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Recuperare lo spazio d’azione politica, una premessa ineludibile

La fine del 2015 si preannuncia costellata di eventi cruciali dopo la rovente estate che l’Europa sta per lasciarsi alle spalle. Il periodo a cavallo tra quest’anno e il prossimo, infatti, porterà nuove sfide: dall’imminente confronto con la realtà dei fatti per Podemos al più che mai probabile fallimento del nuovo Memorandum in Grecia. La portata tellurica di questi eventi potrebbe ridisegnare lo scenario politico, aprendo nuovi fronti anche in Italia, dove già sembra intravedersi il declino di Renzi e del Partito della Nazione.

La débâcle di Tsipras e l’opera di normalizzazione che lo stesso sta operando su chi – da sinistra – chiede conto del tradimento di quello che veniva orgogliosamente chiamato il ‘programma di Salonicco’, tuttavia, lasciano sgomenti più che dare coraggio circa il futuro. Il drammatico epilogo della vicenda greca riduce al lumicino le probabilità di una via d’uscita riformista e progressista dall’attuale situazione, per quanto il grido di battaglia possa essere rapidamente trasformato in ‘Un’altra Europa con Iglesias’ e non più ‘con Tsipras’. Tutto questo richiama la sinistra a una riflessione da ‘anno zero’ della politica, dove il significato stesso dell’agire sia messo in questione e, a ogni tabù, venga sottratta la propria ideale protezione.

Da questo punto di vista, due recenti contributi, Stefano Fassina sul Manifesto e Ugo Boghetta su Contropiano, hanno fornito importanti stimoli alla riflessione. In particolare, condividiamo l’enfasi posta sulla necessità di rompere la gabbia istituzionale e ideologica del There is No Alternative (TINA) – che in Europa ha la forma dell’euro e dell’odierna architettura istituzionale della UE. Una rottura in assenza della quale si rischia di rendere velleitario qualunque ragionamento sul ‘che fare?’.

Da altre parti, a sinistra, si continua invece a riproporre quale unico traguardo politico possibile quello degli Stati Uniti d’Europa. Questi ultimi sarebbero, in primis, l’unico argine possibile all’avvento dei nazionalismi europei e dei rischi a essi associati. In secondo luogo, questi si materializzerebbero quale progressiva e pacifica realizzazione dei sogni di Altiero Spinelli, cui giungere attraverso un virtuoso percorso di riforma delle istituzioni europee. Percorso di riforma da operarsi, ovviamente, all’interno delle stesse istituzioni. Quest’idea si fonda, a nostro giudizio, su due capisaldi, entrambi fallaci.

Il primo riguarda l’Europa, che è il principale tra i tabù insindacabili con cui è necessario fare i conti. Non è affatto vero che l’Europa non può sopravvivere così come essa si presenta oggi. Il problema è che può farcela perfettamente, accelerando i processi di ‘mezzogiornificazione’ nelle periferie europee, spettatrici passive dell’emigrazione delle loro giovani generazioni e dei processi di centralizzazione del capitale; per giunta, in una cornice di peggioramento radicale delle condizioni di vita di lavoratori, pensionati, disoccupati e migranti e di ulteriore devastazione degli spazi di democrazia (come le ‘riforme istituzionali’ che Renzi sta per imporre).

La costruzione europea e l’introduzione dell’euro hanno rappresentato elementi di trasformazione strutturale di fondamentale importanza per il capitale. Grazie a questi il capitale ha definitivamente piegato il lavoro in Europa, svuotando di significato e utilità gli strumenti della democrazia parlamentare e costruendo la cornice fattuale e ideologica del TINA, ovvero del ‘da qui indietro non si torna’. Come abbiamo scritto altrove, esiste un elemento della strategia del capitale contro il lavoro che era stato segnalato da Arrighi e che, da gran parte della sinistra europea, è stato ignorato: mentre l’elemento di riorganizzazione produttiva su scala globale è importante, i processi di liberalizzazione e integrazione finanziaria sono cruciali perché svuotano la sostanza delle rivendicazioni politiche dei movimenti, facendo terra bruciata e tagliando alla radice le risorse necessarie per le politiche sui diritti sociali. Ignorare che l’Europa prima e l’Euro dopo siano stati i bastioni della lotta di classe perpetrata dal capitale nel recente ventennio europeo, significa trascurare gli elementi strutturali della vicenda. Elementi strutturali con cui, al contrario, è inevitabile fare i conti se si vuole trasformare la nostra immaginazione politica in realtà.

Il secondo dei due capisaldi riguarda la strategia politica. L’idea che possa essere finalmente la volta buona, la volta in cui il ‘contenitore politico’ a sinistra permetta – dopo una serie ormai incalcolabile di fallimenti, dalla lista Arcobaleno in poi – la sintesi tra le mille domande dei movimenti finisce per riflettere il principio irragionevole secondo cui uno stesso intervento possa produrre risultati via via differenti. La verità è che l’analisi delle mille trasformazioni della sinistra radicale dovrebbe partire da una domanda cruciale: perché mentre tutti studiavano i successi dei movimenti in Italia, dalla disobbedienza che occupa il cuore del nuovo saggio del leader di Podemos, fino alla rivolta femminile contro Berlusconi, dalla rivolta contro la guerra fino ai movimenti per l’acqua non si è mai riusciti a canalizzare politicamente le energie dal basso? Questa domanda ci riporta al nodo segnalato anteriormente: lo spostamento al livello sovranazionale dei centri di spesa strozza sul nascere le domande da parte della classe lavoratrici. È bene rendersi conto che questa è la stessa ragione che si trova dietro alla capitolazione di Syriza, o all’eventuale futuro dilemma di Podemos, sebbene i due partiti abbiano scelto strategie radicalmente diverse.

A fronte di tutto questo proponiamo quella che, a nostro giudizio, è l’unica via di uscita: ribaltamento dei rapporti di forza con rottura dell’attuale equilibrio a favore del capitale (che in Europa significa uscita dall’euro e ridiscussione profonda delle regole che consentono libertà di circolazione di merci e capitali nello spazio economico europeo). A quel punto, ripristinato un terreno più bilanciato, i movimenti sarebbero liberi di fare il loro lavoro, ossia quello di fissare i punti dell’agenda politica – con domande che a quel punto non sarà più possibile evadere opponendo l’alibi del ‘ce lo chiede l’Europa’ e del TINA – riacquisendo la capacità di esercitare una pressione effettiva. In un quadro simile ci sarebbe spazio per lavorare davvero a un partito di classe in grado di costruire un’identità forte e capace di rispondere alle richieste di chi la crisi, ad oggi, l’ha pagata tutta. Dall’inizio alla fine.

**Universidad Nacional de Colombia, Bogotà

*Sapienza Università di Roma

 

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