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Se la Grecia sfrutta la competizione globale contro la dittatura europea

A quasi tre mesi dalla sua costituzione dopo la vittoria di Syriza delle ultime elezioni politiche del 25 gennaio, il bilancio riformista del governo ellenico è assai magro. A causa della scarsa determinazione da parte del primo ministro Alexis Tsipras e soprattutto della chiusura totale e dei ricatti da parte delle istituzioni economiche, finanziarie e politiche dell’Unione Europea, buona parte delle promesse dispensate nel corso della campagna elettorale sono state accantonate o rimandate, e continua tra Atene e la troika – ribattezzata nel frattempo ‘Brussels Group’ – un estenuante braccio di ferro che non sposta di molto la condizione della Grecia e di fatto riconferma, anche se con alcuni cambiamenti di stile e semantici, il dominio della gabbia europea rispetto alle necessità impellenti del popolo ellenico.

Si tratta di un sostanziale stallo che difficilmente potrà essere superato se il governo greco, Syriza e il resto della sinistra di quel paese non decideranno di rompere le compatibilità determinate dal quadro imposto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, puntando invece a misure unilaterali supportate da una mobilitazione e da una organizzazione sociale e degli strati popolari che in qualche modo bilancino lo scarso potere contrattuale della Grecia di fronte al gigante europeo.
E’ proprio questo il problema principale dell’esecutivo ellenico, oltre all’europeismo ideologico e fuori tempo massimo che paralizza ogni serio sforzo da parte di Syriza di mettere in discussione il commissariamento da parte di Bruxelles e Francoforte: la debolezza, potremmo dire l’irrilevanza nel quadro continentale dell’economia greca permette alla controparte di poter bocciare ogni richiesta di Atene, anche se supportata da un consenso popolare in patria che per ora rimane alto ed anche se in fondo le rivendicazioni di Tsipras e Varoufakis rimangono ampiamente all’interno del recinto delle misure che Bruxelles potrebbe tranquillamente sopportare senza mettere in discussione la propria agenda, la propria struttura, le proprie priorità. La bilancia pende così nettamente dalla parte dell’Ue e dei suoi apparati che, incredibilmente, è l’establishment continentale a minacciare la Grecia di espulsione dall’Eurozona – pensando addirittura ad una rapida riforma dei trattati che consenta però ad Atene di rimanere all’interno dell’Ue pur abbandonando la moneta unica – e non il governo ellenico a porre sul piatto l’eventualità di una propria fuoriuscita dall’alleanza nel caso in cui le proprie sacrosante richieste sul debito e sugli aiuti economici non siano soddisfatte.
E’ probabilmente per acquisire punti in una trattativa eccessivamente squilibrata con Bruxelles – e non per mettere realmente in discussione la propria collocazione all’interno dell’Eurozona – che il governo ellenico nelle ultime settimane ha accelerato i contatti e le relazioni con altre potenze a livello internazionale. Dopo i primi timidissimi approcci con il governo russo, quello cinese e quello statunitense delle settimane immediatamente successive alla formazione dell’esecutivo, Tsipras e i suoi ministri sembrano ora aver decisamente puntato a trovare una sponda al di fuori delle pastoie continentali rivelatesi assai poco solidali con la Grecia. Fallito il tentativo di sollecitare una consonanza con i governi dei Pigs – che anzi, almeno nel caso di Portogallo e Spagna, hanno rimproverato ad Atene di non voler fare i ‘sacrifici’ a loro imposti – e poi con quelli diretti dalle forze socialdemocratiche e liberaldemocratiche europee – i no alle richieste greche da parte di Hollande e Renzi, al di là di qualche suggestione, sono stati netti – pare proprio che ora Atene punti esplicitamente a trovare sostegno economico e politico al di fuori dei confini dell’Unione Europea.
E così numerosi esponenti dell’esecutivo greco, compreso lo stesso Tsipras, hanno trovato a Mosca ascolto e disponibilità in cambio di quella greca a permettere la rinascita del progetto del South Stream – dinamitato dal boicottaggio degli Usa e dei paesi aderenti alla Nato – nella nuova versione del TurkishStream che dovrebbe avere proprio nella Grecia il terminale finale nel Mediterraneo e in Europa.
Intanto il ministro della Difesa Panos Kammenos è volato a Washington dove con l’amministrazione Obama non solo ha discusso la possibilità di una maggiore collaborazione militare con Stati Uniti e Israele, ma ha offerto anche lo sfruttamento congiunto da parte della Grecia e degli Stati Uniti dei giacimenti di petrolio e gas naturale che si trovano nel territorio ellenico e nel Mar Egeo.
Nel frattempo il governo ellenico, venendo meno alle promesse fatte pochi mesi prima, ha già rinunciato a bloccare tutte le privatizzazioni imposte dall’Ue lasciandone aperte alcune attraverso le quali la Cina potrebbe acquisire pezzi importanti dell’ex patrimonio pubblico ellenico.
Come si vede Atene gioca spregiudicatamente su più tavoli e non è dato sapere, al momento, né se faccia sul serio e se quindi lavorerà affinché i rispettivi progetti vadano in porto né su quale partner privilegiato punterà, perché è evidente che ad un certo punto gli interessi dei tre interlocutori potrebbero entrare in collisione tra loro e non essere più conciliabili.
Ma al di là del risultato appare evidente come Atene miri a sfruttare a suo vantaggio la sfrenata competizione in atto tra grandi potenze imperialiste e non, tra diversi poli geopolitici in lotta per l’accaparramento delle risorse e di una proiezione internazionale sempre più vitale in epoca di crisi dell’economia capitalista. Assai debole – ribadiamo, quasi irrilevante – sul fronte economico, la Grecia può invece diventare interessante sul fronte degli investimenti e dell’utilizzo del suo stesso territorio da parte di eventuali partner esterni all’Unione Europea per cercare di costringere le classi dirigenti continentali a prendere in considerazione le sue richieste se non vogliono subire pericolose intrusioni e sovrapposizioni nel proprio spazio politico-economico.
Il rischio è pero che la contrattazione – anche in questo caso in condizione di estrema debolezza – con partner esterni all’Ue obblighi Atene ad adottare provvedimenti e politiche indigeribili e contrarie agli interessi delle classi popolari. Una maggiore cooperazione militare con gli Usa e Israele o la svendita del proprio patrimonio a delle imprese straniere non possono essere certo considerati provvedimenti in controtendenza rispetto alle politiche dei governi precedenti. 
Qui si pone a nostro avviso la questione fondamentale: se la Grecia non vorrà continuare ad essere in balia degli eventi e della competizione globale dovrà porsi non solo il problema della rottura con l’Unione Europea e con i suoi meccanismi coercitivi, ma anche quello della creazione di una nuova alleanza di paesi basata su criteri di eguaglianza, solidarietà e complementarietà. Un progetto non più rinviabile che ricalchi – con le ovvie e necessarie differenze – quanto già realizzato in America Latina dai paesi che si sono svincolati dalla dominazione statunitense formando l’Alba e che potrebbe e dovrebbe trovare tra i paesi sottoposti alla dittatura della troika e dell’Unione Europea tutta i propri partner naturali. Sempre che le forze sociali e politiche maggioritarie della sinistra abbandonino un europeismo idealistico e quanto mai anacronistico. E’ evidente ormai a molti che ‘l’Altra Europa’ non esiste, e che è con questa Unione Europea blindata, autoritaria e irriformabile che occorre fare i conti traendone le necessarie conseguenze.

Rete dei Comunisti (da www.retedeicomunisti.org)

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