolosissimo del quadro macroeconomico nazionale, con costi sociali che il paese non potrebbe assolutamente permettersi. Sarebbero necessari surplus primari (eccesso della raccolta fiscale sulla spesa pubblica al netto degli interessi sul debito) straordinari, il cui conseguimento imporrebbe tagli draconiani alla spesa e livelli di tassazione del tutto insostenibili (Grecia docet).

Della gravità della situazione sembra che ne siano edotti anche dalle parti di Francoforte. Sarà per questo che il presidente della Bce, il “nostro” Mario draghi, si è lanciato in un’altra delle sue imprese atte a dar fiducia ai mercati e – a parole – a stimolare l’economia. Di cosa parliamo? Di un altro intervento al ribasso sul costo del denaro, di tassi negativi sui depositi delle banche presso i conti della Bce, di un altro programma di finanziamento agli istituti di credito sul modello dei Ltro del 2011-2012, questa volta però “mirato” per famiglie e imprese, di un annuncio su possibili acquisti di asset finanziari nel prossimo futuro. L’idea è che se le banche sono costrette a pagare per tenere i propri soldi sui conti dell’istituto di Francoforte, con ogni probabilità preferiranno metterli in circolazione. Poi che una nuova immissione di liquidità nel sistema bancario, con specifico vincolo di utilizzo a favore del settore privato (sono esclusi i mutui immobiliari), favorirà il rilancio della domanda interna e della crescita.

È un’idea plausibile? C’è da dubitarne. Troppo elevato è il rischio di insolvenza perché gli istituti di credito possano aprire sconsideratamente in questa fase i cordoni della borsa. Molto più efficace sarebbe un programma di quantitative easing (Qe), sul modello americano e giapponese, ma su questo punto siamo ancora nel novero delle (improbabili) eventualità.

I vincoli del Patto di bilancio incombono, insomma, mentre l’economia arranca. Ma a Roma, come a Bruxelles e a Francoforte, ancora pensano di aggredire il tumore con l’aspirina.

È in questo contesto che un gruppo di economisti ha depositato in Cassazione quattro quesiti referendari per disinnescare il Fiscal Compact. Nello specifico si chiederebbe l’abrogazione di alcune parti della legge 243/2012, quella che ha dato attuazione al principio del pareggio di bilancio di cui all’articolo 81 della Costituzione.

La mia personale opinione è che si tratti di un’iniziativa lodevole, che potrebbe servire, fin da subito, ad aprire un grande dibattito nel paese sul futuro delle nostre istituzioni e della nostra economia. Servirebbe anche a “democratizzare” ex post il processo decisionale sulle grandi scelte che hanno vincolato il nostro paese all’Europa, ovvero al modello di costruzione europea che si è venuto ad affermare da Maastricht in giù.

In attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sull’ammissibilità dei quesiti, sarebbe perciò opportuno che iniziasse in tutto il paese un’adeguata campagna di supporto agli stessi, in modo da preparare il terreno per gli adempimenti ed i passaggi successivi.

da l’Huffington Post

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