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Il lavoro gratuito e il nuovo spirito del capitalismo

In un articolo apparso sull’Huffington Post il 6 ottobre scorso, Bill George, esperto di management e docente della Harvard Business School, si rivolge al proprio pubblico (evidentemente composto da quadri di impresa) chiedendo “Are You An Empowering Leader?”. Il pezzo sembra scritto apposta per avvalorare le tesi di Boltanski e Chiapello sul “Nuovo spirito del capitalismo” (cfr. il libro pubblicato da Mimesis): finiti i tempi della gerarchia e dell’autoritarismo, viviamo in un’epoca in cui la prima preoccupazione dei capi non è più farsi obbedire, bensì fare in modo che i subordinati siano sempre più autonomi e capaci di decidere da soli. Per realizzare tale obiettivo, scrive George, bisogna essere capaci di: 1) trattare come pari tutti i colleghi; 2) ascoltare con attenzione ciò che hanno da dire; 3) imparare da loro; 4) condividere/scambiare le rispettive storie di vita; 5) ottenere il consenso generale sugli obiettivi dell’impresa.

Da un altro articolo, uscito qualche giorno dopo sulla stessa testata, scopriamo un sistema infallibile per creare questo clima di cameratismo, familiarità reciproca, condivisione ed entusiasmo per la “missione” comune: basta convincere i dipendenti a svolgere lavoro volontario (e gratuito) nei weekend e al di fuori del normale orario di lavoro! L’autrice del pezzo, Emily Peck, si propone di denunciare una pratica sempre più diffusa nel mondo del lavoro statunitense.

Inizia citando il caso di Urban Outfitters, un’azienda che sollecita i propri impiegati ad aiutare volontariamente e gratuitamente i magazzinieri a impacchettare e spedire prodotti nei fine settimana. Dopodiché fa una serie di esempi analoghi che dimostrano come non si tratti di un caso isolato, ma di una politica di rafforzamento dello “spirito di gruppo” adottata da molte altre società.

A colpire di più sono le motivazioni addotte dalle imprese. I capi non lavorano forse anche 80 e più ore a settimana? Dunque, se volete innalzarvi al loro livello, fate lo stesso. I capi guadagnano un sacco di soldi per fare quella vita, mentre il vostro stipendio è misero e per di più vi chiedono di lavorare gratis? Niente di strano: chi pretende di essere ricompensato per ogni ora lavorata (o addirittura di percepire straordinari) rivela una mentalità da pezzente/subordinato, chi invece è pronto a condividere la missione aziendale senza contropartite ha già imboccato la strada verso una brillante carriera. Del resto (vedi l’articolo citato sopra) è chiaro che così crescono spirito di gruppo, condivisione, cameratismo e familiarità con i capi, con i quali si resta quasi sempre a contatto. Peccato che la probabilità che non facciate affatto carriera, ritrovandovi ad avere lavorato tutta la vita come bestie per nulla, sia elevatissima.

Tutto questo vi ricorda qualcosa? A me sì. Mi ricorda, per esempio, la campagna di arruolamento di migliaia di giovani volontari per l’Expo, attirati dal richiamo per le allodole di un’esperienza che – garantiscono partiti, media, istituzioni e imprese – dischiuderà loro brillanti orizzonti di gloria professionale (!?). Una mobilitazione di massa al lavoro gratuito realizzata con l’assenso dei sindacati confederali. Mi ricorda, ancora, il compiaciuto elogio del volontariato (“l’Italia in questo campo è all’avanguardia”) che il premier Matteo Renzi ha compiuto domenica scorsa durante la trasmissione “Che tempo che fa”, con l’immancabile, ammiccante compiacenza di Fabio Fazio. In conclusione: volete fare carriera? Lavorate gratis e non lamentatevi.

da http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/

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