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Cofferati e i “limiti” della sinistra

Sergio Cofferati esce dal PD pronunciando, sul piano etico, un duro giudizio nel merito delle primarie liguri ma estendibile a tutto l’andamento di questo partito sul piano morale e politico: del resto da un partito che nasce proclamando una presunta “vocazione maggioritaria” fondata, al suo interno, sull’antico “homini, homini lupus” ben dimostrato nell’occasione dell’ascesa del suo segretario alla Presidenza del Consiglio non c’era (e non c’è) d’aspettarsi molto di meglio.

Il PD rappresenta la quintessenza dello smarrimento totale di un minimo rapporto tra etica e politica collocandosi al centro di un’idea di “governabilità” senza principi, senza indirizzi, buona soltanto ad alimentare la voracità di potere dei suoi famelici gruppi dirigenti. Inoltre questo gruppo dirigente o “giglio magico” che dir si voglia si muove in termini di presenza sociale e politica che molto assomigliano ai metodi di un triste passato regime: presenzialismo esasperato, clientele, utilizzo della funzione pubblica per favorire la macchina di una parte del partito.

La campagna delle primarie in Liguria è stata soprattutto questo se guardiamo, tanto per fare un esempio, all’utilizzo delle cooperative sociali proprio in una funzione di esclusiva raccolta d’indiscriminato e inavvertito consenso. Aver partecipato a questa kermesse rende Sergio Cofferati (e SeL) difficilmente credibili in un’operazione di distacco non tanto e non solo dal PD, ma dalle fonti primarie dell’esercizio di margini di potere.

La questione è sempre la stessa, da molto tempo e riguarda la finalità complessiva dell’agire politico: se noi la individuiamo esclusivamente nell’esercizio del potere, allora non servono le regole e tutto si riduce, alla fine, alla logica dello scambio, del mercimonio politico. L’assenza di un’idea di costruzione di una diversa soggettività che traspare già in queste ore appare essere il giusto corollario di questo stato di cose: come si può costruire un nuovo soggetto quando si pensa esclusivamente alle tornate elettorali in funzione di far parte di maggioranze comunque?

E’ questo il punto, l’ombra che insegue la sinistra italiana dal decisionismo craxiano allo “sblocco del sistema politico” di marca occhettiana: il resto è disceso giù per li rami. Non c’è più nemmeno il coraggio di tentare una seria operazione politica di marca socialdemocratica (eppure programmi di marca keynesiana avrebbero spazio). Si tratterebbe di un’operazione di verità perché potrebbe aprire anche gli altri grandi temi inespressi: quelli dell’opposizione e della “questione comunista”.

Due temi che dovrebbero essere necessariamente affrontati con coraggio e capacità d’analisi e che invece restano negletti e quasi dimenticati. Par di capire che si va verso l’ennesima associazione (ce ne saranno già una dozzina in giro) rifiutando il terreno della soggettività e della rappresentanza politica, a dimostrazione dello smarrimento profondo in cui si trovano le (necessariamente) diverse realtà della sinistra italiana: sia per quello che riguarda l’area che si vuole moderata, sia per quel che concerne l’area che si vorrebbe alternativa.

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