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Mattarella, la nemesi storica e la capacità di contare

Erede di Labdaco ed esponente di una famiglia dalla sanguinosa fama, Edipo, eroe tragico della classicità greca, paga ineluttabilmente per colpe che non sono sue. Non può sottrarsi alla nemesi storica: per volontà degli dei è condannato, infatti, alla dannazione.  E la sua maledizione ricade anche sulla sua stirpe perché la colpa dei padri ricade sui figli per tre generazioni.

Strano destino quello del nuovo Presidente della Repubblica, figlio di un personaggio la cui storia si colloca nella Sicilia del dopoguerra, nell’Italia degli “Arcana Imperii” e  dell’intreccio politico-criminale. Stava nascendo allora la democrazia dalla doppia anima, come direbbe Ernst Fraenkel, quella normativa e razionale e quella irrazionale e discrezionale. Era il primo maggio del 1947 e a Portella della Ginestra veniva compiuta la prima delle tante  stragi  di cui sarà costellata la storia dell’Italia Repubblicana. Morirono undici persone, due bambini, nove adulti. Ventisette furono i feriti. Che l’autore del massacro fosse Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre, gli italiani lo seppero quattro mesi dopo. Ettore Messana, ispettore capo, lo seppe subito dopo la strage. Iniziava così, in quel 1947, la storia di una guerra mai dichiarata, la storia delle omissioni e dei depistaggi, quella storia che solo apparentemente costituisce un insondabile mistero. E a quel periodo appartengono i veleni, gli intrighi e le ombre che oscurano la figura di suo padre, Bernardo Mattarella.  “Furono Marchesano, il principe Alliata e l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di portella della Ginestra”: queste le parole di Pisciotta, cognato e luogotenente di Giuliano, parole che hanno scolpito a caratteri di fuoco la figura dell’onorevole democristiano di origine castellammarese. L’enigmatica morte di Giuliano prima, e dopo quella di Pisciotta in carcere, hanno impedito di fare pienamente luce su quello spaccato di storia. C’è una coincidenza: quell’eccidio era accaduto all’indomani della vittoria del blocco PCI e PSI alle elezioni amministrative siciliane. Le accuse rivolte a Bernardo Mattarella sono sempre state smentite, eppure, anche in tempi più recenti, veniva definito da Martelli come un “politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la Dc’’. Quelle ombre e quelle parole fecero adirare il figlio, Sergio Mattarella.

Sono ombre.

 In alcuni casi, invece, sono colpe conclamate, colpe che, comunque, pesantemente ricadono sui figli, anche se non su tutti i figli, non su quelli che hanno trascorso la vita a combattere contro la MONTAGNA DI MERDA.

Peppino Impastato: Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove e cento! Lo sai chi c’abita qua? Giovanni Impastato: Ammuninne Peppino Impastato: Ah, u’zu Tanu c’abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! «Salutiamo zu’ Tanu!» «I miei ossequi, Peppino. I miei ossequi, Giovanni». E invece sono loro i padroni di Cinisi! E mio padre, Luigi Impastato, gli lecca il culo come tutti gli altri! Non è antico, è solo un mafioso, uno dei tanti! Giovanni Impastato: È nostro padre. Peppino Impastato: Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!

Impastato è Antigone, figlia di Edipo, che con tracotanza interrompe la ratio della nemesi storica, è l’eroe tragico della modernità.

Nei prossimi sette anni scopriremo, ombra o non ombra, se il Presidente Mattarella saprà contare fino a cento.

“Quale gloria più grande mi sarebbe potuta toccare

Che quella di riporre nella tomba mio fratello?

Tutti mi approverebbero se la paura non chiudesse loro la bocca

Il potere ha molti vantaggi, e tra questi quello di fare e parlare a proprio piacimento”

(Sofocle, Antigone)

 

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