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Spagna, non c’è alcun pluralismo nei media

Da qualche giorno uno dei quotidiani più conosciuti nel mondo, il New York Times, ha pubblicato un articolo segnalando «la mancanza di libertà della stampa in Spagna a causa dell’influenza esercitata sulle maggiori testate spagnole dai poteri finanziari (le banche) e dai governi (e in special modo dal governo centrale – anche se si sarebbero potuti includere i governi autonomi come il madrileno e il catalano) ». Come c’era d’aspettarsi, l’Associazione degli editori dei Quotidiani Spagnoli (AEDE) ha risposto immediatamente sostenendo che il New York Times si era basato su pregiudizi che, nel suo reportage sulla stampa spagnola, lo avevano condotto a conclusioni chiaramente fallaci e carenti di obiettività e rigore e ribadendo che la stampa in Spagna «è caratterizzata dalla pluralità mediatica […] dal momento che i mezzi di informazione spagnoli si sono impegnati a rispettare la libertà di stampa».

Qualche settimana fa anche il programma “Salvados” della Sexta citò una inchiesta europea sulla credibilità dei mezzi di informazione in diversi paesi europei, nella quale si dimostrava che la popolazione in Spagna era tra quelle che meno si fida delle informazioni ricevute dalle principali testate spagnole, cosa che i direttori di due di queste testate (El Mundo e La Razón), intervistati durante il programma, hanno attribuito al fatto che il pubblico spagnolo è più esigente di quello di altri paesi europei, respingendo l’ipotesi che questa ampia percezione di mancanza di credibilità rispondesse ad un’assenza di obiettività e rigore dei media.  

Il New York Times e la popolazione spagnola hanno ragione 

È lampante che l’articolo del New York Times e la percezione popolare dei principali mezzi di informazione di massa siano nel giusto. In realtà il New York Times non ha detto tutto, dal momento che avrebbe potuto apportare più esempi di come i governi comprano la complicità dei media (sia pubblici sia privati) in cambio, nel caso di questi ultimi, di sovvenzioni pubbliche. Un esempio chiaro di questo sono le sovvenzioni che il governo di tendenza liberale della Generalitat della Catalogna dà alle maggiori testate che si pubblicano in questa comunità autonoma, somme più che significative, che aumentano in base alla docilità dei singoli quotidiani nei confronti del governo. Secondo la rivista El Triangle, il gabinetto della Presidenza della Generalitat ha dato 817.719 euro a La Vanguardia, 463.987 euro a El Periódico, 457.496 euro a El Punt Avui, 205.484 a Nación Digital, 136.998 a Vilaweb e un lungo etc.; quantità che il pubblico fa fatica a conoscere, nonostante si tratti di fondi pubblici. 

Questa compravendita della complicità dei media spiega il silenzio assordante della stampa in Catalogna sui numerosi casi di corruzione dei partiti al governo, uno di tendenza neoliberale (CDC) e l’altro democratico-cristiano (UDC), recentemente indagati (era ora!) da una commissione del parlamento catalano. La commissione ha analizzato la corruzione del clan Pujol, diretto dall’ex Presidente della Generalitat di Catalogna Pujol, fondatore del partito liberale CDC e dirigente della coalizione CiU, che ha governato la Catalogna fino a poco tempo fa durante la maggior parte del periodo democratico, come se fosse un affare suo privato, comprando silenzi e alleanze, in cambio di uno Stato clientelare, nel quale la complicità dei media (incluse le radio-televisioni pubbliche, come TV3 e Catalunya Ràdio, e le private) era essenziale per la riproduzione del suo potere. Il signor Lluís Foix, che è stato direttore de La Vanguardia, ha dichiarato che si trattava (e continua a trattarsi) di una pratica massiva del governo Pujol, capace così di controllare i mezzi di informazione e persuasione (El Triangle, 08.10.14). 

Incredibilmente, la commissione parlamentare che ha indagato sulla corruzione nel clan Pujol non ha analizzato la complicità dei principali media in Catalogna, mantenendo il silenzio e occultando l’estesa corruzione esistente non solo all’interno del clan, ma anche nei partiti di governo CDC e UDC. 

La stessa cosa succede con i media televisivi 

Il New York Times non ha detto tutto, dal momento che avrebbe potuto includere i media televisivi tanto pubblici che privati nei quali l’influenza delle banche e dei partiti governativi è addirittura più forte. È infatti illuminante e significativa anche l’evidenza della mancanza in Spagna sia di libertà di stampa sia di pluralità mediatica. In realtà non è esagerato parlare di dittatura mediatica in Spagna, dal momento che la diversità dei media è molto limitata, con una carenza di media critici e di orientamento di sinistra. L’enorme ostilità, senza eccezioni, dei principali media verso il nuovo partito progressista Podemos e verso IU, a differenza dell’enorme promozione di Ciudadanos, lo strumento del IBEX-35, è un ulteriore indicatore di questa dittatura.

D’altra parte, un altro esempio è che non c’è nessuna testata in Spagna che pubblicherebbe l’articolo che state leggendo. Da qui la mia richiesta al lettore di farlo girare il più possibile. In questo senso credo che sarebbe fondamentale che le forze democratiche di questo paese, come il movimento 15-M, si mobilitassero per denunciare questa dittatura. Naturalmente gli interessati protesterebbero presentando queste denunce come “attacchi alla libertà di stampa”, che è l’argomento che sempre tirano fuori (come si fa in America Latina) quando vengono compromessi i loro affari economici e finanziari. Il maggior ostacolo che esiste nella democrazia spagnola, e allo stesso tempo il principale indicatore della sua bassa qualità democratica, è precisamente questa dittatura mediatica che addirittura il New York Times ha segnalato.

http://blogs.publico.es/dominiopublico/15067/el-new-york-times-lleva-razon-no-existe-pluralidad-en-los-medios/

(trad. A. Reccia)

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