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Firenze: i No Tav scrivono a Matteo Renzi

Nessuna opera, signor premier, ha inanellato in Italia record negativi così numerosi e variegati come quelli che è riuscita a totalizzare la TAV.

Nella ‘rossa’ Toscana, uno degli epicentri del sisma erariale e ambientale targato “Alta Velocità”, si sono decuplicati fra Firenze e Bologna i costi pubblici già cospicui annunciati al momento del ‘lancio’. Si sono prosciugati per sempre giacimenti idrici d’eccellenza. Si sono sfregiate vallate appenniniche classificate come Siti di Importanza Comunitaria. Si sono mortificate economie locali di montagna e di pianura. Si sono umiliate e offese con turnazioni disumane maestranze confinate dai vari Sud d’Italia in campi asserviti alle esigenze di cantiere.

Non è bastato tutto ciò a impedirLe, da presidente della Provincia di Firenze, di accordare nel 2005 la ribalta dei locali di Palazzo Medici Riccardi alla mostra celebrativa “Firenze Bologna: Sotto e Sopra l’Appennino”, organizzata dalla Provincia in collaborazione con TAV e RFI. Eppure erano i tempi in cui quella cantierizzazione era finita a giudizio, dopo cinque anni di inchiesta raccontata in oltre 100 faldoni e 3 dvd. “Un’opera comunque straordinaria”, scrisse Lei nell’opuscolo di presentazione della galleria monotubo fra Firenze e Bologna, priva ancora oggi per ben 60 km del tunnel parallelo di soccorso, dove “i momenti difficili hanno però visto sempre in prima linea le istituzioni, a partire dalla Provincia di Firenze, in un ruolo di tutela dei diritti e dei legittimi interessi delle popolazioni interessate dai lavori, dell’ambiente e del territorio”. Gli atti del poderoso processo penale celebrato presso il Tribunale di Firenze paiono attestare ben altre realtà!

Non è bastato che la Sezione Giurisdizionale della Toscana della Corte dei Conti avviasse, sulla scorta di accurati accertamenti, un procedimento per responsabilità erariale a carico di alti dirigenti e politici preposti alla cura del territorio e delle risorse idriche, e al buon governo del denaro pubblico. Piuttosto che plaudire all’iniziativa della magistratura contabile, Lei preferì attaccarla: “Vorrei dire con molto rispetto – dichiarò – che c’è una parte (fortunatamente minori­taria) della Corte dei Conti che ha per­duto il senso del proprio ruolo. E che anziché preoccuparsi dell’uso distor­to del denaro pubblico rincorre la visi­bilità con costruzioni giuridiche ardi­te e che puntualmente franano a una verifica seria. Oggi è la volta di Marti­ni e Chiti cui va la mia totale solidarie­tà. Domani toccherà a noi, poi ad al­tri. In Provincia ho abbassato le tasse, tagliando le spese: e la Corte dei Conti vorrebbe sindacare sui diritti che la legge ci riconosce. Però le nostre cul­ture politiche pur diverse tra loro ci hanno insegnato che ci si difende nei processi e non dai processi: è quello che noi faremo… Martini e Chiti han­no ragione da vendere!” (Corriere della Sera, 11.11.’09). In realtà, né Vannino Chiti (che era divenuto nel frattempo vicepresidente del Senato) né Claudio Martini (che con Chiti siede oggi in Senato) risultano aver fatto ricorso avverso la sentenza che la Corte pronunciò il 31 maggio 2012, dichiarando la prescrizione, ma attestando, a carico dei convenuti, una “condotta gravemente colposa”: “Dall’esame degli atti e dalle risultanze dibattimentali, è emerso, in modo inequivocabile, che il comportamento, da cui è derivato il danno erariale contestato dalla procura (correttamente definito patrimoniale in quanto relativo all’accertata dispersione delle ingenti risorse idriche), è quello tenuto, per la parte di rispettiva competenza, dai convenuti che, come dettagliatamente indicato nell’atto di citazione, agendo concensurabile superficialità, insolita pervicacia ed in violazione ad elementari norme di diligenza, – pur avendo un’adeguata conoscenza dell’opera e delle conseguenze che avrebbe causato alle risorse idriche, in virtù della consistente mole dì informazioni pervenute nella fase istruttoria e volutamente trascurate o non adeguatamente veicolate, – procedettero all’approvazione dei progetti.  La loro condotta, dunque, non può che qualificarsi come gravemente colposa e, come tale, definirsi, ai fini evidenziati, quale originatrice del fatto illecito da cui è promanato il danno il cui verificarsi, secondo la prospettazione accusatoria, va fatto risalire al periodo in cui essi rivestivano i rispettivi incarichi istituzionali”.

Non è bastato che la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze abbia ravvisato già nell’esecuzione delle primissime opere per il Nodo TAV di Firenze la presenza di un’ampia costellazione di ipotesi di reato (analisi truccate, fornitura di prodotti concretamente pericolosi e non conformi alle specifiche contrattuali, smaltimento illegale di fanghi e rifiuti), paventando un mosaico raccapricciante di collusioni politico-affaristiche, col coinvolgimento di qualificati segmenti istituzionali e organismi ‘di garanzia’, all’interno di un disegno attivamente partecipato, secondo l’accusa, persino da esponenti della camorra campana. Neanche questo è stato sufficiente, signor premier, a farLa ricredere sull’opportunità di consegnare a cotanta ‘impresa’ la città Patrimonio dell’Umanità in cambio (della promessa) di 80 milioni di euro – comunque pubblici – a Palazzo Vecchio.

Dopodomani Lei sarà in visita ai cantieri dell’Alta Velocità in Val di Susa, ‘benedetti’ dai potenti, maledetti dalla popolazione di quella valle e, riteniamo, dalla stragrande maggioranza degli italiani. Noi non abbiamo mancato di segnalarLe negli anni e nei mesi scorsi, con dovizia di particolari e il supporto di atti ufficiali, le lucide e articolate indicazioni fornite dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici in materia di meccanismi contrattuali e architettura finanziaria sottesa all’implementazione dei progetti TAV in Italia. Con encomiabile lungimiranza, quelle indicazioni erano state già ampiamente anticipateda un esperto analista noto a livello nazionale, l’ing. Ivan Cicconi. Oggi la stessa Commissione Europea lo cita come fonte nella propria disamina intitolata “Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione”, pubblicata lo scorso febbraio, là dove la CE ammonisce: “In Italia il settore delle infrastrutture è a quanto pare quello in cui la corruzione degli appalti pubblici risulta più diffusa; dato che le risorse in gioco sono cospicue, il rischio di corruzione e infiltrazioni criminali è particolarmente elevato. Anche il rischio di collusione è peraltro elevato dal momento che solo pochi prestatori sono in grado di fornire le opere, le forniture e i servizi interessati. Secondo studi empirici, in Italia la corruzione risulta particolarmente lucrativa nella fase successiva all’aggiudicazione, soprattutto in sede di controlli della qualità o di completamento dei contratti di opere/forniture/servizi. […] Nel solo caso delle grandi opere pubbliche la corruzione (comprese le perdite indirette) è stimata a ben il 40% del valore totale dell’appalto. Grandi opere di costruzione come quelle per la ricostruzione a l’Aquila dopo il terremoto del 2009, per l’Expo Milano 2015 o per la futura linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione sono viste, nella sfera pubblica, come particolarmente esposte al rischio di distrazione di fondi pubblici e infiltrazioni criminali. L’alta velocità è tra le opere infrastrutturali più costose e criticate per gli elevati costi unitari rispetto a opere simili. Secondo gli studi, l’alta velocità in Italia è costata 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni di euro tra Torino e Novara, 79,5 milioni di euro tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka. In totale il costo medio dell’alta velocità in Italia è stimato a 61 milioni di euro al chilometro”. Differenze di costo che “possono rivelarsi una spia – rileva la CE – di un’eventuale cattiva gestione o di irregolarità nelle gare per gli appalti pubblici”.

Le abbiamo documentato come anche la Corte dei Conti si sia espressa severamente al riguardo, già nel 2008, nel documento prodotto dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato e pubblicato col titolo “Risultanze del controllo sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da FF.SS., RFI, TAV e ISPA per infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema “Alta velocità””: “Quel che è più grave, queste operazioni pregiudicano l’equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali. Sotto questo profilo la vicenda in esame è considerata dalla Corte paradigmatica delle patologiche tendenze – della finanza pubblica – a scaricare sulle generazioni future oneri relativi ad investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico, in contrasto con i canoni comunitari”.

Eppure, a quanto ricaviamo dalle cronache e dai Suoi perduranti mancati riscontri alle nostre comunicazioni, Lei continua a quanto pare a difenderla, questa pessima versione di Alta Velocità.

Ora, se a fronte di tale apparente intenzione, Lei incontrerà in Val di Susa – oltre alla sacrosanta radicale indisponibilità delle popolazioni a farsi sottrarre da Roma il diritto a una qualche percentuale di autodeterminazione del proprio presente e del proprio futuro, assieme al diritto di tutela del bene comune dell’Italia intera – anche qualche sciagurato episodio di protesta violenta, temiamo che sarà tentato di utilizzare questa deplorevole circostanza per difendere ancora una volta l’indifendibile. Ma, a prescindere da questo, l’impresa TAV, per come è organizzata, orchestrata e gestita in Italia, non è in alcun modo difendibile, ed è certamente tempo di prenderne atto. Moralmente marcia, divora l’erario, fa scempio di risorse ambientali non rinnovabili, penalizza i trasporti di massa su ferro, distrugge lavoro, destinando fondi pubblici in costante lievitazione a una platea ridotta e umiliata di maestranze, alimenta corruzione e criminalità organizzata, rappresentando un devastante cavallo di Troia per estesi traffici di rifiuti. “Cambiare verso” non può essere solo un utile slogan, signor premier! Si tratta davvero di cominciare a investire nelle priorità materiali e morali del Paese, come le abbiamo scritto ancora una volta a febbraio: da L’Aquila (e l’Abruzzo) a Modena (e l’Emilia) terremotate, dalle montagne che franano alle pianure e agli insediamenti che si allagano, dalla scuola (indecente nell’edilizia e nell’organizzazione) al patrimonio culturale (mesta cenerentola, e dovrebbe essere la nostra regina!) al trasporto pubblico locale e pendolare.

Dopodomani, in Val di Susa, noi la esortiamo dunque affinché, memore di ciò che la Commissione Europea ha segnalato (“Grandi opere di costruzione come quelle […] per la futura linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione sono viste, nella sfera pubblica, come particolarmente esposte al rischio di distrazione di fondi pubblici e infiltrazioni criminali”), Lei faccia quello che ci si attende da un buon padre di famiglia: si sieda attorno a un tavolo coi giovani, con le donne, con gli agricoltori e gli allevatori, con gli artigiani, i commercianti e gli imprenditori di quella comunità. Traduca in atti positivi e concreti l’esortazione tanto applaudita alla “Route nazionale degli scout” a San Rossore, quando ai ragazzi ebbe a denunciare: “La politica ha questo difetto: parla, parla, parla ma non ha la capacità di ascoltare”. Ascolti dunque, ascolti e ascolti ancora questa comunità ‘ribelle’ della Val di Susa. E scoprirà – noi lo sappiamo ormai bene per esperienza diretta – che quei valligiani sono assai più saggi, maturi e consapevoli di tanta parte di quella classe dirigente che da oltre vent’anni sta tentando di imporle un progetto che mai passerà! Perseverare nell’errore di sottovalutare questa riserva di intelligenze, di competenze e di sensibilità farebbe solo perdere ulteriore tempo al nostro Paese tutto, e non aiuterebbe certo a ripianare il deficit-record accumulato negli ultimi decenni.

Concludiamo questa lettera pubblica che a lei indirizziamo con l’auspicio formulato dal giudice Ferdinando Imposimato, che ci ha scritto in queste ore: “Ho letto l’ordinanza di custodia cautelare dei magistrati di Torino contro l’associazione per delinquere di stampo mafioso e i corrotti che operano in Piemonte e in Val di Susa per un’opera devastante, la TAV. E ho letto i provvedimenti dei magistrati fiorentini contro i corrotti che sperperano miliardi di soldi pubblici, distruggono l’ambiente, e trafficano in tonnellate di rifiuti pericolosi, seminando terrore e morte, sottraendo ingenti risorse all’agricoltura e al patrimonio artistico e naturale (art. 9 della Costituzione). Su questa battaglia civile è calato un silenzio omertoso. Spero che il presidente Renzi, prima del viaggio in Val di Susa, si documenti e dia una mano ai valsusini e ai fiorentini per salvare la valle e Firenze, patrimonio dell’umanità, da corrotti e speculatori perseguiti dai magistrati. E per recuperare le risorse che finiscono a corrotti e ‘ndranghetisti. Ringrazio coloro che si battono anche per noi, per la Val di Susa e per Firenze, e chiedo alla stampa di informare il Governo e i cittadini sullo sperpero di miliardi di denaro pubblico sottratti ai lavoratori, ai pensionati, ai docenti, gli esodati e ai senza reddito. I magistrati hanno dimostrato che il pericolo sono corruzione, ‘ndrangheta e distruzione dell’ambiente. Ma la battaglia dei cittadini deve essere proseguita nel rispetto delle regole, evitando provocazioni, per evitare che l’attenzione si sposti su fatti che esulano dal problema dell’Alta Velocità”.

 

Il vicepresidente

Pier Luigi Tossani

Il presidente

Girolamo Dell’Olio

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