Menu

Rompere la gabbia dell’eterno presente

Nel suo ultimo libro – Crucible of resistance. Greece, the Eurozone and the World Economic Crisis – il neoministro delle finanze greco, Euclid Tsakalotos descrive l’oggi come eterno presente. Si tratta di una sorta di incubo foucaltiano: nell’eterno presente non è possibile indagare la genealogia delle categorie che utilizziamo e quindi non è possibile immaginare un futuro dove le cose non stiano come nel qui-e-adesso (hic et nunc) di cui abbiamo percezione. Nell’eterno presente, la condizione sociale e di classe è una condizione naturalizzata e, in quanto tale, non modificabile.

Tuttavia, il neo ministro Tsakalotos ha contribuito a rinforzare lo stesso scenario distopico descritto nel suo libro mortificando la volontà popolare espressa dal popolo greco con il No al Refendum del 5 di luglio. Di fronte al patente capovolgimento di tale volontà, egli non ha saputo fare altro che ricorrere all’argomento TINA (There Is No Alternative). ‘Non era possibile fare altro’ ha urlato il suo primo ministro Tsipras chiedendo ai parlamentari di sottoscrivere la somministrazione di una nuova dose di sofferenze al popolo greco.

L’errore è figlio dell’assenza di un piano B (un programma propedeutico all’eventuale uscita dalla moneta unica), che, a sua volta, è dovuto alla necessità, per Syriza, di non toccare il tabù europeo in campagna elettorale per poter raccogliere il consenso necessario. Nell’eterno presente europeo, l’horror vacui che deprime l’immaginazione di spazi politici alternativi – spazi dove la rottura della gabbia istituzionale europea potrebbe coincidere con un cruciale recupero di rapporti forza politici ed economici – è di dimensioni tali da far preferire, all’incertezza di nuovi terreni di battaglia,  il ‘conforto’ della miseria a cui, con certezza, l’Unione Europea condanna le proprie classi subalterne.  

La risposta che il popolo greco ha dato con l’OXI del 5 luglio è stata un sussulto di vitalità, e uno sforzo d’immaginazione nel terrorismo mediatico sostenuto a reti unificate. Quella vitalità che avrebbe potuto segnare l’inizio dell’evasione dall’eterno presente e la riappropriazione di uno spazio di costruzione del futuro.

Chi ha condiviso l’operato del premier greco ne propone un’interpretazione in parte corretta: Tsipras aveva una pistola alla tempia, nel senso che le linee di liquidità di emergenza del BCE hanno funzionato come l’interruttore attraverso il quale era possibile, in qualunque momento, staccare la spina al sistema bancario greco. Tuttavia, il problema è precisamente quello di evadere da un sistema in cui le leve di comando possono essere manovrate solo da chi è seduto dall’altra parte del tavolo nella ‘trattativa’.

La difesa a oltranza –  della Ue, dell’euro o di strategie ormai palesemente fallimentari come quelle del ‘riformare l’Unione dal suo interno’ – è, allo stesso tempo, sterile e contraddittoria. Contraddittoria perché finisce per legittimare la narrazione politica con cui le sinistre moderate (a partire dal PD) hanno massacrato le classi lavoratrici in nome dell’Unione Europea. Sterile, perché non è in grado di prefigurare uno spazio politico ‘produttore’ di futuro. Il problema è nel non riconoscere la natura di classe della congiuntura attuale e del progetto d’integrazione europea: le voci alzatesi contro la ‘cattiva’ Germania, non fanno altro che dare linfa al castello di menzogne con cui l’élite tedesca ha fatto digerire ai lavoratori le misure deflazionistiche interne per poter ricostruire i margini di profitto e superare la crisi degli Anni Novanta (quando la Germania era il “malato d’Europa”). Nulla è, infatti, storicamente più efficace del nemico esterno, per cementificare il consenso interno.

Le minacce di boicottaggio, le velleitarie denunce del mancato rispetto tedesco dei trattati servono alle classi dirigenti per legittimarsi con le solite fandonie del Sud poco produttivo, che si macchierebbe, agli occhi dell’opinione pubblica tedesca, di un’illegittima ostilità nei confronti dei sobri e produttivi noredeuropei.

Se è vero che l’area euro si configura come uno scontro tra capitali, centro contro periferia, ciò significa che non siamo in alcun modo di fronte ad uno scontro tra nazioni, visto che dal punto di vista del lavoro c’è in questo momento coincidenza di interessi. La politica espansiva in Germania e la crescita dei salari sarebbe, infatti, lo strumento ideale per uscire dalla gabbia dell’austerità, che essendo distruzione di domanda interna è soprattutto uno strumento di impoverimento dei lavoratori nella periferia.

Una strategia politica che identifichi nella Germania l’origine di tutti i mali europei finisce per far scivolare clamorosamente il piano del discorso politico nella logica delle destre, con il solito risultato che se la sinistra scimmiotta la destra, allora l’elettore preferisce l’originale. Una destra europea che, è bene ricordare, è un magma sempre più inquietante di razzismo e violenza verbale da Alba Dorata ai leghismi nostrani, che aspettano al varco l’impatto definitivo tra le sinistre ed il principio di realtà (l’altra Europa non è possibile) per poter accedere al potere al grido di ‘adesso tocca a noi’.

Quanto è avvenuto in queste settimane di crisi greco-europea, ha contribuito a ricordarci, violentemente, quel che è piuttosto chiaro a chi sottopone l’esistente ad una critica radicale. Se un sistema istituzionale non può essere riformato, o utilizzato in modo efficace per modificare i rapporti di forza politici, va messo in discussione. L’errore storico dentro a cui ci dibattiamo, del quale Tsipras e Tsakalotos hanno dato una drammatica rappresentazione conducendo all’approvazione del terzo Memorandum, si fonda su di un equivoco fondamentale. L’aver confuso l’obiettivo di emancipare e liberare il lavoro con la difesa ad oltranza di un ordine istituzionale, l’ Unione Europea, identificato come un valore in se ma rivelatosi in realtà funzionale al solo esercizio degli interessi del capitale.  

La brutale austerità contenuta nel terzo Memorandum, come è ovvio, non manterrà le sue promesse: fare sempre la stessa cosa aspettando risultati diversi è semplicemente irrazionale. L’impatto devastante e di approfondimento della crisi che le nuove misure produrranno è difficilmente contestabile da qualunque economista in buona fede. L’atteso fallimento di Tsipras, unito alla rabbia ed alla frustrazione che i greci inevitabilmente proveranno, sposteranno i riflettori dell’attenzione popolare sull’unico contendente rimasto fuori dall’indistinto europeismo del TINA: la destra radicale. Una destra che, è verosimile pensare, non avrà particolari timori a lanciarsi nella gestione di una situazione caotica come quella di una uscita in fretta e furia dalla moneta unica – esito tecnicamente scontato per un paese insolvente come la Grecia.

Ma la prospettiva è, per l’Europa nel suo complesso, anche peggiore. Per i paesi dell’area mediterranea si apre, a questo punto, lo scenario più inquietante: un’agonia interminabile di stati sotto minaccia speculativa – dalla Spagna all’Italia, al Portogallo – che, pur di non accettare l’inevitabile e solo procrastinabile esito di una rottura col sistema monetario ed istituzionale europeo, reagirebbero con nuova austerità agli attacchi. Si prospetterebbe un decennio perduto di insostenibile sofferenza sociale che, in assenza di soggetti politici in grado, a sinistra, di superare i propri timori rompendo la gabbia dell’eterno presente europeo, spianerebbe la strada ad un’uscita da destra dall’attuale crisi che è il vero spauracchio da evitare. 

**Universidad Nacional de Colombia, Bogotà

*Sapienza Università di Roma

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *