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Traiano non è Ferguson

Pubblichiamo questo articolo dei compagni di Infoaut perchè offre degli spunti di discussione sulla vicenda dell’assassinio del giovane Davide a Napoli formulati in maniera non impressionistica e/o ideologica.
Le modalità con cui la popolazione del quartiere sta manifestando per richiedere verità e giustizia su questa terribile vicendasono la conseguenza non solo della campagna di criminalizzazione e di mistificazione operata dal complesso dei mezzi d’informazione ma riflettono la condizione di profonda frantumazione economica e sociale che si è sedimentata in alcune aree della metropoli partenopea.
Inoltre, in tale fenomenologia, pesa, in maniera esplicita, la funzione della camorra e dei suoi diversificati codici i quali inibiscono di fatto ogni possibile insorgenza conflittuale verso le istituzioni e gli apparati repressivi dello stato.

La nota di Infoaut individua alcuni temi che vogliamo, collettivamente, approfondire per comprendere meglio la realtà sociale in cui siamo immersi e per meglio calibrare una azione di ricostruzione e di ricomposizione di un agire collettivo indipendente ed autonomo.

Nei prossimi giorni ritorneremo con una riflessione più argomentata su tale vicenda ed auspichiamo l’apertura di una discussione pubblica tra i compagni e l’insieme degli attivisti politici e sociali.

Redazione di Napoli di Contropiano

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L’articolo di Infoaut

Nel raccontare e analizzare i fatti di Traiano, alcuni “illustri” commentatori (Saviano in testa, seguito da altri giornalisti mainstream) si sono lanciati in facili analogie con Ferguson, che ci sembrano però alquanto forzate. Ci potranno sicuramente essere analogie sulla gestione della marginalità e della povertà, analogie sul come agisce la polizia in certi quartieri. 

Quartieri che vedono militari che si sentono di agire in uno stato di guerra e che vengono sistematicamente addestrati per muoversi in questo modo. Non è un caso che molti di questi “ragazzini in divisa” mandati in nei quartieri popolari sono reduci da missioni di guerra. Militari sottoposti ad una formazione razzista e sterotipata che fanno del disprezzo della povertà un punto fermo, per  cui la vita di un ragazzino di quartiere non ha nessun valore.  

Ma del resto che quartieri costruiti per ospitare la povertà e la marginalità conoscano il controllo poliziesco come unica faccia del potere statale non ci  sembra assolutamente una novità. E anche qui, le differenze rispetto a Ferguson, non sono poche: in quei quartieri parliamo di una polizia militarizzata e di un controllo che possiamo definire “scientifico”, quindi qualcosa di sicuramente diverso rispetto a quanto vediamo a Traiano e nel resto della periferia napoletana. Crediamo, però,  sia molto più interessante guardare ed analizzare le analogie che assolutamente non ci sono, e, ahinoi, a non esserci, è sicuramente la rivolta.

Esplosione che abbiamo sperato, ma che purtroppo non si è data. Molte delle risposte del perchè questa rabbia non sia esplosa non sono difficili da individuare. Se l’unica faccia del potere statale in quei territorio è la polizia, c’è un altro potere ben più invasivo e radicato che condiziona le dinamiche sociali di questi luoghi. 

Ed è il potere economico e militare del “sistema”. Perchè è questo il volto reale dello sfruttamento capitalista su questi territori.Soccavo è una delle principali piazze di spaccio, e si sa, neanche questa è una novità, alle piazze di spaccio il casino e l’esposizione mediatica non piacciano assolutamente. “La camorra ci protegge, lo stato ci uccide”. Una frase che i pennivendoli si sono affrettati a sbattere in prima pagina nel tentativo di buttare discredito sulla morte di Davide e su un intero quartiere.

Non dubitiamo che possa essere stata detta, e del resto quando l’unico volto statale che conosci è la divisa, non è difficile illudersi che questa infame menzogna sia vera. Ma la verità è che il “sistema” non ha figli da proteggere. Al “sistema” non interessa la dignità di un quartiere e di una città, non interessa la morte di un bambino. L’unica cosa che interessa sono i profitti. Quindi the show must go on. Le basi devono tornare a lavorare a pieno regime e nel più breve tempo possibile.

Ed è così che Stato e Camorra tornano ad essere un solo volto. Il volto di un potere pervasivo, violento e parassitario, che non esita a proteggersi a vicenda, tornando ad essere un solo esercito. Del resto il “sistema”, con il suo carattero parissatario, anche da tragedie come queste può trarre benefici: “qua non si muove nulla, nessuna rivolta, ma per un po’ noi facciamo i cazzi nostri senza sbirri tra i piedi.” E la vita di un ragazzino finisce ad essere svenduta per i profitti del “sistema”.

E allora va bene il corteo, perchè questi ragazzini che si sono visti ammazzare un coetaneo, un amico, un ragazzo del quartiere, dovranno pur sfogarsi in qualche modo, l’importante è che duri poco e resti perimetrato dentro certi paletti. E così che quanti alla fine del corteo, non troppi a dire la verità, provano ad alzare qualche barricata, se non indietreggiano davanti ai lacrimogeni della polizia, sono costretti a indietreggiare davanti all’ordine del “sistema”.

Ma bisogna dirsi la verità fino in fondo. Se non fosse stato per la capacità delle realtà di base del quartiere e di quelle cittadine nel trovare le giuste connessioni e i giusti modi, probabilmente non avremmo assistito nemmeno a quel corteo, a quell’unico, timido, momento di rabbia. Del resto è quello che si poteva percepire fin dalle prime ore. Ma noi per primi, siamo finiti vittime delle nostre stesse enfatizzazioni e speranze. Perchè la verità è che quelle auto della polizia distrutte e il quartiere in rivolta subito dopo l’uccisione di Davide, quando la mano del “sistema” ancora non aveva tirato il freno, non sono altro che una enfatizzazione giornalistica e di chi come noi ha creduto e sperato in una possibile esplosione di rabbia.

Certo, quella che ha attraversato e animato il corteo è stata una composizione estramamente giovanile, ma che probabilmente prima ancora di essere trascinata dalla rabbia, vive una situazione di confusione e smarrimento. Quello con cui bisogna fare i conti è che si tratta di una generazione stretta tra l’incudine e il martello; tra il nulla di quartieri ghetto, fatti di palazzoni disposti in file regolari e attraversati da enormi vialoni che rendono ancora più difficile la socialità, che vedono nell’asfissiante militarizzazione una costante, e l’ancor più pervasivo potere e controllo del “sistema”.

Insomma, una rabbia e una rivolta ancora lontane dall’esplodere, ma sicuramente tante contraddizioni con cui fare i conti ed agire. Una di queste è sicuramente quella per cui al “sistema” la vita e la giustizia per chi vive i quartieri non interessa assolutamente.

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