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Politica e interesse nel “conflitto di tutte le cose”

“Io non approvo  affatto il tipo di costituzione che gli Ateniesi si sono scelti, per questo motivo: perché, scegliendo questo tipo di costituzione, hanno voluto che fosse la plebaglia ad aver la meglio sulla gente per bene. Di qui la mia disapprovazione. .. a quanto sembra, in questa città i poveri e la plebaglia contano più dei nobili e dei ricchi. È infatti il popolo che fa andare avanti la città; i timonieri, i capirematori, i comandanti in seconda, i manovratori, i timonieri”. Così si esprimeva nella Grecia del V secolo a.C. un aristocratico (lo Pseudosenofonte) che descrive con disprezzo, frammisto a una profonda penetrazione analitica, la Costituzione democratica che gli ateniesi si erano dati.

Già duemilacinquecento anni or sono, nella prima democrazia della storia, si era consapevoli del principio in base al quale il bene comune è una chimera e la società politica trae senso e significato dalla competizione tra le classi sociali: chi primeggia detta le regole e comanda la nave, secondo il celebre detto del sofista Trasimaco, per cui la giustizia altro non è che l’utile del più forte.

Oggi ci si stupisce del fatto che l’attuale élite politica governi in modo autoritario e parziale, questo avviene semplicemente perché si dimentica qual è il reale interesse che è chiamata a difendere. La finanza internazionale e i gruppi economico – finanziari italiani, Marchionne in testa, hanno trovato in Renzi il software politico ideale per attuare quella lotta di classe dall’alto che affonda le radici negli anni ottanta del Novecento. La missione esplicita dell’attuale governo, consiste nel rendere un paese trasformatore come il nostro sempre più appetibile allo sfruttamento industriale e alla speculazione finanziaria. Tuttavia, perché tutto questo divenga realtà, sono assolutamente necessarie alcune condizioni: azzerare la spesa pubblica dedicata a scuola, sanità e servizi, così da creare un mercato vasto e sicuro per i capitali privati; abbassare drasticamente il costo del lavoro e renderlo fruibile come semplice merce usa e getta; costruire infine un sistema politico privo di dialettica parlamentare, che dia la possibilità di decidere velocemente, seguendo le fluttuazioni del mercato, senza l’intralcio di una qualsiasi forma di opposizione politica o sociale.

La trasformazione istituzionale in atto, non può essere derubricata a semplice delirio di onnipotenza di un guitto o all’ambizione sfrenata di un partito che assapora il potere assoluto, essa risponde ad un preciso disegno con chiare matrici ideologiche, capaci di strutturare e sostenere un insieme coordinato di interessi economici e finanziari. Ma la svolta autoritaria in atto è resa possibile anche dall’assoluta mancanza, nel campo della sinistra, di un reale e radicale progetto politico di opposizione al dominio egemonico del neoliberismo. Si può affermare, con una certa dose di semplificazione, che la destra sa, ormai da molto tempo, dove vuole e dove deve arrivare, mentre buona parte della sinistra, italiana ed europea, si culla ancora nella nostalgia di un mondo socialdemocratico “più giusto”, ormai tramontato perché cessata la sua funzione di diga contro ogni tentazione di rivoluzione sociale.

La strada maestra per riscattare le classi subalterne è oggi quella di comprendere che la dialettica sociale è stata anestetizzata per cinquant’anni da un sistema di welfare che non tornerà più: il riformismo socialista è caduto con il socialismo reale, in quanto non più necessario, rappresentando ormai solo un intralcio alla massimizzazione del profitto.

La sinistra deve ripartire dalla rinnovata consapevolezza, per dirla con Eraclito, che “conflitto di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re… gli uni fa schiavi gli altri liberi”. Se non si tiene fermo il principio che solo attraverso la dialettica conflittuale degli interessi si fa opposizione politica, si diviene subalterni a logiche d’interesse contrapposte alla proprie.  In base a tale principio, è dovere di tutti i soggetti politici della sinistra ad ogni livello, sia esso sociale, politico o sindacale, iniziare un percorso di ricomposizione di tutti gli interessi in conflitto con il capitale. A sinistra si deve rompere con l’intero sistema di potere PD, smascherare e attaccare i suoi fiancheggiatori e suoi falsi oppositori e, infine, intraprendere una lotta senza quartiere contro l’egemonia culturale neoliberista, offrendo all’opinione pubblica e alle proprie classi di riferimento una rappresentazione “altra” della realtà e della prassi politica.

 * Ross@ Verona

 

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