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I palestinesi di Yarmouk meritano solidarietà

Le ultime notizie provenienti dalla Siria sono tragiche, anche se caotiche: l’unica certezza è che l’Isis e Al Nusra sono entrati a Yarmouk, località abitata da decenni da migliaia di rifugiati palestinesi, situata nell’area urbana di Damasco; le condizioni umanitarie sono definite “inumane” dai funzionari dell’ONU, poiché scarseggiano o sono del tutto assenti viveri e medicine.

Gli abitanti di Yarmouk sono rimasti sin dall’inizio coinvolti nella crisi siriana al centro dei combattimenti fra esercito governativo, fiancheggiato all’interno dai miliziani del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-Comando Generale e dalla brigate palestinesi dell’esercito stesso, e ribelli islamisti o di estrazione varia, fra cui i miliziani palestinesi di fazioni vicine ai Fratelli Musulmani e, quindi, ad Hamas. Si ricorda, in tal senso, che, fra i partiti palestinesi, Al-Fatah è da sempre rimasta neutrale riguardo il conflitto siriano, mentre Hamas nel 2011, con una mossa repentina, ha abbandonato la Siria, che ne ospitava da anni il quartier generale in esilio, per schierarsi con il Qatar, che sponsorizza e finanzia i ribelli, in linea con l’orientamento generale dei Fratelli Musulmani; in seguito alla caduta in disgrazia di questi ultimi dopo il colpo di stato militare in Egitto e la conseguente diminuzione di peso politico del Qatar, tornato gradualmente sotto l’ala dell’Arabia Saudita, gli esponenti di Hamas, almeno formalmente, hanno mitigato le loro posizioni anti-Assad.

In queste ore, segnate dall’irruzione dell’Isis, che ha abbandonato le proprie mire espansionistiche in Iraq per concentrarsi sulla Siria (proprio in conformità con gli scopi dei bombardamenti USA), come detto, le notizie sono caotiche: voci di alleanze trasversali (Isis con Al-Nura contro i palestinesi, Al-Nusra con i Fratelli Musulmani contro l’Isis) si rincorrono in maniera frenetica; intanto 18000 palestinesi, circa il 10% degli abitanti di Yarmouk prima dell’inizio del conflitto, sono rimasti in trappola e sono potenziali vittime della ferocia delle bande di Al-Nusra e dell’Isis.

Ovviamente, l’attestarsi dello Stato Islamico nei sobborghi di Damasco è un’eventualità che dovrebbe mettere i brividi ad ogni internazionalista; purtroppo, ciò non avviene nei settori politici di movimento del nostro paese, nel quale, rispetto a questa vicenda, si denotano due asimmetrie fondamentali: da un lato, il livello di solidarietà messo in campo nei confronti dei Palestinesi rimasti nei territori di Gaza e della Cisgiordania è sistematicamente molto maggiore rispetto a quello che si denota nei confronti di quelli rifugiati negli altri paesi arabi; dall’altro, vi è una sproporzione impressionante nel livello di appoggio internazionalista rivolto ai Curdi del Rojava, rispetto a quello rivolto, appunto, ai Palestinesi di Yarmouk.

Tutti quanti abbiamo apprezzato e partecipato alla gran mole di iniziative riguardanti la resistenza del Rojava, la quale propone anche un livello di rapporti sociali molto avanzato ed ha giustamente ottenuto un grandissimo riscontro; giusto è stato smascherare l’ipocrisia del sostegno formalmente offerto da parte delle forze dell’imperialismo e si è aperto un grande dibattito riguardo il modello di organizzazione sociale messo in atto dai Curdi del Rojava su iniziativa del Pkk e del Pyd, completamente taciuto dai mezzi di informazione mainstream, che tendono ad attribuire tutto il merito della resistenza alle forze curdo-irachene guidate da Barzani. Tuttavia la battaglia in corso a Yarmouk contro gli stessi nemici che si sono scontrati con le Ypj/Jpj ha un peso specifico pari rispetto alla battaglia di Kobane; nonostante ciò, su  questo fronte di guerra, vi è un’attenzione mediatica molto minore che, evidentemente, distrae anche i settori politici dediti all’internazionalismo e fa serpeggiare, fra di essi, atteggiamenti di equidistanza fra aggressori e aggrediti, pur essendo gli aggressori i medesimi (e giustamente descritti, nelle iniziative di sostegno a Kobane, come il peggiore dei mali per l’umanità).

Alla stessa maniera, quando sono i Palestinesi di Gaza e della Cisgiordania ad essere aggrediti, viene messa in campo una gran mole di iniziative, mentre quasi nulla avviene quando a subire angherie sono i rifugiati palestinesi, pur essendo la questione dei rifugiati uno dei nodi principali nell’annoso conflitto israelo-palestinese.

Pertanto, come Rete dei Comunisti intendiamo richiamare l’attenzione di tutti gl’internazionalisti sulla necessità di assumere di un punto di vista di insieme sulle vicende mediorientali e sulle guerre imperialiste in generale, senza cadere nel tranello teso dalla “narrazione dominante”, consistente nell’isolare i vari focolai di guerra, descrivendo ciascuno come frutto di circostanze particolari a se stanti completamente sciolte dagli altri e nel focalizzare l’attenzione mediatica selettivamente su alcune vicende anziché su altre, in funzione degli interessi dell’imperialismo.

In Medio-Oriente è in corso da decenni un tentativo, da parte dell’imperialismo USA e di quello europeo, di destabilizzare e tribalizzare sistematicamente l’area nel tentativo di controllarla e renderla funzionale ai propri interessi attraverso la classica tecnica del “dividi e comanda”; per fare ciò vengono utilizzati gli strumenti e le tattiche più spregiudicate, compresa l’alleanza con paesi ed entità che finanziano il terrorismo islamista. In questo quadro vanno visti, ad esempio, la crisi siriana stessa, l’intervento in Iraq, che ha avuto come risvolto la divisione di fatto del paese su base etnica e confessionale, quello in Libia, conclusosi con l’attuale tribalizzazione totale del paese e l’intervento in corso dei Sauditi in Yemen, che potrebbe anch’esso frazionare il paese.

Ovviamente, nel seminare continuamente guerre e divisioni, le forze dell’imperialismo, come degli apprendisti stregoni, danno luogo a circostanze che non riescono a controllare, come l’irruzione dell’Isis, accresciutosi in maniera incontrollata nei suddetti paesi disgregati e ridotti al caos, ed anche le volontà espansionistiche degli alleati della monarchia saudita, i quali (anche attraverso l’appoggio al terrorismo islamista) cercano in tutti i modi di “mettersi in proprio” rispetto alla “tutela” degli USA e, quindi, divengono sempre più scomodi, tanto da rendere necessari interventi volti a frenarli, anche venendo a patti con i nemici storici (si veda l’accordo sul nucleare iraniano).

In questo quadro, compito degli Internazionalisti è opporsi ai disegni disgregatori sopra delineati, senza cadere nell’atteggiamento di tifo acritico per le componenti politiche o statuali che si battono contro di essi, ma senza nemmeno cadere nell’atteggiamento di equidistanza fra aggressori e aggrediti.

* Rete dei Comunisti, Napoli

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